Lettura continua della Bibbia. Via Crucis (Marco 14,53-15,47)

Via Crucis
Cristo davanti a Pilato. Di Mihály Munkácsy (1881) – Mihály Munkácsy, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=230979

La condanna di Gesù è già decretata, ha solo bisogno di essere ratificata ed eseguita, e per questo occorre mettere in campo il potere romano. È escluso che per quanto riguarda il “processo” ebraico si sia trattato di una riunione ufficiale del Sinedrio, che non poteva radunarsi di notte, tanto meno la notte di Pasqua. Può essere stata una consultazione ufficiosa.

Ma il risultato è lo stesso, la chiara intenzione di ottenere una condanna a morte: perché il Sinedrio era preposto a regolare la vita di Israele, ma sotto i romani non aveva lo jus gladii, cioè il potere di comminare e fare eseguire una condanna a morte. il problema non era di semplice soluzione: il Sinedrio voleva la morte di Gesù ma non poteva né condannare alla pena capitale né eseguire la sentenza; solo i romani lo potevano. D’altra parte, i romani non erano minimamente interessati alle questioni religiose, ma solo al mantenimento dell’ordine pubblico per la sicurezza dell’impero. Dunque…

Via Crucis: il processo (Marco 14,53-15,20)

Quella di Gesù è una lunga Via Crucis. L’arresto, poi il processo. Il racconto del processo a Gesù (Marco 14,53-15,20) presenta vari gruppi che si riuniscono infierendo in vario modo su di lui.

Via Crucis: davanti al Sinedrio

Il primo è il Sinedrio coalizzato contro Gesù; ma perché le accuse vengano convalidate, secondo la legge (Dt 17,6), occorrono almeno due o tre testimoni concordanti. Le apparenze della legalità vanno salvaguardate. Poiché le testimonianze sono false, sono discordanti (i testimoni dovevano essere sentiti separatamente). L’accusa principale sembra vertere sull’intento di distruggere il tempio e di riedificarne in tre giorni uno non fatto da mano umana. È evidente, nella comunità post pasquale, il riferimento alla resurrezione: in Gv 2,19-21 Gesù usa proprio questa metafora per annunciarla.

Le sue parole vengono distorte, ma senza risultato. Allora l’iniziativa viene assunta dal sommo sacerdote con una domanda diretta: «Sei tu il Cristo, figlio di Dio?». «Figlio di Dio», nell’ebraismo, era un modo di dire per indicare gli angeli, o il re, coloro che avevano il compito di eseguire la volontà di Dio; non era quindi considerato una bestemmia chiamarsi figlio di Dio. Era piuttosto una bestemmia dirsi il Figlio dell’uomo che viene con le nubi del cielo, attributo divino. Inoltre, in Marco Gesù risponde «Io Sono», pronunciando così l’equivalente del Nome divino «Anokì hu».

I servi

Un secondo gruppo è quello dei servi che si radunano intorno a Gesù per maltrattarlo, accanendosi su di un inerme (14,65). Realizzano senza saperlo la profezia di Is 50,6: «Non ho sottratto la faccia agli oltraggi e agli sputi». Questi sono i servi del Sinedrio, e come i loro nobili padroni si fanno spietati verso colui che si è fatto servo di tutti.

Anche Pietro si unisce al gruppo dei servi e in qualche modo alle angherie: non schernisce Gesù ma lo rinnega tre volte non ostante il canto del gallo gli ricordi le parole del Maestro e le sue millanterie. La prima volta è un monito, la seconda volta è un rimprovero che gli fa ritrovare se stesso. Il suo pianto è di pentimento; ma intanto anch’egli, il discepolo per eccellenza, si è unito alla schiera dei persecutori.

Una parola anche sul canto del gallo.

Il gallo è l’animale intelligente per eccellenza (cfr. Gb 38,36), ma il «canto del gallo» è anche un’ora della notte. Non stiamo dunque a chiederci, come si fa in certe trasmissioni televisive, se il gallo c’era o non c’era in Gerusalemme, accusando gli evangelisti di falsità col pretesto che il gallo fosse un animale impuro che non poteva stare nella Città santa. Il gallo era animale purissimo, anche se forse ci saranno stati regolamenti civici che proibivano di tenere pollai in città. Ma il canto del gallo, nel silenzio delle ultime ore della notte, si sente anche a chilometri di distanza; inoltre, l’espressione fornisce un’indicazione oraria che non va presa alla lettera, come quando si dice «andare a letto con le galline» o «alzarsi con i polli»…

Una scena di massa

Un ultimo radunarsi del Sinedrio decreta la condanna e la consegna a Pilato. Abbiamo quindi una scena di massa, in cui gli attori sono non solo il potere religioso (i sommi sacerdoti) e il potere politico (Pilato), ma anche la pressione mediatica (la folla) che determina la condanna di Gesù.

