Contestazione di una omelia. Una prima conclusione?

Una prima conclusione?
Ultima udienza pubblica di Benedetto XVI, 27 febbraio 2013. Di Lalupa – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30739442

Nell’omelia no, ma nel pamphlet in cui l’ha pubblicata il Farè addiviene a questo punto ad una ricapitolazione, una prima conclusione. La riporto.

Una prima conclusione secondo Farè

«Ricapitolando, la Declaratio di Papa Benedetto XVI:

  • Nella sua formulazione è solo una dichiarazione e non un atto di rinuncia, e questo la rende inesistente come atto giuridico.
  • Contiene un differimento temporale incompatibile con un atto giuridico puro e con il can. 189 § 3 del Codice di Diritto Canonico. Nuovamente, questi sono motivi di inesistenza dell’atto.
  • Non utilizza l’unico termine specifico (munus) richiesto dall’unico canone del Codice di Diritto Canonico vigente che riguarda la rinuncia del Papa (il 332 § 2), ma ne usa uno differente (ministerium). La dichiarazione nemmeno cita il canone 332 § 2. Se si considera anche la storia della Chiesa, la formula usata da Benedetto XVI differisce per lessico da qualsiasi altra formula di abdicazione. Questo, a seconda dei punti di vista, rende la Declaratio inesistente come atto per mancanza di oggetto o, comunque, la rende un atto nullo per errore sostanziale.
  • Adduce come motivazione l’età avanzata, inaccettabile per una rinuncia al Papato.
  • Contiene errori e “particolarità” di latino.

Tutto questo è sorprendente, se si considera che Benedetto XVI, per sua stessa ammissione, aveva preso la decisione di pronunciare questo discorso con largo anticipo e aveva lavorato personalmente al testo per due settimane. Considerando la profonda conoscenza che Benedetto aveva del latino, delle leggi e della storia della Chiesa è ragionevole pensare che egli abbia intenzionalmente scritto un testo che sulle prime potesse sembrare una valida rinuncia al Papato, senza esserlo veramente».

La risposta a una prima conclusione: tutto fasullo

Ho già risposto a tutto questo, ma sintetizzo anch’io le ragioni per cui le argomentazioni del Farè sono totalmente inconsistenti.

  • Una dichiarazione sarebbe inesistente come atto giuridico? Per la rinuncia del Sommo Pontefice non c’è un formulario: basta che la manifestazione di volontà sia chiara e liberamente espressa. Non occorre citare canoni. La formula Dichiaro di rinunciare è perfettamente equivalente a Io dichiaro. Vedere QUI.
  • Contraddittoriamente, la Declaratio viene adesso considerata un atto giuridico puro? Questa categoria esiste solo come ipotesi nella dottrina del Diritto italiano e non nel Diritto canonico. In ogni caso, il differimento dell’attuazione pratica della rinuncia è irrilevante rispetto all’oggetto dell’atto. Tutt’al più, la rinuncia avrebbe effetto immediato invece che dilazionato. Vedere QUI.
  • Munus, officium e ministerium si equivalgono nella terminologia sia magisteriale che giuridica della Chiesa. La parola munus non ha un diretto equivalente in italiano come invece officium (ufficio) e ministerium (ministero). Il significato prevalente è, in generale, quello di dono. Benedetto XVI, alla luce del Concilio Vaticano II, lo ha inteso nella sua sfumatura teologica, mistica, come partecipazione al munus di Cristo: munus / dono da parte di Cristo e quindi munus / ministero da parte di chi lo riceve. Solo una profonda ignoranza in materia teologica può condurre a non comprendere tale sfumatura. Vedere QUI, QUI, QUI, QUI e QUI: https://www.annagiorgi-ilregnodiaslan.it/dimensione-passiva-del-munus/. Inoltre, ogni abdicazione al Pontificato nella storia della Chiesa è un caso a sé non paragonabile ad altri. Alcuni papi dei primi secoli dovettero rinunciare perché esiliati durante le persecuzioni; Benedetto IX vendette il Pontificato per 2000 lire (di quell’epoca) e fu anche scomunicato: lo vogliamo prendere come modello? Gregorio VI, invece, comprò il Papato e abdicò dopo un anno; la rinuncia di Celestino V, santo eremita, pare sia stata scritta da Benedetto Caetani futuro Bonifacio VIII, che voleva il suo posto: bei campioni… Gregorio XII, che fu l’ultimo, nel 1415 abdicò per cercare di porre fine allo scisma d’Occidente.
  • Ridicolaggine colossale e pretestuosa: Benedetto XVI non rinuncia a motivo dell’età, ma a motivo del declino delle forze fisiche e psichiche causato dall’età. Vedere QUI. I canonisti nella storia della Chiesa hanno cercato di definire le condizioni di ammissibilità della rinuncia, individuandole nel desiderio di dedicarsi alla vita contemplativa e nel caso di impedimenti fisici dovuti a malattia e a vecchiaia, mentre le Decretali di Gregorio IX (1234) ammettevano l’inadeguatezza teologica o morale del papa e l’irregolarità della sua elezione, escludendo invece il desiderio di condurre vita contemplativa. Proprio successivamente alla rinuncia di Celestino V, Bonifacio VIII, che però era di parte, stabilì l’assoluta libertà del pontefice di rinunciare al papato (Quoniam aliqui).Tale norma fu recepita anche dal Codex Iuris Canonici del 1917, nel canone 221, e tale rimane nel nuovo Codice.
  • Gli errori di latino sono irrilevanti e si sommano a successivi errori di italiano dovuti con ogni verosimiglianza all’emozione del momento ed all’umana stanchezza di una persona anziana. Vedere QUI. L’espressione rite manifestetur usata dal Codice di diritto canonico non si vuole assolutamente riferire all’assenza, nella manifestazione di volontà, di errori sintattici o grammaticali. La canonistica l’ha sempre intesa nel senso che la decisione del Papa sia manifestata chiaramente allo scopo di determinare la vacanza della Sede Apostolica e, perciò, l’inizio del conclave.

Ecco smontate le cinque argomentazioni e la prima conclusione di Farè. Si aggiunga l’importante testimonianza di don Georg, segretario particolare di Ratzinger, a conferma dell’assurdità dei cavilli montati da Minutella, Cionci e Farè. Segretario che non è certo un simpatizzante di papa Francesco… Vedere, ad esempio, QUI.

Ma aggiungo anche la testimonianza del diretto interessato, Benedetto XVI in persona, il quale nel febbraio 2014 rispose con una lettera ad Andrea Tornielli, vaticanista de La Stampa, confermando la validità canonica delle sue dimissioni e respingendo le speculazioni che alcuni iniziavano a fare:  “La mia rinuncia è valida. Assurdo speculare sulla mia decisione. Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al ministero petrino. Unica condizione della validità è la piena libertà della decisione. Speculazioni circa l’invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde”.

Una possibilità, quella delle dimissioni, che Benedetto XVI aveva tenuto presente durante gli otto anni del suo pontificato, tanto da parlarne chiaramente nel libro intervista Luce del mondo scritto con il suo biografo Peter Seewald. “Se un Papa si rende conto con chiarezza che non è più capace, fisicamente, psicologicamente e spiritualmente, di assolvere ai doveri del suo ufficio, allora ha il diritto e, in alcune circostanze, anche l’obbligo, di dimettersi” (Andrea Tornielli, La Stampa 27 febbraio 2014).