Quella di Giacomo è una teologia della vita cristiana concreta, secondo la mentalità pragmatica di un buon ebreo. Giacomo si richiama a dei principi, ma vi risale attraverso i casi della vita reale, della sua esperienza.
Sulla base di questi principi, chi è Dio, chi è Gesù Cristo, quale è la natura dell’uomo, Giacomo sviluppa la pratica ideale della vita cristiana. Essa deve essere animata dalla sapienza divina, che si oppone ad una sapienza mondana, demoniaca.
Sapienza è la capacità di trovare nella vita concreta una linea operativa unitaria che permetta un comportamento senza divisioni interiori né incertezze. È quello che il Salterio chiama “un cuore semplice”: non semplice nel senso di ingenuo o ignorante, ma nel senso opposto a “doppio”, cioè “uno”, unificato, in sé non diviso.
Per poter far questo, il discepolo, pellegrino sulla terra, dovrà
- Ascoltare la parola di Dio
- Pregare
- Affrontare le tentazioni alle quali è esposta la vita
- Realizzare nella vita una fede piena
- Occuparsi degli altri evitando il male e cercando il bene.
- La Parola di Dio
La parola della verità (1,18) ci rigenera. È come un seme che agisce in noi con una sua forza che ci conduce alla salvezza.
L’ascolto fecondo richiede
- Il distacco autentico dal male
- La disponibilità nei confronti degli altri
- L’obbedienza ai suoi comandi, altrimenti il discepolo si contraddice e si illude. In questo modo, invece, giunge ad una legge di libertà (1,25).
- La preghiera
La preghiera individuale e comunitaria deve accompagnare il fedele in tutte le circostanze della sua esistenza, quando è abbattuto e quando è lieto, ed anche quando è malato. Deve essere animata dalle fede, ed allora sarà efficace.
- Le tentazioni o prove
Giacomo sembra pensare che non sia il caso di essere troppo ottimisti nella vita. Ci saranno ostacoli, contrasti, prove, tentazioni che sono tendenze al male interne all’uomo, provenienti anche dal diavolo. La prova superata, però, consolida la persona nel bene permettendole di raggiungere la meta, la vita eterna (1,12).
- La fede
Giacomo insiste molto sulla fede, una fede provata nella sua genuinità, che accompagna la preghiera, impedisce le discriminazioni, arricchisce davanti a Dio coloro che sono poveri agli occhi umani.
Ma la fede deve essere viva: non è si tratta di una polemica contro la dottrina paolina della giustificazione per mezzo della fede, ma forse contro una sua distorsione. Sembra impossibile che un ebreo possa interpretare male la dottrina paolina: S. Paolo non sta parlando delle opere buone, delle opere di carità, ma delle opere della legge di Mosè con tutte le sue osservanze.
- La cura degli altri e le disuguaglianze sociali
La comunità dei credenti è una, nella preghiera e nella vita, ma le disuguaglianze sociali, se non corrette, la lacerano. Giacomo è più attento di tutti gli altri scritti neotestamentari agli aspetti sociali della vita del credente. Un favoritismo verso i ricchi minerebbe alla base l’autenticità della vita cristiana stessa.
Ma un modo particolare di danneggiare gli altri è la maldicenza. Giacomo vi insiste grandemente: non si può con la stessa lingua lodare Dio e danneggiare il fratello (3,10).
L’aiuto fraterno, invece, è tanto gradito a Dio da coprire una moltitudine di peccati (5,19-20).