Anche qui Gesù tace, dopo aver riconosciuto la propria regalità («Tu lo dici», che può significare anche «Questo lo dici tu»), non certo nel senso in cui la intende Pilato.

I soldati

Anche qui, un gruppo minore di subordinati infierisce sull’inerme: i soldati, incaricati di flagellarlo, lo beffeggiano rivestendolo di porpora regale, incoronandolo di spine e riverendolo per scherno. Così facendo, senza volerlo e senza saperlo proclamano la verità: Gesù è re, e non solo dei giudei, visto che sono i pagani che si prostrano davanti a lui. Due volte Gesù ha riconosciuto la sua identità: di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, giudaicamente, davanti al Sinedrio; di Re, romanamente, davanti a Pilato. Pietro ha rinnegato invece, e per tre volte, di riconoscerlo, ha rinnegato il proprio essere discepolo.

Così, finendo davanti al giudizio di Roma, che si preoccupa solo di casi politici e non certo religiosi, l’accusa contro Gesù si snatura. La vita di Gesù viene scambiata con quella di un terrorista: la sua fine non sarà quella di un profeta, ma di uno zelota. A Gesù è stata rubata anche la sua propria morte, in quanto la sua si tramuta da condanna per bestemmia, comportante la lapidazione, a condanna per terrorismo, comportante la crocifissione… La morte di Gesù, di cui è responsabile Pilato con la sua arrendevolezza e di cui maggiori responsabili sono i capi giudei, è dovuta anche all’abbandono da parte della folla e dei discepoli; quella folla e quei discepoli che siamo anche noi.

Via Crucis. L’esecuzione della condanna (15,21-47)

Crocifisso di Salvator Dalì (1951). Fonte immagine: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/en/8/8c/Christ_of_Saint_John_of_the_Cross.jpg

Siamo ormai in piena Via Crucis.

I Salmi della Passione del Giusto

Il racconto della Passione è intessuto di versetti di salmi, perché la morte di Gesù secondo i discepoli che hanno fatto esperienza della sua Resurrezione dà compimento a quanto gli antichi salmisti avevano detto di lui senza saperlo. Quello che nei lamenti degli oranti è solo metafora, espressione figurata di una immensa sofferenza, nella passione del Cristo diviene realtà.

Il Sal 22,19 recita: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sul mio vestito hanno gettato la sorte».

Nel Sal 22,8 leggiamo: «Tutti coloro che mi vedono mi scherniscono, storcono le labbra, scuotono il capo».

Nel Sal 22,1: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

In Sal 69,22: «Nella mia sete mi hanno fatto bere l’aceto».

Per tutta consolazione, quello che viene offerto a Gesù è vino drogato con spezie, una bevanda preparata dalle pie signore di Gerusalemme, che doveva servire a stordire il condannato ed a rendergli meno dolorose le sue ultime ore; ma egli non ne prende.

Via Crucis: il Cireneo e i pagani

Che cosa sarebbe la pratica devozionale della Via Crucis senza il Cireneo? Giovanni non lo menziona, ma nei Sinottici la sua presenza è incisiva. I discepoli sono assenti dal cammino della croce, persino Simone detto Pietro: ci sarà un altro Simone al fianco di Gesù, a portare la croce per lui, un uomo di Cirene che la comunità di Marco conosce; ci saranno i due ladroni che ne condividono la sorte; ci saranno i crocifissori. Lo condurranno al luogo della desolazione, il Golgotha. Il luogo in cui anche il Padre sembra assente.

Eppure, la salvezza brillerà in queste tenebre: lo preannunciano anche i nomi dei componenti della famiglia di Simone (nome tipicamente ebraico), padre di Alessandro (nome greco) e di Rufo (nome latino), proveniente da Cirene in Africa, rappresentanti delle regioni in cui il cristianesimo si stava diffondendo.

