
Con la vocazione di Saul si entra in una nuova e decisiva fase della storia di Israele, attraverso le strane, quotidiane vie del Signore: la ricerca delle asine del padre di Saul, i consigli del servo e delle ragazze di paese. Qui, l’atteggiamento verso la monarchia è più favorevole, l’iniziativa è presa da Dio per liberare dalle mani dei filistei il popolo, di cui ha udito il grido (9,16).
Evidentemente siamo qui in presenza di una tradizione diversa da quella antimonarchica rappresentata nel cap. 8. Il narratore tuttavia evita il titolo di re (melek) nei confronti di Saul ed usa quello di capo (nagîd), così come faranno i profeti che riserberanno a Dio il titolo di Re, per sottolineare la fallibilità dei capi storici d’Israele. E questo capo sarà un giovane prestante, alto e bello, che superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo (9,2), ma che viene dalla più piccola tribù d’Israele, e dalla più piccola fra tutte le famiglie della tribù di Beniamino, come lui stesso riconosce (9,21).
La vocazione di Saul (1 Sm 9-10)
Come aveva fatto con il piccolo Samuele, l’attenzione del narratore si concentra adesso sul giovane Saul, eletto dal Signore a divenire il primo re di Israele. La grande storia passa dalla piccola storia degli insignificanti. Samuele era un bambino, Saul è un giovane che il padre ha incaricato di cercare e trovare alcune asine che si sono smarrite! Niente di eroico né di eclatante.
Buone condizioni di partenza
Le premesse della sua elezione, agli occhi di Dio, sono buone. Il prescelto sta facendo qualcosa di molto ordinario anzi di umile, obbedendo alla volontà del padre: cerca per tre giorni le asine smarrite. Tenete presente che l’asino, nella cultura di Israele, è l’animale da lavoro, che rappresenta la pace, mentre è il cavallo a rappresentare la volontà e la capacità di guerra.
Il giovane Saul è capace di ascoltare ed accogliere il consiglio degli altri. Consulta il servitore, poi le ragazze che vanno ad attingere l’acqua, poi il profeta. È di famiglia distinta, presentata fino alla quinta generazione, ma quando il profeta lo elegge si schermisce con la classica obiezione:
«Non sono io forse un Beniaminita, della più piccola tribù d’Israele? E la mia famiglia non è forse la più piccola fra tutte le famiglie della tribù di Beniamino?».
È un bel ragazzo, alto e prestante, ma quando la sorte cade su di lui cerca di nascondersi dietro ai carriaggi per non farsi individuare. Rispecchia perciò bene quelle caratteristiche di umiltà e di piccolezza (anche se sorpassa gli altri di tutta la testa) che sono gradite a Dio nei suoi strumenti.
Il segno
Questo riconoscimento di inadeguatezza) ci riporta ai racconti di vocazione, come anche l’elemento del segno:
«Questo sarà per te il segno che proprio il Signore ti ha unto capo sulla sua casa: oggi, quando sarai partito da me, troverai due uomini presso il sepolcro di Rachele sul confine con Beniamino in Zelzach. Essi ti diranno: Sono state ritrovate le asine che sei andato a cercare… alla quercia del Tabor, troverai tre uomini in viaggio per salire a Dio in Betel: uno porterà tre capretti, l’altro porterà tre pani rotondi, il terzo porterà un otre di vino… a Gabaa… incontrerai un gruppo di profeti che scenderanno dall’altura preceduti da arpe, timpani, flauti e cetre, in atto di fare i profeti. Lo spirito del Signore investirà anche te e ti metterai a fare il profeta insieme con loro e sarai trasformato in un altro uomo» (9,1-6).