Dopo le scene cruente di Giosuè e Giudici, il libro di Rut si distingue per la serenità delle scene dei lavori dei campi e la delicatezza degli affetti.
Ma il libro di Rut, come è dimostrato dal suo epilogo, ha anche chiaramente lo scopo di introdurre e tramandare la genealogia di Davide, in contesto di speranze messianiche. Al tempo stesso, dimostra come la Provvidenza, anche se invisibilmente, guidi le vicende degli uomini e le volga a buon fine. È la storia, delicatamente romanzata, del matrimonio del betlemita Booz con una donna straniera, Rut: i due saranno i bisavoli del re Davide.
Può darsi che il redattore post-esilico sia partito, scrivendo questo racconto, da un nucleo storico di racconti sull’origine moabitica di Davide, assai imbarazzante a quel tempo, che certamente non poteva essere inventata, ma che si cercava di superare dal punto di vista religioso. Nell’epoca post-esilica il matrimonio misto era rigorosamente proibito (Esdra 9; Neemia 13), e questo libretto ha forse il proposito di attenuare tale rigore proponendo un grande esempio del passato in questa donna straniera ricca di virtù.
Una storia di riscatto
E Rut è una storia di riscatto (ghe’ullah):
- dalla fame
- dalla vedovanza infeconda
- dall’estinzione del nome della famiglia
- dall’estraneità
- dall’idolatria
- e, in prospettiva, da ogni male, in virtù della stirpe davidica.
S. Gerolamo commenta a proposito della genealogia matteana di Gesù:
“Nella discendenza del Salvatore non appare nessuna santa donna, ma quelle che la Scrittura rimprovera, affinché colui che era venuto per i peccatori, nascendo da peccatrici, distruggesse ogni peccato. Ecco perché… sono menzionate Rut la moabita e Betsabea moglie di Uria” (In Matth. 1,3).
Tamar, Rahab e Betsabea (Mt. 1,1-6) hanno in comune con Rut il fatto di essere straniere e di manifestare l’universalità della salvezza oltre ogni barriera, oltre ogni peccato.