Lettura continua della Bibbia. La vocazione del pubblicano (Lc 5,27-39)

Vocazione del pubblicano
Banchetto in casa di Levi. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22412177

La chiamata di quell’uomo qualunque che è Simone il pescatore di Galilea, nella sua vita quotidiana di quotidiani peccati, e la guarigione di due infermi gravissimi dalla loro situazione disperata sono, come in un crescendo, il preludio ad una vocazione del tutto inattesa, quella del pubblicano Levi.

La vocazione del pubblicano: chi è costui?

Il pubblicano non è un semplice esattore delle tasse. Riscuote le tasse, infatti, ma non per conto del Sinedrio o del tempio di Gerusalemme: le riscuote per conto dell’odiato oppressore, l’impero romano con cui collabora tradendo il proprio popolo, facendo il proprio interesse, per di più, a spese dei connazionali che non dovevano avere perciò alcun rapporto con lui… Un intoccabile, insomma.

Incapace di vedere, è Gesù che lo guarda

Ma se il lebbroso – segnato dalla morte fisica – è la prima persona di cui Luca dice che vede Gesù, il pubblicano – l’intoccabile segnato dalla morte spirituale – è il primo personaggio di cui Luca dice che Gesù lo guarda. Gesù è venuto a cercare ciò che era perduto, e non può fare a meno di vederlo quando lo incontra.

Levi è statico, “seduto” nel suo peccato, un peccato in cui ingrassa perché è per lui strumento di ricchezza. Anche lui è paralizzato, come il paralitico guarito da Gesù, e corroso dalle sue colpe, come il lebbroso. Non è un caso che la sua chiamata sia la sesta opera potente di Gesù che Luca narra in questa prima sezione riguardante gli inizi del ministero pubblico, disponendo le opere di Gesù come in un Esamerone, i sei giorni creazionali di cui il sesto è il culmine, quello in cui nasce l’uomo. L’uomo nuovo rinasce dalle tenebre e dall’immobilità del peccato.

La vocazione del pubblicano: il dinamismo di Dio

L’uomo vive dello sguardo di Dio, e la sua chiamata lo mette in movimento: “Seguimi”. La Parola che ha chiamato dal nulla tutte le cose le riporta a Sé quando si sono smarrite. Le riporta a Sé: non ad una dottrina o una verità intellettuale (anche se esiste, ed è importante, questo aspetto), ma alla persona di Cristo dove l’uomo incontra la sua verità più profonda, perciò diviene capace di uscire dal buio e dalla paralisi per seguire una persona viva.

Come i pescatori, Levi il pubblicano lascia dietro di sé tutte le sue cose; come la suocera di Simone, si alza / risorge; come ogni discepolo, “lo seguiva”, azione espressa all’imperfetto in quanto continuativa e progressiva. Seguendo il Signore lo incontra nell’intimità, quindi lo accoglie nella sua casa, alla mensa, insieme a un gran numero di suoi pari, pubblicani come lui e peccatori. Forse essi non amano ancora il Signore, ma il Signore ama loro: ciò che ci salva non è il nostro amore per lui ma il suo amore per noi.

Una comunità di disgraziati graziati

Preludio alla mensa eucaristica, la mensa del pubblicano, impura per i ben pensanti, è solo una pallida immagine di comunione, ma una significativa immagine di gioia nella commensalità e nella festa. Mangiando e bevendo con i peccatori Gesù si fa per loro medicina di vita. Con un crudo gioco di parole, S. Fausti definisce la Chiesa “una comunità di disgraziati che sono graziati dal Signore”. Egli ci invita e ci ammette ad una festa di nozze, nella gioia di avere con noi lo Sposo. Chi sperimenta la misericordia deve esercitare misericordia: l’atteggiamento di grazia di Gesù deve essere il nostro nella consapevolezza che solo la vicinanza e la sin-patia possono salvare gli ultimi – ma non nel lassismo: Gesù chiama a conversione, e non a continuare nel peccato. La parola sul vestito nuovo e sul vino giovane è molto chiara riguardo alla radicalità del Vangelo.