Verso la Pasqua. Venerdì Santo

Venerdì Santo. Il Crocifisso di San Damiano rappresenta il Cristo glorioso della Passione secono Giovanni
Il Crocifisso di San Damiano raffigura la Passione secondo Giovanni. Il Cristo è già glorioso, con gli occhi aperti, eretto sullo sfondo nero che rappresenta la morte. A fianco, la Madre col Discepolo Amato.

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Venerdì Santo. Oggi non si celebra la Messa, si celebra il rito della venerazione della Croce. Gesù, sottratto ai suoi, è oggi il Crocifisso, morto e sepolto. Il racconto della Passione che viene letto il Venerdì Santo è, ogni anno, quello del Vangelo secondo Giovanni, che ha caratteristiche particolari rispetto ai vangeli sinottici. Giovanni infatti accentua alcuni aspetti che nella tradizione di Marco / Matteo, ed anche in quella di Luca, sono lasciati più in ombra.

Il libro della Gloria

Il racconto della Passione, in Giovanni, è come incastonato in quella seconda parte del IV Vangelo che i critici chiamano il Libro della Gloria, o il Libro del Compimento; anzi, lo occupa quasi per intero. Il prologo è rappresentato dal racconto dell’Ultima Cena, con quel gesto di lavanda dei piedi dei discepoli che è un gesto di servizio ma è anche un segno che prelude alla passione e morte; l’epilogo è rappresentato dai racconti del Risorto.

Il racconto di Giovanni mette in evidenza la regalità e la divinità di Cristo. La croce è il suo trono di gloria, e il narratore tende ad omettere i particolari più cruenti e umilianti, se non quelli che servono a mettere in luce le qualità di Gesù. Vediamo qualche particolarità, senza pretendere di fare un commento completo.

Volontarietà della consegna

I discorsi della Cena danno la chiave di lettura di quello che avverrà. Poi, l’arresto: un arresto a cui Gesù – l’evangelista ha cura di sottolinearlo – si consegna volontariamente, dopo un triplice Io Sono con cui Gesù affronta i suoi persecutori. Non il banale «Sono io»; ma la proclamazione solenne del Nome divino (Io Sono è Dio in persona, nell’Antico Testamento), che atterrisce i catturatori facendoli retrocedere e stramazzare per terra.

Il processo a Gesù

Gesù e Pilato (interpretato da Rod Steiger) nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli: QUI.

Mentre nei sinottici è processato nel sinedrio davanti a Caifa, secondo il vangelo di Giovanni Gesù è preliminarmente interrogato dal suocero di questi, Anna. È in questo contesto che Pietro pronuncia il suo triplice rinnegamento: «Non sono», che fa da contrasto alla triplice affermazione dell’Io Sono divino di Gesù.

Il processo romano in Giovanni è molto sviluppato; è basato sulla regalità di Cristo ed al centro esatto del racconto presenta infatti la sua persona coronata (di spine) e rivestita di porpora (per scherno) come il re dei re (Gv 19,5).

Pilato sembra interessato ad avere chiarimenti da Gesù. Rimane in sospeso la domanda (18,38): Tí estin alétheia? Che cos’è la verità? Che in latino suona: Quid est veritas? Si può pensare che Pilato l’abbia pronunciata, quasi fra sé e sé, in latino. Ebbene, sapete quale sorprendente risposta si ha anagrammando la frase? Est Vir qui adest, ovvero: È l’Uomo che è qui

La Via Crucis

Il Figlio amato

Gesù porta da solo la croce, non ha un Cireneo che lo aiuti come avviene invece nei sinottici. Ci sono altre spiegazioni di questo particolare, ma quella che ci interessa in questo momento è collegata a Isacco come prefigurazione di Gesù. Isacco è il figlio amato che reca la legna salendo il monte del sacrificio. Giovanni, nella scena dell’interrogatorio in casa di Anna, ha avuto cura di evidenziare per due volte come Gesù fosse stato legato. Questo avviene anche ad Isacco sul monte dell’olocausto; tanto è vero che gli ebrei chiamano l’episodio non sacrificio di Isacco ma legatura di Isacco (‘aqedah). Giovanni aveva scritto infatti: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, affinché chi crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (3,16). Il momento è venuto, ed è questo.

