
nella sua stanza al Magdalen College di Oxford.
Una teologia fantastica, quella di C.S. Lewis. Per due precedenti articoli, cliccare QUI e QUI.
Tolkien e Lewis erano entrambi docenti ad Oxford, Tolkien di filologia e inglese antico, Lewis di letteratura inglese medievale e rinascimentale. Hanno dedicato la loro vita di prestigiosi intellettuali allo studio, alla ricerca e all’insegnamento. Maestri del Fantasy, hanno anche saputo percorrere la via della fantasia più sbrigliata per meditare e comunicare i valori in cui credevano, valori sostanzialmente cristiani.
Tolkien ha scelto di velarli nella saga del Signore degli Anelli, Lewis invece ha scelto di manifestarli chiaramente attraverso il linguaggio simbolico della fantascienza, della fiaba e del mito, oltre che della visione onirica (cfr. Il Grande Divorzio) e dell’epistolario immaginario (l’assoluto, incredibile capolavoro che sono le Lettere di Berlicche).
Dopo un lungo periodo di perdita della fede, Lewis nel 1931 si converte al cristianesimo impegnando da allora la propria vita nella diffusione del messaggio evangelico. La sua opera di scrittore diviene quanto mai feconda. Da non credente Lewis era riuscito solo a pubblicare due volumi di poesie di scarso successo; da credente pubblicherà una quarantina di libri compresi dei veri best sellers, ed una ventina di inediti usciranno postumi.
La produzione letteraria di C.S. Lewis
La produzione di Lewis si articola sostanzialmente su tre dimensioni, anzi quattro:
- scritti professionali di critica letteraria e cultura medievale e rinascimentale;
- saggi sul cristianesimo;
- romanzi, tutti di genere fantastico, sette per gli adulti e sette per i bambini (oltre a scritti minori come articoli e racconti);
- a tutto questo si devono aggiungere migliaia di lettere di risposta ai propri amici, lettori, ammiratori, oggi raccolte e pubblicate a cura di W. Hooper.
In quest’ottica, la narrativa diviene espressione di una teologia per immagini non meno profonda di una teologia razionalmente sistematizzata. Del resto l’immagine, secondo Lewis, è imprescindibile per l’espressione e la stessa comprensione dei contenuti della fede.
Teologia per immagini
Con la sua consueta acutezza, lo scrittore spiega come la fede non possa essere da noi espressa in una forma priva di simboli e di metafore.
«Possiamo, se volete, dire che «Dio è entrato nella storia» invece di dire che «Dio è sceso in Terrra». Ma, naturalmente, «entrato» è altrettanto metaforico di «sceso». Abbiamo solo sostituito un movimento orizzontale o indefinito a un movimento verticale. Possiamo rendere il nostro linguaggio più noioso, ma non possiamo renderlo meno metaforico. Possiamo rendere le immagini più prosaiche, ma non possiamo fare a meno delle immagini […] Qualsiasi linguaggio che parla di cose che non siano oggetti fisici è necessariamente metaforico» (C.S. Lewis, La teologia è poesia? in L’Onere della Gloria, Lindau, Torino 2011, p. 112).
Quando si cerca di fare a meno delle immagini, si ottiene… un’altra immagine!
Il pensiero e il linguaggio umano, nei confronti del divino, procedono per analogia con i dati dell’esperienza. Anche quando si cerca di essere più astratti, i risultati sono poco soddisfacenti, se non addirittura comici, come nel caso riferito da Lewis:
«Una ragazza di mia conoscenza era stata educata dai genitori, i quali si credevano dotati di “pensieri più nobili”, a pensare a Dio come ad una “sostanza” perfetta; più tardi nella vita si rese conto che nella realtà ciò l’aveva condotta a pensare a Lui come a qualcosa di simile ad un enorme budino di tapioca (per peggiorare le cose, la tapioca non le piaceva affatto). Possiamo crederci esenti da assurdità di questo grado, ma ci sbagliamo. Sono certo che se uno scruta la propria mente, vedrà le sue concezioni di Dio, da lui ritenute particolarmente avanzate o filosofiche, sempre accompagnate, nel suo pensiero, da immagini vaghe; e se le esamina, le scoprirà ancora più assurde delle immagini di tipo umano suscitate dalla teologia cristiana» (C.S. Lewis, La mano nuda di Dio. Uno studio preliminare sui miracoli, G.B.U., Roma 1987, pp. 85 ss.).
Per quanto astratti vogliamo essere, dobbiamo sempre rifarci all’esperienza umana; in questo, le immagini possono essere valide tanto quanto la concettualizzazione più elevata. Questo spiega la scelta, che Lewis presto fece, di comunicare la sua fede mediante non solo saggi, conferenze e sermoni, ma anche mediante la narrativa, e la narrativa fantasy.
Una teologia fantastica: parlare di teologia senza fare il muso lungo

Fonte: https://www.cslewis.com/tag/kilns/
Come è conciliabile l’uso della fantasia con il fatto che Lewis fosse uno dei più prestigiosi intellettuali del Novecento? Sarebbe come chiedersi con quale diritto Dante nella Commedia esprime la più alta teologia in forma poetica e fantastica. Soggettività fantastica e oggettività realistica sono, in fondo, diversi modi di approccio e di espressione di una sola realtà; il fantastico rappresenta un’ottica divergente ma particolarmente efficace in funzione del fattore sorpresa.
Il «Time» dell’8 settembre 1947, dedicando a Lewis la copertina del mese, lo associava a Chesterton in quanto provvisto di un vero talento per tradurre verità antiche in linguaggio moderno, con erudizione, buon umore e abilità, in «una presentazione rigorosamente non ortodossa della rigorosa ortodossia»; «Lewis (come T.S. Eliot, W.H. Auden, etc.) è uno della crescente banda di eretici tra gli intellettuali moderni: un intellettuale che crede in Dio»; senza sdolcinature, senza diluizioni, senza sconti, «uno che poteva parlare di teologia senza mettere il muso lungo o essere noioso» (Don v. Devil, Covery Story in «Time Magazine», 8 settembre 1947).
Lewis e i linguaggi dell’immaginario
C.S. Lewis ha esplorato un vasto spazio della letteratura dell’Immaginario. Aveva iniziato con un tentativo di utilizzare il genere letterario dell’allegoria pura (con The Pilgrim’s Regress, 1933: traduzione italiana Le Due Vie del Pellegrino, Jaca Book, Milano 1981); tentativo presto abbandonato perché risoltosi in un romanzo laborioso e artificioso che poco ha a che vedere artisticamente con le opere successive.
Lewis si trovò, quasi per scherzo o per scommessa, ad imboccare la strada della fantascienza. Come gli accadde anche in seguito, l’inizio avvenne come per caso, dopo un colloquio con l’amico Tolkien. Nel 1938 i due si erano accordati, impegnandosi Tolkien a scrivere un racconto ambientato lontano nel tempo, Lewis a scrivere invece un racconto ambientato lontano nello spazio.
Tolkien, che era un perfezionista, lasciò incompiuto il suo tentativo, che molto tempo dopo riaffiorò nella saga del Signore degli Anelli prendendo in qualche modo la forma della caduta di Numenor, rivisitazione del mito greco della caduta di Atlantide. Lewis invece in poco tempo portò a termine la sua storia inventando, se così si può dire, un nuovo genere letterario: la fantateologia. Lontano dal Pianeta Silenzioso fu il primo romanzo di una intera trilogia cosmica, ma anche il primo romanzo di alto livello letterario in cui la fantasia di Lewis si incarnò nelle forme dell’immaginario per comunicare il mondo di valori in cui credeva.