La solennità di Cristo Re e i martiri messicani

Viva el Christo Rey
Duomo di Monreale, Christus Pantokrator. Di Rolf Dietrich Brecher from Germany – CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=65460594

Viva el Cristo Rey! Al termine dell’anno liturgico si celebra la solennità di Cristo Re, Signore della storia, inizio e fine del tempo. Fu Pio XI a decidere l’istituzione della festa l’11 dicembre 1925, a conclusione del Giubileo che si celebrava in quell’anno. Papa Leone XIII, l’11 giugno 1899, già aveva consacrato la Chiesa, il mondo e tutto il genere umano a Cristo. La formula dell’orazione recitava fra l’altro: «O Signore, sii il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da te, ma anche di quei figli prodighi che ti abbandonarono». In Messico, i martiri morivano gridando: ¡Viva el Cristo Rey!

Viva el Cristo Rey

Pittura di Carlos Terrés. Di Terrescalli.cultural – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=56548622

La festa acquisì un particolare significato nel Messico di quegli anni, Stato dichiaratamente anticlericale ed anticristiano, in cui il governo promulgò pesanti leggi restrittive della libertà della Chiesa, decretando l’espulsione dei sacerdoti, il divieto di amministrare i sacramenti, la distruzione delle chiese e la soppressione persino della parola «Adios».

La persecuzione

Tra il 1926 e il 1929, in Messico, il governo del presidente Plutarco Elias Calles aveva imposto una legge fortemente anticlericale col proposito di sradicare il cattolicesimo dalla nazione. Già nel 1915 si era assistito all’assassinio di 160 sacerdoti. Il presidente Calles chiuse i seminari e le scuole cattoliche, espropriò le chiese, sciolse gli ordini religiosi, espulse i preti stranieri, vietò l’uso dell’abito talare mentre in alcuni stati si arrivò a forzare i sacerdoti a prendere moglie. La legge Calles bandì persino dal linguaggio espressioni come «Se Dio vuole»; gli impiegati statali, se volevano mantenere il lavoro, dovevano ripudiare la fede; la pratica dei sacramenti costava la fucilazione. Il fanatico anticlericale governatore dello Stato di Tabasco, Tomás Garrido Canabal, in segno di dispregio giunse a chiamare «Dio» un toro della sua fattoria, «Cristo» un asino, «Vergine di Guadalupe» una mucca, «Papa» un bue ed un maiale.

I martiri

La repressione causò una forte risposta popolare con la guerra dei «cristeros» al grido di battaglia «¡Viva el Cristo Rey!». Con questo grido morivano i martiri che affrontavano la fucilazione pur di non tradire la fede cattolica: si trattò di un vero genocidio religioso passato sotto silenzio. Alcuni dei martiri cristiani messicani, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria degli altari, come il gesuita Miguel Agustin Pro, fucilato senza processo al grido di «Viva Cristo Re!». La persecuzione messicana contro la Chiesa cattolica durò fino al 1938 e costò circa 90.000 vittime. Nel 1934 erano rimasti solo 334 sacerdoti per 15 milioni di fedeli. 4.000 erano stati esiliati o uccisi.

Cristiada

Viva el Christo Rey
José Sánchez del Río, martire. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=73561402

Questa persecuzione è il soggetto del film Cristiada di Dean Wright (2012), interpretato da Peter O’Toole nelle vesti del sacerdote martire padre Christopher, e da Andy Garcia nella parte del generale Enrique Gorostieta Velarde; coprotagonista il giovane José Sanchez Del Rio (1913 – 1928). Reo di non aver voluto rinnegare Cristo e pertanto condannato a morte, fu prima pugnalato, e ad ogni ferita infertagli il ragazzo gridava «Viva Cristo Re!»; poi gli fu sparato un colpo di pistola, e prima di spirare il ragazzo riuscì a tracciare sul terreno, con il suo sangue, una croce. Papa Francesco lo ha canonizzato il 16 ottobre 2016, mentre Giovanni Paolo II aveva dichiarato santi 25 martiri messicani nel 2000.

Il Potere e la Gloria

Nello stesso contesto si innesta il bellissimo romanzo di Graham Green «Il potere e la gloria», pubblicato nel 1940. Il protagonista, però, qui, è un antieroe, ovvero un prete indegno che non per eroismo ma per illusione, per inerzia o addirittura per orgoglio ha sempre rimandato la fuga, finché non rimane, nella clandestinità, l’unico prete ancora presente nello stato, ricercato accanitamente da un tenente di polizia.

Una religione laica

Questo tenente in odio alla religione si è fatto un punto di onore quello di eliminare ogni sacerdote sfuggito alla persecuzione, divenuto egli stesso quasi un sacerdote della novella religione dei senzadio. Anzi, è più virtuoso lui, nella sua funzione di sacerdote dell’ateismo, con il suo incedere compreso, la sua dedizione totale alla causa, la sua vita ascetica e il suo alloggio di stampo monacale, di tutti i preti che ha fucilato, ometti senza passione e senza vigore che pensavano di salvaguardare il loro trantran religioso nascondendosi dietro la tonaca.

Il Tenente ama davvero i poveri ed è, in un certo suo modo, caritatevole. In realtà, quello che il Tenente rinnega è il Dio contro-testimoniato da un clero ritenuto connivente con il potere e la ricchezza. «Il potere e la gloria» di Dio, invece, stanno in tutt’altra realtà… come ben si accorgerà il fuggitivo che egli perseguita, e che si troverà ad ammirare i contadini che nella loro estrema povertà facevano anche sacrifici volontari «spremendo ancora una mortificazione dalle loro vite aspre e dolorose. Si sentì umiliato per la pena che gli uomini ordinari sopportavano volontariamente; mentre la sua pena gli era imposta».