Il titulus crucis

Tutti gli evangelisti registrano la presenza dell’iscrizione sulla croce, ma questa assume in Giovanni un’importanza particolare perché è una involontaria professione di fede nella regalità di Gesù. Forse un lapsus di Pilato, che non volendo proclama Gesù re, invece di denunciare la sua pretesa di farsi re. È la tipica ironia giovannea, per cui anche nell’errore emerge la verità.

La spartizione delle vesti

Anche questo elemento è presente in tutti gli evangelisti, ma in Giovanni assume una rilevanza particolare. Infatti, non solo il racconto di Giovanni è più dettagliato e più aderente a Sal 22,19 che cita esplicitamente, ma riporta il particolare della tunica inconsutile, fatta d’un solo pezzo senza cuciture, che i soldati non vollero lacerare per non farle perdere valore, ma se la giocarono. È chiaro come questa scena di ordinario supplizio (i carnefici avevano il diritto di impadronirsi dei beni che il giustiziato portava addosso), al di là del valore storico, abbia un valore simbolico: la tunica, simbolo del sacerdozio di Cristo (era il sommo sacerdote che, secondo Filone di Alessandria, indossava una tunica senza cuciture), non si lacera con la sua morte, e i figli di Dio dispersi ritrovano in lui la loro unità.

Sotto la croce

Non mi soffermo su questo momento del racconto giovanneo perché lascerò la parola alle riflessioni di don Enzo Greco al termine di questa pagina.

La morte e il colpo di lancia

Altre differenze del racconto giovanneo rispetto ai sinottici si riscontrano nella scena della morte di Gesù. In Giovanni, la morte di Gesù avviene mentre al tempio si sacrificano gli agnelli pasquali. Inoltre, Gesù china il capo e consegna lo spirito. Cioè, abbandonando la propria vita alla morte, con un gesto volontario, comunica lo Spirito alla Chiesa nascente, rappresentata dalla Madre e dal Discepolo amato. Non è il semplice emettere lo spirito (Matteo) o spirare (Marco e Luca). Ma c’è di più.

In un supremo atto di ipocrisia, coloro che avevano mandato a morte un innocente chiedono che i corpi dei giustiziati vengano rimossi per non profanare il Sabato, che nella cronologia giovannea è anche la Pasqua. I soldati vanno ad effettuare il crurifragium, cioè la frattura delle gambe, ai crocifissi. È il colpo di grazia, se così si può dire: un atto che affrettava la morte perché i condannati, non potendosi più sostenere eretti, morivano subito. Ma Gesù era già morto, e su di lui non viene praticato il crurifragium, ma l’accertamento della morte, la punctio cordis, come voleva il diritto romano: un colpo al cuore certificava la morte (più di così!). Un gesto di ordinario supplizio, anche questo. Ma Giovanni, il testimone, vede in tutto questo molto di più.

A Gesù non viene spezzato alcun osso, come nell’agnello pasquale (Es 12,46): l’Agnello pasquale è lui, dall’inizio alla fine del IV Vangelo, nelle parole di un Giovanni (detto il Battista) e nella testimonianza del Discepolo amato (il secondo Giovanni).

Inoltre, dal cuore trafitto sgorgano subito sangue ed acqua. «Guarderanno a colui che hanno trafitto», commenta Giovanni citando Zc 12,10. Ma questo sangue e acqua sono i sacramenti primordiali della Chiesa, il sangue eucaristico e l’acqua battesimale, che danno vita alla comunità dei figli di Dio rappresentata presso la croce dalla Madre e dal Discepolo. Questo atto di morte è una festa di vita.

La sepoltura

Qui si fa protagonista un discepolo occulto di Gesù, Giuseppe di Arimatea, citato anche dai sinottici; ma in Giovanni gli si accompagna Nicodemo, quello che aveva cercato Gesù di notte, e che porta 100 libbre di mirra ed aloe per l’unzione: una quantità spropositata, più di 45 chili. Il contesto, più che funebre, è sponsale: è nel Cantico dei Cantici che si ha il trionfo degli aromi in funzione amorosa. Gesù, come a Cana, torna ad essere lo Sposo, per una sposa che è attesa.