La salvezza brillerà fra gli stessi ladroni, di cui uno, ci dirà il solo Luca, sarà il primo dei salvati. Mantengo la traduzione tradizionale del greco lestés, che significa, sì, ladro, ma che all’epoca, come si riscontra in Giuseppe Flavio, designava di spregiativamente il terrorista, il partigiano (cfr. il nome Banditen attribuito ai partigiani nostrani). Infatti, il supplizio della croce era riservato agli schiavi che si erano macchiati di gravi crimini ed a coloro che avevano attentato alla sicurezza dello stato, mentre non era comminabile per i cittadini romani (Pietro sarà crocifisso, mentre Paolo, cittadino romano, sarà decapitato).

E la salvezza si fa strada anche fra i crocifissori, il cui capo, il centurione, sarà il primo uomo a proclamare la divinità di Cristo.

I particolari della Passione

Marco è crudamente realistico nel rappresentare gli scherni che accompagnano l’agonia del Crocifisso. Passanti, sommi sacerdoti, scribi, persino coloro  che condividono il suo stesso supplizio lo scherniscono e lo provocano. Le tenebre esteriori che calano sulla terra a metà del giorno sono il segno apocalittico di una fine, ma anche il segno di una oscurità interiore che avvince l’agonizzante.

Questa oscurità dell’animo gli strappa un grido che è una preghiera: perché il Salmo 22, di cui il grido di Gesù è precisamente l’inizio, contiene il sommo grido di fiducia Dio mio sei tu (ebraico Elì attah), di identica pronuncia dell’aramaico Elihà tà, nella lingua di Gesù «Elia, vieni», scambiato per una invocazione al profeta, assunto vivo in cielo e da lì soccorritore dei morenti.

In Marco, le parole che accompagnano l’offerta di aceto (in realtà la posca, il vino d’ordinanza delle truppe romane, dissetante ma acidulo) suonano come una sfida a Gesù, a Elia e a Dio.

Il centurione e l’ultima barriera

C’è però qualcosa, in Gesù, che convince il centurione della sua divinità. Proprio attraverso di lui, pagano, si squarcia l’ultimo velo tra Dio e gli uomini, così come, squarciandosi il velo, nel tempio cade l’ultima barriera tra il Dio Santo dei Santi e l’umanità peccatrice: quel velo che solo un uomo, il sommo sacerdote, osava oltrepassare soltanto una volta all’anno, nel giorno dell’Espiazione, adesso non divide più l’uomo da Dio.

Tre tipi di testimoni si trovano al cospetto della morte di Dio nella persona del Figlio:

  • Il velo squarciato nel tempio
  • Il centurione di fra i pagani: in lui, ogni uomo ormai è capace di riconoscere che Cristo è Dio
  • Il gruppo delle donne che serviva Gesù in Galilea. I discepoli sono fuggiti, non lo hanno seguito neppure da lontano. Due di queste donne, Maria Maddalena e un’altra Maria, fanno da anello di unione fra le tre scene che si stanno aprendo: morte – sepoltura – sepolcro vuoto, di modo che rendano testimonianza che quel Gesù che è risorto è quello stesso che è morto sulla croce ed è stato sepolto.

Via Crucis: al sepolcro

Non vi è dubbio, infatti, che Gesù sia veramente morto: lo attesta il centurione. Giovanni parlerà anche del colpo di lancia, che equivaleva alla punctio cordis, l’accertamento della morte mediante trafittura del cuore, non al colpo di grazia, che per i crocifissi veniva inferto con il crurifragium, lo spezzamento delle gambe che facendo cadere in basso tutto il peso del corpo provocava la compressione dei polmoni e quindi una morte rapida. È proprio un corpo morto quello che viene avvolto in una sindone, un tessuto di lino pregiato.

Era la Parasceve, la preparazione del sabato: al tramonto, Gesù entra nel riposo del sabato. È Giuseppe di Arimatea, membro del Sinedrio, a occuparsi di questo. Ma mentre lui, figlio del popolo eletto, si limita ad attendere il regno di Davide ed a seppellire colui che aveva sperato riportasse il Regno sulla terra, il centurione pagano lo precede nella fede proclamando che Gesù è Figlio di Dio. Le donne, da parte loro, osservano in silenzio.