Viaggio nella Bibbia: Zippora

Zippoa
Circoncisione del figlio di Mosè. Di Jan Baptist Weenix (1621-1661) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35122095

Benché qui giochi un ruolo fondamentale la presenza di una donna, Zippora moglie di Mosè, uno dei motivi principali che Esodo 4,24-26 condivide con diverse storie bibliche è quello di un attacco divino letale che avviene di notte (sebbene il brano non specifichi esattamente quando il fatto sia avvenuto):

  • La lotta di Giacobbe con Dio (Gen 32,25-30),
  • L’uccisione dei primogeniti egiziani (Esodo 12:29-30),
  • La decimazione dell’esercito assiro che assediava Gerusalemme (2 Re 19:35),
  • L’assassinio del re babilonese Baldassarre (Dan 5:30).

Altra dimostrazione della convinzione che gli incontri notturni con la divinità siano pericolosi si trova ad esempio nel terrore che coglie Abramo quando il sole tramonta e l’oscurità lo circonda (Gen 15,12).

Due narrazioni in particolare presentano parallelismi con la storia della “circoncisione notturna”.

La morte dei primogeniti e la necessità della circoncisione

Il primo è il racconto della decima piaga d’Egitto, l’eccidio notturno dei primogeniti egiziani, che presenta notevoli parallelismi con la storia dell’attacco a Mosè.

Il sangue dell’agnello pasquale avrebbe dovuto contrassegnare le case degli Israeliti e quindi proteggere i figli primogeniti dalla piaga (Esodo 12,7, 13, 21-23). ​​È possibile che il sangue dell’animale sacrificale sugli architravi e sugli stipiti delle case volesse simboleggiare il sangue della circoncisione. Il primogenito di Mosè, Ghersom, non avendo subito la procedura, sarebbe stato indistinguibile sotto questo aspetto dai primogeniti degli egiziani, ma Zippora gli salvò la vita circoncidendolo con uno strumento improvvisato.

Questo però non spiega perché Ghersom fosse stato attaccato molto prima che le piaghe d’Egitto iniziassero. È qui che torna utile un’altra storia di assalto divino notturno, Gen 32,25-30.

Giacobbe lotta con Dio

La situazione di Giacobbe è simile a quella di Mosè. Anch’egli è sulla via del ritorno al paese natale, che aveva lasciato temendo per la sua vita (Gen 27,41 – 28,10 // Esodo 2,11-15). Entrambi tornano con mogli e figli, dopo essersi sposati nella terra di un capo locale che è anche un parente (Labano era il fratello di Rebecca secondo Gen 27,43; 28,5, e i Madianiti erano discendenti di Abramo secondo Gen 25,2). In entrambi i casi – e questa è la cosa più sorprendente – l’assalto divino avviene nonostante che il viaggio sia stato intrapreso per ordine esplicito del Signore (Gen 31,3 // Esodo 4,19).

Molti commentatori, soprattutto cristiani, vedono in tali episodi il paradosso di Dio che agisce verso l’uomo con una libertà priva di limiti razionali. Tuttavia, questo approccio è in gran parte estraneo alla tradizione ebraica; e ciò che accadde a Giacobbe sulla riva dello Jabbok non fu affatto irrazionale. Infatti, sino a questo punto della storia, l’inganno era stato il modus operandi preferito di Giacobbe: aveva ingannato il fratello e il padre riguardo alla primogenitura (Gen 25,29-34; 27,1-40), il suocero riguardo al bestiame (Gen 30,27-43), e fuggiva quando la parte lesa cercava di fargli del male. Anche immediatamente prima della scena della lotta notturna, aveva cercato di blandire Esaù piuttosto che affrontarlo (Gen 32,14-22), e sembrava essersi nascosto dietro le mogli e i figli. Per divenire Israele, forte con Dio, occorreva ben altro! Una sorta di purificazione, quindi, di fortificazione in vista del suo futuro.