Gesù è Sposo, tanto più che, come nel Cantico dei Cantici, lo scenario dell’azione è – lo dice solo Giovanni – un giardino (kepos); così come in un giardino (kepos: 18,1) Gesù era stato arrestato. In questo giardino il Risorto incontrerà la Maddalena. Tutto il racconto della Passione di Giovanni è racchiuso da questa parola e da questo scenario: un giardino. Il luogo dell’amore. Ed anche, in virtù della tipica ambivalenza giovannea, il luogo della caduta originaria (il giardino dell’Eden) e il luogo del ritorno a Dio dell’umanità redenta…

Dalle «Catechesi» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Catech. 3, 13-19)

Vangeli Rabbula (VI secolo), miniatura della crocifissione
Vangeli Rabbula (VI secolo), miniatura della crocifissione

Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell’Antico Testamento.
    «Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (cfr. Es 12, 1-14). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l’uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell’antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.
    Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il vangelo, s’avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue. L’una simbolo del Battesimo, l’altro dell’Eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accadde per l’Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.
    E uscì dal fianco sangue ed acqua (cfr. Gv 19, 34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell’acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell’Eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del Battesimo e dell’Eucaristia. E i simboli del Battesimo e dell’Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.
    Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l’espressione: «ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gn 2, 23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l’acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l’acqua durante il sonno della sua morte.
    Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.

Riflessioni di don Enzo Greco per un ritiro spirituale di Pasqua, 1996

Venerdì Santo. Pietro Cavallini, Crocifissione
Pietro Cavallini, Crocifissione

Dal Vangelo secondo Giovanni 19,26-27

26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

«Iniziamo questo ritiro spirituale soffermandoci sull’importanza di questo testo mariologico: Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre” e da quell’ora, come dice la traduzione dal greco, si realizza il compimento della salvezza. Avviene questa rivelazione del discepolo amato da Gesù e della madre, simbolo della chiesa che è la madre di tutti i discepoli e madre di ogni cristiano; da quel momento il  discepolo riceve la consegna della madre di Gesù come la propria madre, come si legge nella traduzione greca, “ed egli la prese nella casa sua”.

A questo punto, data la traduzione letterale del testo, come l’ha scolpita l’evangelista, vediamo la riflessione che possiamo fare: tra il gruppo delle donne partecipanti alla prima Messa di Gesù, alla prima offerta di Gesù, perché questa è la vera e propria Messa di Gesù, emerge in maniera particolare Maria della quale l’evangelista dice “stava presso la croce” aderiva, era pienamente partecipe della croce.

Da che parte stai?

Ecco allora, la prima suggestione della nostra riflessione: anche noi siamo chiamati a vivere  questa settimana santa, in cui si ricordano i misteri della nostra redenzione, culminanti nel mistero pasquale:  passione,  morte e risurrezione di Gesù.

Siamo chiamati ad essere, non solo presenti fisicamente, ma presenti con una presenza di adesione personale, di schieramento: da che parte stai? Dalla parte della croce o no? Questo lo sa il cuore, non lo sa la memoria perché la mente potrebbe rispondere che noi siamo cristiani e quindi evidentemente siamo dalla parte della croce. L’adesione è quella del cuore: da che parte stai nei misteri della redenzione, che per noi cristiani hanno quel grande significato che ben conosciamo. Maria stava con il cuore, con l’adesione, presso. Notate questo “presso”, viene usato anche nel prologo di Giovanni quando viene detto “E il Verbo era presso Dio”: è la preposizione di comunione: Maria, dunque, illumina la nostra partecipazione al sacrificio di Cristo che è una partecipazione di comunione con la croce di Cristo:  riflettiamo su questa prima suggestione.

Il discepolo che Gesù amava

La seconda suggestione:anche Giovanni stava presso la croce e Gesù, lo vede stare presso la croce. Il primo esempio viene da Maria, di come si sta sotto la croce, e indica a noi come stare e come schierarsi. Ecco cosa vuole dire vivere la settimana santa: è uno stare contemplativo, spirituale,  uno stare che non  è semplicemente fisico, è un decidere di stare come la Madonna lo è stata per davvero, con uno stare di adesione.

Il discepolo rappresenta tutti noi: il discepolo dice il vangelo, che “Gesù amava”, il soggetto è Gesù perché se io dicessi il discepolo prediletto, che non è nel testo originario, significa prediletto da Gesù, passivo; invece il testo greco dice: “il discepolo che Gesù amava” e in questo testo si riesce a trovare un elemento interessante: il segno che Gesù lo amava è perché lo rendeva partecipe pienamente presso la croce.

