La rievocazione storica nei primi tre capitoli metteva in risalto l’opera di Dio per il suo popolo. Nel IV capitolo, che ha carattere omiletico, si sottolinea fortemente il dovere della fedeltà verso Dio.
Vicinanza di Dio (vv. 1-8)
Il primo brano del cap. 4 ne rappresenta l’introduzione parenetica, con la dottrina della vicinanza di Dio al suo popolo e la giustizia della sua Legge:
«Difatti qual è quella grande nazione che abbia gli dèi così vicini, come il Signore nostro Dio quando lo invochiamo? Qual è quella grande nazione che abbia prescrizioni e decreti così giusti come questa legge che oggi io vi presento?» (v. 8).
La vicinanza di Dio nell’esperienza dell’Oreb (vv. 9-31)
Mosè ricorda un momento centrale della storia di Israele, il vissuto dei padri all’Oreb:
«Voi vi avvicinaste e vi fermaste ai piedi del monte; il monte ardeva nel fuoco fino in pieno cielo; vi erano tenebre, nuvole e oscurità. Il Signore vi parlò dal fuoco: voi udivate il suono delle parole ma non vedevate alcuna figura; vi era soltanto una voce» (vv. 11 s).
L’esperienza dell’Oreb non è assenza di visione: il fatto da cui essa è costituita non è che Israele non ha visto nulla, ma che ha visto che non ha visto nessuna immagine, che c’era solo la VOCE.
Da questo nucleo essenziale Mosè trae il comandamento che proibisce ogni immagine (aniconismo) (vv. 16-18): l’idolo sarebbe opposto diametralmente alla teofania del Signore: Egli si è manifestato per dire che di Lui non c’è immagine.
La paura dell’assenza
L’uomo ha paura dell’assenza, sente il bisogno di vedere ciò che ama e di essere rassicurato da questa immediata disponibilità, perciò riempie il religioso con simulacri a cui attribuisce valore assoluto. Invece di accettare di essere creatura di Dio, si comporta creando un dio con le proprie mani; l’idolo, al di là del capo figurativo, può essere anche il fantasma di un’altra persona o di se stessi o di un valore (potere, ricchezza, cultura, sesso, passione ecc.) adorato e perseguito come un assoluto.
L’uomo ha paura e invece di mettersi nelle mani di Dio si fabbrica il suo Dio. Ha paura dell’Invisibile, pure Dio è tale proprio perché è Dio, è in ogni cosa ma va oltre ogni cosa, inafferrabile. L’uomo lo vorrebbe incapsulare, controllare, ridurre alla propria portata, «farlo diventare un elemento del suo mondo» come il genio della lampada di Aladino. «Quando l’uomo costruisce un idolo, porta Dio dalla sfera dell’invisibile a quella del visibile, dalla sfera del mistero originario e incomprensibile a quella di una realtà con cui si possono fare i conti, un oggetto da esibire ed esaltare, un oggetto da venerare solo perché in esso si venera se stessi e la propria immaginaria potenza» (BOVATI, p. 49 s.). In realtà, in questo modo l’uomo rinnega se stesso perché nega la sua natura creaturale. L’uomo parla, ma l’origine della parola non è in lui: riempiendo l’invisibile di immagini, l’uomo nega la VOCE.
La vicinanza di Dio e l’oggi dell’ascolto
L’esperienza dell’Oreb è un’esperienza di ascolto. Il suo quadro esteriore teofanico (fuoco e nube) non è riproducibile nella nostra storia individuale, ma quella Voce parla nel nostro oggi (Sal 95,7: «Ascoltate oggi la sua voce»), nella S. Scrittura, nella liturgia, nella preghiera personale e comunitaria…
La trascendenza della rivelazione sull’Oreb richiede la massima purezza da ogni forma di idolatria praticata dagli altri popoli: «Ma voi, il Signore vi ha presi e vi ha fatti uscire dal crogiuolo di ferro, dall’Egitto, affinché diventiate popolo di sua eredità, come siete oggi» (v. 20).
«Poiché il Signore tuo Dio è un fuoco divoratore, un Dio geloso» (v. 24). Quando Israele gli sarà infedele, sarà disperso: «di voi non resterà che un piccolo numero in mezzo a quelle nazioni tra le quali il Signore vi avrà condotto. Là servirete gli dèi, opera di mani umane, di legno e di pietra, che non vedono, non odono, non mangiano, non odorano» (v. 27 s. Secondo la mentalità arcaica, ogni dio doveva essere adorato nella propria terra, e la terra straniera contaminava). «Di là tu cercherai il Signore tuo Dio e lo troverai; purché ti rivolga a lui con tutto il cuore e con tutta l’anima. Nella tua miseria ti raggiungeranno tutte queste parole, ma negli ultimi giorni tornerai al Signore tuo Dio e ascolterai la sua voce. Poiché un Dio misericordioso è il Signore tuo Dio; non ti abbandonerà, non ti distruggerà né dimenticherà l’alleanza che ha giurato ai tuoi padri» (vv. 29 ss.).
Il Signore è l’Unico Dio (Vv. 32-49)
La storia di Israele dimostra la predilezione e vicinanza di Dio verso Israele stesso:
«C’è forse un popolo che abbia udito la voce del Dio vivo che parla di mezzo al fuoco, come hai udito tu, e sia rimasto in vita? Ha mai provato un dio a venire a prendersi una nazione in mezzo ad un’altra nazione, con prove, segni, portenti, lotte, con mano forte, braccio teso, e grandi terrori…? Affinché tu sappia che il Signore, lui è Dio; all’infuori di lui non ce ne sono altri».
L’immagine del resto di Israele, l’affermazione chiara del monoteismo teorico avvicinano questa sezione del Deuteronomio al Deutero-Isaia, ed infatti la redazione dei cap. 1-4 del Deuteronomio appartiene al periodo dell’esilio (VI secolo a.C.), come pure la redazione dei cap. 27 e 30-34).