Vocazione di Isaia. Logicamente, il racconto di vocazione dovrebbe trovarsi all’inizio del libro, invece si legge solo al cap. 6, dove appare staccato sia da ciò che precede sia da ciò che segue. Si nota però che nei primi 5 capitoli compaiono tutti i temi della predicazione del profeta:
- i disordini sociali e religiosi;
- la minaccia e l’esecuzione del castigo;
- la parola di consolazione;
- l’Assiria.
Sembra che i raccoglitori degli oracoli di Isaia abbiano voluto premettere al racconto della vocazione del profeta una specie di rassegna antologica dei temi della sua predicazione, ponendo il racconto di vocazione fra tale premessa e gli sviluppi successivi; del resto, anche il racconto di vocazione tocca tutti questi temi.
In particolare, secondo Martin Buber, il cap. 6 introduce la sezione del libro di Isaia dedicata principalmente all’attività “politica” del profeta (cap. 7 e seguenti), presentandosi come indispensabile per la corretta comprensione di questa forma di ministero: Isaia chiama qui il suo Dio IL RE, JHWH degli Eserciti (6,1.5), IL RE in assoluto, a ricordare che Egli, e non altri, è il vero Re di Israele. Il re Ozia era morto lebbroso (II Re 15,5), cioè della malattia impura per antonomasia, e la sua condizione rappresentava vivamente l’abissale impotenza dell’uomo, la sua incapacità ad erigersi giudice della storia. Secondo II Cron. 26,16 ss., la lebbra aveva colpito Ozia dopo che egli aveva preteso di sacrificare egli stesso nel tempio, sconvolgendo così il rapporto fra Dio e l’uomo. Nell’anno della sua morte, Isaia ricorda, davanti alla tremenda maestà divina, come sia tremenda l’impurità dell’uomo, l’arroganza.
Vocazione di Isaia: articolazione del capitolo
Letterariamente, l’episodio è distribuito in due momenti:
- la visione (6,1-7):
1 Nell’anno della morte del re Ozia
vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato,
e i suoi lembi riempivano il tempio.
2 Dei serafini stavano sopra di lui; ognuno di essi aveva sei ali;
con due si coprivano la faccia, con due si coprivano i piedi
e con due volavano.
3 L’uno all’altro gridavano dicendo:
«Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti;
tutta la terra è piena della sua gloria».
4 Gli stipiti delle soglie tremavano per la voce di quelli che gridavano,
mentre il tempio si riempiva di fumo.
5 E dissi: «Ohimè, sono perduto,
poiché sono un uomo dalle labbra impure,
e vivo in mezzo a un popolo dalle labbra impure;
eppure i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti!».
6 Uno dei serafini volò verso di me tenendo nella mano un carbone acceso,
che aveva preso con delle molle dall’altare.
7 Egli mi toccò la bocca dicendo: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra;
la tua colpa è rimossa e il tuo peccato espiato».
- la missione (6,8-13):
8 Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? Chi andrà per noi?». E risposi: «Eccomi, manda me!».
9 Allora disse: «Va’ e di’ a questo popolo: Ascoltate bene, ma senza comprendere, osservate bene, ma senza riconoscere.
10 Indurisci il cuore di questo popolo, appesantisci le sue orecchie, vela i suoi occhi, affinché non veda con i suoi occhi né ascolti con le sue orecchie né intenda con il suo cuore, si converta e guarisca».
11 Io dissi: «Fino a quando, Signore?». Egli rispose: «Fino a che le città non saranno deserte, senza abitanti, le case senza uomini e il paese devastato e desolato».
12 Il Signore allontanerà la popolazione e vi sarà grande abbandono in mezzo al paese.
13 Vi rimarrà una decima parte ma sarà di nuovo consumata, come la quercia e il terebinto, di cui, abbattuti, resta solo il ceppo. Una semente santa è il ceppo.
La vocazione di Isaia e il mistero di Dio
La visione di Isaia esprime innanzi tutto il mysterium tremendum di Dio, infinitamente santo e trascendente:
«Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti;
tutta la terra è piena della sua gloria».