Quest’ annotazione che l’evangelista fa è interessante: “Gesù mi ama”, ecco il discepolo ideale– lo stare ideale – perché ci consente di essere in comunione con quel sacrificio, in comunione con Gesù. E tutto questo è legato a quell’ora, l’ora di Giovanni è il momento culminante della nostra salvezza, quindi la scena rivela qualcosa di estremamente importante, è una rivelazione: ci rivela che c’è Maria, la Madonna, il tipo, l’esempio, il simbolo della Chiesa che sta presso la croce, cioè aderisce, è in comunione con la croce.

C’è il discepolo che scopre di essere amato da Gesù nel momento in cui scopre di essere in comunione con l’evento principale: “Gesù e la sua croce”,  è un grande dono di Dio il poter  “stare”.

La consegna

Possiamo ancora spingere la nostra riflessione su questa scena aggiungendo ancora,  nell’annotazione, l’espressione “Donna ecco tuo figlio!”. C’è la consegna a Maria: noi siamo consegnati, come Giovanni a Maria, è Maria, infatti l’esempio della Chiesa, ciò vuol dire che noi siamo consegnati alla Chiesa. Questo significa un altro grande elemento: – che a noi è consegnato il sacrificio di Gesù – pensate, – a noi è consegnato il sacrificio di Gesù! – Noi come Chiesa abbiamo questo in eredità! Diventiamo figli, ma diventiamo anche “madre”. Da qui la dimensione missionaria, la chiesa è missionaria perché  è madre, a cui Gesù ha consegnato i figli, che sono i futuri discepoli della Chiesa. Questo è il senso profondo della missionari età della Chiesa. “Figlio, ecco tua Madre”.

C’è un rovesciamento di fronte e da quel momento, da quell’ora il discepolo la prese a casa sua. La prese nel suo intimo, come dice la traduzione dal greco, non la casa materiale ma la Chiesa che ha in consegna tutto il testamento di Gesù.

Alcuni spunti di riflessione 

Nella Settimana Santa ci trasferiamo ai piedi della croce, ci trasferiamo ogni volta che facciamo l’Eucaristia, ma a maggior ragione siamo consegnati, in questo sviluppo del Triduo Pasquale, ai piedi della croce dove c’è Gesù che offre il suo sacrificio.

La politica di Dio

E cosa siamo chiamati a fare? A schierarci perché la croce è la grande politica di Dio per cambiare il mondo, la politica del dono e dell’amore. Quindi, più che essere preoccupati in questi giorni, di una presenza fisica, dobbiamo decidere la nostra adesione: – è una verifica la croce! – Sto, dalla parte di quella logica completamente nei fatti di tutti i giorni, nelle scelte?  O sono da un’altra parte? Sono, uno che aderisce a quel sistema lì, sposo quel tipo di politica,  sono schierato?  Chi è schierato, cambia anche il suo sistema di vita, il suo modo di pensare, come le scelte politiche di ognuno rivelano la propria scelta di sensibilità, non rivelano soltanto un voto in una scheda, ma rivelano anche gli orientamenti  della propria vita.

La politica di Dio nei confronti dell’umanità è l’amore. Qui c’è da votare un grande segno:  quello della croce. Da che parte sto.

Maria, ci inserisce in questa realtà: oggi, ognuno di voi, nella propria riflessione cercherà di identificare la croce nelle proprie scelte  di vita per indicare da che parte sta. Potrei essere un tifoso della croce, ma non uno che ha sposato una logica di questo tipo nei fatti, come è invece successo a Maria e ai suoi discepoli; anche noi nella Settimana Santa siamo chiamati a fare una scelta rivelativa.

Un interrogativo incalza: come in comunità siamo sotto il segno della croce? È questa la logica che costruisce la nostra vita di tutti i giorni e il nostro stare insieme, è la logica del dono?

Siamo dentro la grande politica di Dio nei confronti dell’umanità?