Alla stregua del Gringo, gangster americano ricercato dalle forze dell’ordine, rapinatore e assassino, il prete protagonista del romanzo è braccato dappresso dalla polizia, che mai riesce ad afferrarlo anche a costo della vita degli ostaggi che vengono prelevati per costringere la popolazione alla delazione. Ma i poveri peones sono più fedeli alla Chiesa del clero stesso, e muoiono senza un lamento.

Un prete indegno…

Né il protagonista né l’antagonista hanno un nome, ma sono semplicemente il «prete» e il «tenente»; il sacerdote senza nome, per di più, è anche un prete indegno, un «prete dell’acquavite» che cerca rifugio nell’alcool dalla tragedia che incombe e che in un momento di abbandono ha persino avuto una figlia da una donna di paese. Il suo dramma è che può assolvere gli altri dai loro peccati ma non può assolvere se stesso dal proprio, essendo rimasto l’unico sacerdote in tutto lo stato. Il prete è ben conscio della sua condizione, fino ad arrivare a pensare: «Un uomo virtuoso può quasi cessare di credere all’Inferno; ma egli recava l’Inferno con sé».

La gente devota lo considera un cattivo prete, ma non dubita che possa continuare a porre Dio nelle loro labbra e a dar loro il suo perdono. Ed ecco il dilemma: passare il confine, trovare un altro prete e salvarsi l’anima, o continuare a servire i fedeli in stato di peccato mortale? E in più si sente rimproverare: «Credete che Dio desideri che restiate qui a morire… un “prete dell’acquavite”, come voi? Che razza di martire credete di diventare?».

… Fedele al dovere

La tentazione è grande: «Fra tre giorni sarò a Las Casas, mi sarò confessato e sarò stato assolto». Eppure non riesce ad espatriare, incatenato sino alla fine alla missione che continua a svolgere tra mortali pericoli anche se indegnamente, finché sarà tradito dal suo giuda personale, un meticcio che lo consegnerà alle forze dell’ordine in cambio della taglia attirandolo in una trappola. Il prete senza nome sfiderà infatti la morte per non mancare al dovere di confessare il Gringo moribondo, ma non potrà poi ricevere l’assoluzione a sua volta perché l’unico altro sacerdote ancora vivente in città, padre Josè, un prete rinnegato che per salvarsi la vita ha preso moglie ed è angariato da una megera forse peggiore della morte, vigliaccamente rifiuterà di recarsi a confessarlo benché assicurato dell’impunità dal tenente stesso.

Il prete senza nome morirà quindi rassegnato ma ubriaco e tremante di paura, in uno stato di peccato mortale dal quale non si è nemmeno veramente pentito eppure martire della propria fedeltà. Morirà anonimo come è sempre stato (il tenente, guardando una sua vecchia e indecifrabile fotografia, aveva detto: «Quest’uomo io l’ho già fucilato una mezza dozzina di volte!») eppure portatore di una grazia che Dio non fa mai mancare agli uomini. Infatti, alla sua morte un nuovo sacerdote si presenta clandestinamente alla comunità dei fedeli…

Il romanzo, data la crudezza con cui disegna i tratti di un prete indegno, benché anch’egli strumento di grazia e testimone della forza dei sacramenti (ex opere operato…), suscitò reazioni negative nella gerarchia. Fu persino oggetto di indagine da parte del Sant’Uffizio, ma non fu mai messo all’indice, anche grazie all’intervento del cardinal Montini.

La Croce di fuoco

Viva el Christo Rey
Fotogramma del film La Croce di fuoco. Di Screenshot autoprodotto – Catturato personalmente da Utente:Vabbè, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=9015824

John Ford nel 1947 ne ricavò un film, «La Croce di fuoco», un film, però, politicamente corretto, in cui la figura del sacerdote, interpretato da Henry Fonda, diveniva irreprensibile, e l’unica fedeltà al romanzo rimaneva quella alla storia della persecuzione contro la Chiesa.  Il protagonista del romanzo è un prete indegno che però rimane fedele alla sua missione fino alla morte, assolvendo gli altri dai peccati senza poter assolvere se stesso; il film lo edulcora facendone un sacerdote dignitoso. Il tenente, interpretato dal famoso attore messicano Pedro Armendàriz (El Gringo è Ward Bond, altro attore prediletto da Ford), evita alla fine di comandare personalmente il plotone di esecuzione e si fa persino un segno di croce.

Il film QUI e QUI.

Lo sceneggiato Rai

All’epoca, era questo l’unico modo di rappresentare la vicenda, il cui spirito viene sostanzialmente tradito. Molto più fedele, a parte l’assenza del personaggio del Gringo, di padre Josè e di altri minori, è la produzione Rai del 1965, uno sceneggiato televisivo con Aroldo Tieri come protagonista e Luigi Vannucchi come antagonista; Renzo Palmer (il dottor Tench, divenuto qui un personaggio chiave a motivo dei dialoghi che rendono possibile la comprensione della vicenda) è un altro degli interpreti; lo potete vedere integralmente QUI.

 Buona visione, in questo caso; buona lettura, se potrete leggere il romanzo; ne vale la pena, nonostante l’amarezza che può suscitare.