Gloria è il Kavod (letteralmente “peso”, riempimento di tutta la terra: l’irradiazione di Dio, che riempie il mondo. Il Kavod di JHWH, la sua gloria è tutto quello che l’uomo può vedere. Nemmeno i serafini, che sono i più vicini a Dio ma che nascondono il loro volto, vedono di più.
Tuttavia, la santità di Dio (“santo” vuol dire “separato”) non lo distacca dal mondo, in cui irradia la sua potenza. In Isaia, Dio viene chiamato tipicamente il Santo di Israele: come caratteristico in Amos è il concetto di giustizia e in Osea quello di benevolenza, così in Isaia è caratteristico il concetto della santità di Dio, ed essa pure è una qualità che l’uomo è chiamato ad imitare. Israele deve divenire santo perché il suo Dio è santo (cfr. Es 19,6; Lev 11,44 s.; 19,2; 20,7.26; Dt. 7,6; 14,2.21; 26,19; 28,9), e lo può fare separandosi dal mondo senza sottrarvisi, irradiando la santità di Dio mediante la propria forma di vita, attraverso il Resto fedele.
L’impurità dell’uomo
Di fronte a questa tremenda santità di Dio, l’uomo Isaia esperimenta l’abisso di peccato che lo separa da Lui:
“Ohimè, sono perduto,
poiché sono un uomo dalle labbra impure,
e vivo in mezzo a un popolo dalle labbra impure” (6,5).
Ricordando l’allusione ad Ozia, lebbroso e impuro, si spiega la menzione della purificazione delle labbra (non legata necessariamente alla predicazione), in quanto secondo Lev. 13,45 il lebbroso doveva coprirsi la bocca (evidentemente per ragioni igieniche, per evitare la diffusione del morbo). Attraverso il respiro immondo del popolo, l’impurità dell’uomo – e non la santità di Dio – si diffonde nel mondo. Le labbra sono l’organo esterno da cui promana l’intimo dell’uomo.
Dio stesso, però, dà il mezzo di purificazione, colma l’abisso, per cui il profeta può annunciare la sua parola al popolo. Con l’azione del Serafino (Seraphîm, “i Brucianti”, di natura ignea) le labbra del profeta sono mondate, e divengono possibili ricettacoli della Parola di Dio. Così egli può rispondere: “Eccomi, manda me!” alla domanda che Dio non indirizza direttamente a lui: Dio lascia all’uomo la piena iniziativa (cfr. invece Mosè e Geremia).
Il fallimento
Ma davanti al messaggio del profeta Dio fa trovare una barriera invisibile: l’annuncio dell’indurimento dei figli di Israele, di modo che essi
“sentano con le loro orecchie e non comprendano,
vedano con i loro occhi e non capiscano” (6,9 s.).
Non si tratta di un’azione diretta di Dio volta a questo scopo, ma dell’anticipazione della descrizione dell’effetto: Dio, che si rivolge al popolo, lo trova estraniato da Sé. Siamo, quindi, di fronte ad un mistero: non solo qui, ma come costante nei testi di Isaia, il mistero dell’indurimento di Israele all’inizio di un ciclo di storia della salvezza come attraverso tutto il ministero del profeta; anzi, è lo sfondo sul quale si stacca l’invito sempre nuovo di Dio:
«9 Fermatevi e stupite,
chiudete gli occhi e rimanete ciechi,
inebriatevi, ma non di vino,
traballate, ma non a causa della bevanda inebriante!
10 Perché il Signore ha versato su di voi uno spirito di torpore;
ha chiuso i vostri occhi e ha velato le vostre teste…
13 Dice il Signore:
«Poiché questo popolo si avvicina a me solo a parole
e mi onora solo con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me
e il suo culto verso di me non è altro
che un comandamento di uomini, che è stato loro insegnato,
14 perciò, ecco, continuerò a compiere meraviglie
e prodigi per questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e scomparirà l’intelligenza degli intelligenti» (cap. 29).
L’elemento da cogliere è questo: il fatto che Israele non ascolti il messaggio non comporta affatto che il messaggio profetico sia fallito. Questo, il profeta deve saperlo fin dall’inizio della sua missione.