Anche noi siamo personaggi sotto la croce, come le varie presenze fisiche che la si trovavano; sono gli altri evangelisti, infatti, rispetto a Giovanni che integrano sotto la croce altri personaggi. Gesù compie il suo sacrificio sotto la croce, alla presenza di Maria, e di Giovanni,  e ci sono in compagnia di Gesù due briganti: non ha scelto due persone perbene, ci sono due briganti, e uno lo associa al suo sacrificio.

Quando sono schierato nella logica di Dio, allora scopro anche io di essere un discepolo che Gesù ama. Io sono amato da Gesù quando ho veramente e finalmente la gioia di cambiare e orientare la mia vita e di essere schierato da quella parte, di essere identificato in quella scelta.

L’identità cristiana sotto la croce

 Metterei, allora, uno spunto di riflessione comunitario uno scambio che può essere molto interessante, e lo spunto è questo: di fronte a questa scelta come riscopriamo la nostra identità cristiana sotto la croce? C’è un modo di vedere l’identità cristiana sotto la croce alla luce del brano scelto?

Ecco, la vera comunione con Cristo è l’ideale di questo stare sotto la croce espressa dai verbi forti del testo letterario: essere in comunione con Cristo sotto la croce, sotto il segno della croce.

La croce per noi cristiani lega diversi significati, ma il significato centrale nel vangelo di Giovanni, il significato glorioso è l’amore verso il Padre e verso il prossimo. Vorrei dirvi quello che si dice a volte alla gente comune: “stringi stringi, la vita cristiana si  testimonia se abbiamo amore verso il prossimo, amore verso gli ultimi, verso gli altri”.

Comunione con il Crocifisso, comunione con i tanti crocifissi

Questo nel vangelo di Giovanni è centrale e significa stare sotto la croce. Attenzione che lo stare sotto la croce non sia un fatto intimistico, qualcosa del tipo: “Gesù comprende i nostri dolori ……”. Sì, certo, ma Gesù comprende i nostri dolori se noi comprendiamo quelli degli altri, se noi ci caliamo nelle scarpe degli altri, se andiamo incontro agli altri. La comunione con il Cristo crocifisso qui esprime anche lo stare in comunione con i tanti crocifissi; questo è l’emblema e il segno di tanti che sono in croce: ecco allora la scelta verso il prossimo, la scelta degli ultimi.

Dice il vangelo di Giovanni: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. L’espressione più forte è la croce cioè stare presso, è bella questa espressione fortissima, perché esprime il massimo della fede cristiana.

Il dono di se stessi

La Chiesa parte di qui; si è detto che diventa testimone credibile, attendibile, quando vive nella storia il dono di se stessa, il dono per gli altri, quando è capace di stare dalla parte di Cristo crocifisso nella storia, e quindi dalla parte di tutte le persone che incontriamo concretamente nelle nostre famiglie: è l’essenza dello Stabat Mater!

Abbiamo ridotto spesso la via crucis a un pianto doloroso e lacrimoso di una scena di pietà, anziché inerpicarci anche noi, nel percorso di una fede cristiana che s’incrocia concretamente con la dimensione dell’altro, nella dimensione del dono di se stessi.

La comunione vera con Gesù è questa.

Dove è Gesù?

Sono in comunione con Gesù, ma dove è Gesù? Spesso, si cerca Gesù chissà dove, ma se leggiamo il vangelo di Matteo al capitolo venticinquesimo abbiamo una risposta chiara e inequivocabile:  Mt. 25,34-40
34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi». 37Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». 40E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

Una Chiesa dunque, che si sposta, si decentra da se stessa per andare verso gli altri: “la grande politica di Dio” per il cambiamento dell’umanità è la politica concreta dell’amore verso il prossimo. Stare presso la croce, indica una scelta di campo, che noi siamo chiamati a fare e quindi un messaggio forte di conversione.

Spesso si accentua la conversione a Dio, ma non c’è vera conversione a Dio se non c’è la conversione agli altri, altrimenti è falsa, è una mistica che non ha un senso, è una mistica che contraddice la croce che è dono per gli altri. A volte mi sembra che della croce facciamo un emblema consolatorio per le nostre croci, mentre quando il vangelo dice chi non prende la sua croce e non mi segue… non vuole dire croce come i propri dolori, i propri dispiaceri, ma la “Sua Croce”, vuole dire la croce di Cristo che è anche tua! E a Cristo la croce sul groppone gliela hanno messa gli altri e l’ha portata, l’ha trasformata in strumento di amore.