Una contrapposizione: Zippora e Mosè

Essere incirconciso non era colpa di Gershom, ma dei suoi genitori, in particolare di Mosè: in Genesi 17, dove è imposta per la prima volta, e in tutta la tradizione ebraica, la circoncisione è primariamente responsabilità del padre. Ecco perché è difficile vedere il figlio, e non il padre, come bersaglio di Dio. In realtà l’attenzione del narratore non è sul figlio, ma su Mosè… il quale, però, come si presenta?

La narrazione è, a questo punto, ironica: il Liberatore di Israele è negligente riguardo a quella che è ancora l’unica pratica distintiva di Israele dagli altri popoli, e il futuro Legislatore ignora uno dei pochissimi precetti allora esistenti. Denota, cioè, una singolare mancanza di identità israelita a tal punto che persino con suo figlio sotto attacco non sa cosa fare per affermarla e salvare il ragazzo. Sarà Zippora a realizzarla, anche se al prezzo di un danno irreparabile per la sua famiglia e il suo popolo. Sebbene il suo nome significhi Passerotto, Zippora ha la forza e la fulmineità di un’aquila!

Mosè sposo “assassino”?

Quando la Bibbia ebraica usa la parola damim (דמים, plurale di dam / sangue) per una persona o un gruppo di persone, l’implicazione è solitamente che il soggetto sia un assassino, come Caino. Di conseguenza, l’espressione חתן דמים, letteralmente “sposo di sangue”, ripetuta due volte in Esodo 4,25-26, sarebbe correttamente tradotta con “sposo assassino”. In effetti, la situazione in cui le circostanze di un matrimonio portano i parenti a massacrarsi a vicenda non è affatto estranea alle narrazioni bibliche.

In Genesi 34, il principe Sichem, suo padre Hamor e tutti gli uomini della città vengono massacrati dai figli di Giacobbe, potenziali cognati di Sichem. David si sposa con una donna della casa reale di Saul (1 Samuele 18), ma stermina ciò che resta della casata del suocero in 2 Samuele 21,1-14, con l’eccezione del figlio di Gionata. Sorprendentemente, in entrambi i casi la circoncisione gioca un ruolo importante: i figli di Giacobbe chiedono che i sichemiti vi si sottopongano (Gen 34,13-17), e David aveva ottenuto la mano della figlia di Saul, Michal, pagando il bizzarro prezzo stabilitogli dal re (1 Sam 18,24-27).

Devono essere stati i piedi di Mosè quelli che Zippora tocca dopo aver circonciso Ghersom, forse per ricordare a Mosè la sua stessa circoncisione. La formula verbale e il gesto affermano l’identità israelita di Mosè, dimostrata dalla circoncisione del figlio. Né come egiziano, né come madianita , cioè nelle sue identità precedenti, Mosè avrebbe potuto liberare il suo popolo. Era stata l’identità prima confusa di Mosè a scatenare l’attacco divino, e l’azione di Zippora a scongiurarlo permettendo la liberazione futura di Israele, ma anche, in definitiva, la perdita della propria famiglia e il massacro futuro del proprio popolo (che sarà narrato in Numeri 31).

Un futuro di sangue

Zippora fu poi mandata via da Mosè (Esodo 18,2), e Ietro la riportò da lui vicino al monte Sinai, ma di lei poi non si hanno più notizie. L’identità di gruppo genera antagonismo e intreccia la liberazione con la violenza. Dalla storia di Caino e Abele all’espulsione delle mogli straniere sotto Esdra e Neemia, la Bibbia ebraica è attraversata da tali questioni. In questo contesto, come Dinah e Michal, Rachab, Giaele e altre, Zippora fa solo una breve apparizione, ma la sua azione merita di essere compresa e ricordata. In fondo, anche lei è una vittima della violenza dei tempi, pur avendo salvato la situazione dello sposo e del di lui popolo.