Via i mercanti dal tempio! L’episodio della cacciata dei venditori e dei cambiavalute dall’atrio del tempio di Gerusalemme è riportato da tutti gli evangelisti, con sfumature diverse. Presenta caratteristiche particolari la versione di Giovanni. Ma vediamo, per prima cosa, quale fosse il problema.
Il culto nel tempio: i sacrifici
Al tempio di Gerusalemme era riservata l’offerta di sacrifici. I sacrifici erano di due tipi, animali e vegetali.
Le offerte vegetali si limitavano a farina con olio e spezie; la libagione si faceva col vino; i profumi, soprattutto il balsamo, erano impiegati per l’offerta dell’incenso.
Ma le offerte sacrificali consistevano soprattutto in animali: bovini, ovini e colombi. Il principale sacrificio era l’olocausto (termine greco che significa “interamente bruciato”; in ebraico ‘olah = “ciò che sale”), in cui tutta la vittima veniva bruciata. Esistevano poi i sacrifici di espiazione e di riparazione per le colpe commesse involontariamente, e i sacrifici pacifici o di comunione che venivano offerti per gratitudine o per devozione e che terminavano con un banchetto gioioso.
Il perdono dei peccati veniva invece chiesto con il gran rito del Kippur, giorno in cui il sommo sacerdote, dopo aver offerto sacrifici per sé e per la propria famiglia, entrava nel Santo dei Santi portando il sangue delle vittime, tori e capri, e invocava ad alta voce il nome del Signore, il Nome indicibile che nessun altro doveva pronunciare, rappresentato dal Tetragramma JHWH.
Ogni giorno nel tempio venivano offerti, oltre ai sacrifici dei devoti, due sacrifici perpetui (tamid), mattina e pomeriggio. Un grande significato avevano inoltre le offerte votive spontanee, elargite anche senza una motivazione precisa, che rappresentavano una parte essenziale del tesoro del tempio.
Il mercato
Questi traffici erano necessari alla vita del tempio: i mercanti per la vendita degli animali da sacrificare ai pellegrini che venivano da lontano; i cambiavalute per cambiare il denaro profano, che recava l’effigie dell’imperatore e degli dèi pagani, nella moneta del tempio, mediante la quale, unicamente, si potevano fare le offerte. Lo scandalo consisteva nel fatto che il mercato, che avrebbe dovuto rimanere esterno all’area sacra, era stato introdotto all’interno nell’atrio dei Gentili, dissacrandolo. Sembra che questo mercato interno vi sia stato introdotto da Caifa nell’anno 30, mentre fino ad allora i fedeli avevano dovuto servirsi di mercati esterni come quello gestito dal Sinedrio nella valle del Cedron. Gesù non era l’unico a chiedere: via i mercanti dal tempio!
L’episodio evangelico: Via i mercanti dal tempio!
L’episodio è riportato da tutti e quattro gli evangelisti, ma con differenze marcate fra Giovanni e i sinottici. Vediamole in particolare.
La cronologia
La cronologia. In Giovanni 2,13-25 l’episodio è collocato all’inizio della vita pubblica di Gesù, nei sinottici alla sua conclusione. Benché solitamente la cronologia giovannea sia più attendibile, in questo caso è più plausibile, storicamente, la cronologia sinottica. Infatti, un simile incidente avvenuto all’inizio del ministero pubblico di Gesù l’avrebbe subito stroncato impedendone il proseguimento. È funzionale alla teologia del IV Vangelo presentare all’inizio l’episodio in cui Gesù si proclama vero Tempio del Signore, dopo essersi manifestato, alle nozze di Cana, come Sposo, e dopo essere stato proclamato, dal Battista, vero Agnello di Dio.
I dettagli
I particolari dell’episodio. Giovanni è più dettagliato dei sinottici e menziona espressamente e distintamente le tre categorie di animali destinati al sacrificio: bovini, pecore e colombe. Inoltre, riferisce anche lo strumento di cui Gesù si serve per cacciare i mercanti: un flagello fatto di funicelle. Tutto questo ha un particolare significato.
Via i mercanti dal tempio! Il significato più profondo
Il significato fondamentale è un po’ diverso in Giovanni rispetto ai sinottici. Nei sinottici quella che compie Gesù è essenzialmente una “purificazione” del luogo di preghiera, trasformato in spelonca di ladri. Il suo è un gesto tipicamente profetico. In Giovanni si tratta della cessazione dei sacrifici antichi, simboleggiata dalla liberazione di bovini, pecore e colombe, e della proclamazione che il nuovo tempio sarà il corpo di Cristo. È un gesto messianico, come vedremo. Gesù libera gli animali dal regime sacrificale ed instaura un culto più perfetto di cui il rito antico era la prefigurazione: questo nuovo culto avviene nel tempio che è il suo corpo, è il sacrificio della croce, è avvenuto una volta per tutte, e non deve essere più ripetuto se non misticamente nell’azione liturgica.
Il flagello del Messia
Quello di Gesù è in Giovanni un atto messianico ben più importante che nei sinottici: non per niente egli lo sottolinea procurandosi un flagello. Per coloro che attendevano il Messia, questi sarebbe venuto impugnando un flagello per castigare i perversi (Talmud b. Sanh. 98b). C’è un vocabolo, in ebraico, chevel, che significa afflizione e designa nella letteratura rabbinica le afflizioni del Messia, i dolori come un travaglio di parto da cui dovevano nascere i tempi messianici (cfr. in Mt 24,8; Is 26,17; Ger 22,23; Os 13,13). Questo termine, chevel, secondo specialisti del settore come Strack-Billerbeck, era già usato da R. Eliezer (ca. 90 E.V.) e quindi probabilmente conosciuto al tempo di Gesù. Usato quasi esclusivamente al singolare, significa dolori (di parto), doglia, ma anche corda!
Il Messia veniva infatti rappresentato munito di una fune / un flagello con il quale avrebbe eliminato i comportamenti malvagi fustigando i vizi e le pratiche empie. Questa immagine, a causa dell’ambiguità del vocabolo, consente alla metafora di funzionare nei due sensi: come flagello, dal punto di vista del Messia che con esso infligge dolori agli empi; come afflizioni, dal punto di vista di chi li soffre. Del resto, anche in italiano la parola “flagello” indica sia lo strumento di punizione sia le calamità (il flagello della guerra, ecc.).
Si spiega così come in Gv 2,15 Gesù si muova nel tempio munito di un phraghéllion, con il quale inaugura i tempi messianici; ma anche con una differenza sostanziale e profonda, un vero e proprio punto di rottura con l’idea messianica dell’epoca. Nel pensiero rabbinico, i dolori del Messia sono quelli che infliggerà ai perversi; nel pensiero cristiano, sono le sofferenze che il Cristo non infligge, ma assume su di sé. Infatti…
Non sacrifici ma guarigioni
Infatti, grazie alla liberazione portata da Gesù, entreranno nel santuario, secondo Matteo 21,24, ciechi e zoppi, che non avevano accesso al tempio in quanto impossibilitati a seguire rigorosamente le regole di purità, e verranno guariti. La vecchia economia ha trovato il suo compimento: Gesù non fa sacrifici ma guarigioni. Il tempio è solo una casa di preghiera, che restituisce all’uomo la sua dignità; non chiede più sacrifici animali: l’unico sacrificio sarà la croce.