Un uomo nuovo

Se l’è andata a cercare, se l’è scelta: sono tutti verbi molto forti. Ecco che allora, concretamente, la scelta si basa sulla scommessa di un cammino della settimana santa, per la costituzione di un uomo nuovo, risuscitato, che cammina nelle strade nuove, che è desideroso di costruire un mondo nuovo! Non è un fatto consolatorio!

Scusate, se scompiglio un po’ gli schemi, ma certe frasi come “Signore, stammi vicino perché le mie sofferenze possano essere da me accettate”, certe preghiere, scusate, mi fanno venire il latte alle ginocchia. Diverso è dire: “Signore stammi vicino perché io stia vicino agli altri!”; “Signore stammi vicino perché io stia dalla parte degli altri!”; “Signore stammi vicino perché io impari a dimenticare me stesso, come hai fatto tu, per stare dalla parte del crocifisso nella vita di tutti i giorni!”.

Questo modo di essere sposta l’attenzione da me all’altro, questa è la dimensione profonda e, nella mia sofferenza posso dire: “ Signore, stammi vicino perché la mia sofferenza diventi preghiera e offerta per l’altro!”. La comunità giovannea dentro lo “Stabat Mater” vede questo! Il segreto è: vuoi vivere da cristiano? Smetti, dunque, di pensare a te stesso e incomincia a pensare agli altri!

L’urlo dalla croce non è il mio, è dell’altro

 L’urlo di Cristo in croce sofferente non è il mio urlo, è l’urlo dell’altro verso cui devo correre; solo se corro verso l’urlo dell’altro che soffre ci sarà il Cristo che corre all’ascolto del mio urlo. Questa è l’inversione concreta, e non a caso, il vangelo di Giovanni fa questa interpretazione del comandamento nuovo, amatevi come io vi ho amato; ecco l’importanza di vivere  la vita  in questa  prospettiva!

Concretamente noi stiamo sotto il segno  della croce, quando siamo presso; io ho detto stare sotto la croce, ma il vangelo dice “presso” vicino, in comunione con Dio, nella comunione del Padre con il Figlio.

Tra di noi, signori miei, per fare comunità c’è un unico segreto: vuoi fare comunità? Ti dice il vangelo di Giovanni: “incomincia a smettere di pensare a te stesso”. “Per favore! Ci pensi un pochino a quell’altri?”. È tutto lì, se non smetti di pensare a te stesso stai sempre a spelare la margherita – mi ama o non mi ama; comincia a smettere di pensare a te stesso, comincia a pensare agli altri. La comunità è come campo di esercizio dell’amore verso gli altri. Questo è estremamente provocante!

Non una fede intimistica, quindi, segui il vangelo che ti dice sposta l’attenzione da te stesso agli altri.

La croce di Maria

Cosa avranno fatto Giovanni e Maria? Ecco il “clou” della serata: cosa è successo sotto la croce di Cristo? Cosa è successo di essenziale? Come hanno partecipato? Una mamma ha smesso di essere la mamma del figlio, ha smesso di piangere perché aveva il figlio in croce; Donna, le dice Gesù, la chiama donna non mamma, ecco tuo figlio, estremamente commovente! Questa mamma che  sta perdendo il figlio che muore in croce, Gesù la chiama donna, ma ci pensate? Donna ecco tuo figlio.

La croce di Maria è stare presso la croce; sta perdendo il figlio e in quel momento Cristo la chiama a donare la sua maternità a noi!  E il discepolo che Gesù amava e che era stato vicino a lui, lo chiama figlio: Ecco tua madre, portala con te. Ecco il luogo della sofferenza: la chiamata di un dono, chiamata a donarsi. Credo che sia una scena estremamente forte, un modo di ripensare e di vivere il nostro stare sotto la croce. Vi prego di meditare questa processione offertoriale: Cristo che si offre, una mamma che piange il figlio, e che si sente rivolgere non una parola di conforto, ma quella che sarà la più grande parola di conforto Donna ecco tuo figlio!; figlio, ecco tua Madre! l’offertorio di Maria e del discepolo.

Di qui parte la Chiesa: da un dono di Cristo al dono di Maria che offre la sua disponibilità, vedi l’Annunciazione, al dono del discepolo modello di ogni credente.