Vi andrebbe una polpetta… di mammut?

Famiglia di mammut
Mammut lanoso, Zoo di Aalborg. Di Honymand – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48614119

Vi andrebbe di assaggiare una polpetta di mammut?

No, non sono diventata matta (almeno credo), e non è un pesce d’aprile, anche se la notizia è stata diffusa proprio in quei giorni.

No, non siamo dentro un film di fantascienza, e, no, non siamo tornati indietro di 10.000 anni con la macchina del tempo.

Non siamo neppure dentro il film di animazione L’Era Glaciale, e lo scorbutico, caustico, simpatico mammut Manny non ha nulla da temere. Nessun mammut è stato ucciso per farne polpette; anche perché l’animale è estinto da alcune migliaia di anni. E, no, i mammut non sono ancora stati clonati, anche se il progetto esiste realmente, senza scherzi. Eppure, gli scienziati australiani hanno prodotto polpette di mammut in laboratorio… ma si rifiutano di assaggiarle. Perché?

La ricetta

Mammut lanoso
Mammut lanoso, Royal BC Museum, Victoria, British Columbia. Di Tracy O – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4387467

Pare che la procedura non sia poi così difficile. Si prenda una sequenza di DNA della mioglobina, la proteina muscolare, di mammut (che è estinto da almeno 3.500 anni), e si integrino i tasselli mancanti con DNA di elefante (vivo e senza danni). Si inserisca poi la sequenza nei mioblasti di una pecora (viva e senza danni), cioè nelle cellule staminali che si replicano fino ad arrivare a 20 miliardi. Infine si utilizzino le cellule per produrre la carne. Si modelli in forma sferoidale, et voila… ecco fatta la polpetta di mammut.

La polpetta risulta grande in proporzione all’animale, quasi quanto una palla da bowling: ci mangerebbe un reggimento (trovate una foto QUI).

La procedura richiede solo un paio di settimane. Ma non provate ad eseguirla a casa: lasciate fare all’azienda australiana Vow, produttrice della polpetta. E poi… non provate a cucinarla e mangiarla: gli scienziati che hanno lavorato al progetto non lo farebbero mai. Non perché la carne prodotta non sia commestibile; ma perché essendo ottenuta da un DNA attivo migliaia di anni fa, in un ambiente molto diverso da quello attuale, non si può sapere quali effetti la proteina di mammut avrebbe sul nostro organismo. Il professor Ernst Wolvetang dell’Australian Institute for Bioengineering dell’Università del Queensland, che ha collaborato con l’azienda Vow nella creazione della carne, ha dichiarato: «Non abbiamo visto questa proteina per migliaia di anni. Quindi non abbiamo idea di come reagirebbe il nostro sistema immunitario quando la mangiamo. Ma potremmo sicuramente crearla in modo da renderla più accettabile alle autorità di controllo».

E allora, perché proprio il mammut?

«Abbiamo scelto il mammut perché è un animale simbolo della perdita di diversità e dei cambiamenti climatici», spiegano dalla Vow al «Guardian». La produzione di polpette di carne di mammut è stata con tutta probabilità più una provocazione simbolica che un vero e proprio progetto alimentare. In realtà, la Vow ha già studiato oltre 50 specie inconsuete, ma oggi esistenti, da cui originare carne sintetica. Qualche nome? Alpaca, bufalo, coccodrillo, canguro, pavone… con l’idea anche di mischiare le cellule di diverse specie per creare nuovi tipi di carne. Come spiega l’amministratore delegato, «L’obiettivo è far sì che miliardi di consumatori di carne smettano di mangiare proteine animali convenzionali e inizino a consumare carne sintetica».

La trovata della polpetta di mammut, comunque, è stata un ottimo espediente pubblicitario, attirando l’attenzione mondiale sulla possibilità di ottenere carne in laboratorio senza alcuna uccisione di animali. E, curiosamente, sembra quasi una risposta alla decisione italiana, del ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida, di vietare la produzione e la commercializzazione di carne sintetica nel nostro Paese. Divieto divenuto legge approvata dal Parlamento, tra le polemiche in cui le diverse fazioni sono venute quasi alle mani.

Una soluzione al problema degli allevamenti intensivi?

La coppia di mammut Manny ed Ellie con la tigre dai denti a sciabola Diego. Di Witchblue – http://www.hd-trailers.net/, Copyrighted, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=2475836

Eppure la carne sintetica, o meglio coltivata in vitro, potrebbe essere una soluzione a molti problemi, a partire da quello etico riguardante gli allevamenti intensivi, e quello ecologico riguardante il rispetto dell’ambiente a causa del massiccio inquinamento che questi producono. Per produrre la carne in vitro si usano molto meno terreno e acqua rispetto all’allevamento animale; le emissioni di metano sono pari a zero. E Vow assicura che le fonti energetiche da loro utilizzate sono rinnovabili.

Il nome certo non ne facilita l’accettazione: l’espressione carne sintetica fa pensare a qualcosa di artificiale e insalubre, evoca l’idea di mangiare plastica. Coldiretti ne parla come di carne Frankenstein. Non si tratta neppure di un prodotto geneticamente modificato, e non è nemmeno clonato. Quella che viene prodotta in laboratorio è vera carne, e si sta anche studiando il modo di ottenerla con un mezzo di coltura che non implichi minimamente l’uso di sostanze derivate da animali, a parte le cellule iniziali.

Il Good Food Institute sostiene che la carne coltivata in laboratorio potrebbe anche essere raccomandabile rispetto alla carne convenzionale per la sicurezza alimentare. Infatti, durante il processo produttivo non vengono utilizzati antibiotici né antimicotici, per cui la carne coltivata non contribuisce alla resistenza dell’organismo umano agli antibiotici ed è probabile che causi una minore incidenza di malattie di origine alimentare.

Si aggiunga che le cellule utilizzate sono accuratamente selezionale ed esenti da agenti patogeni infettivi (virus, batteri…) e dunque da malattie zoonotiche potenzialmente pericolose per gli esseri umani.

Vantaggi

È meglio per gli animali: non comporta uccisioni, né danni, né maltrattamenti. Le cellule vengono estratte solo una volta da un animale donatore e si moltiplicano indefinitamente.

È meglio per la terra: non richiede, come gli allevamenti intensivi, il 70% della terra arabile globale utilizzata per la coltivazione di mangimi.

Minor consumo di acqua: mentre 1 kg di carne bovina richiede il consumo di 15.415 litri di acqua fresca, quello della carne coltivata ne richiede l’82%-96% in meno.

Riduzione dell’inquinamento: non produce scorie.

Favorirebbe l’accessibilità al cibo della popolazione mondiale: poiché le cellule iniziali crescono indefinitamente, la carne coltivata può nutrire la crescente popolazione della terra e ridurre il problema della fame nel mondo.

Problemi?

Non è vegana, perché prevede l’uso iniziale di cellule animali.

Potrebbe essere incompatibile con le norme alimentari di alcune religioni (induismo, islamismo, ebraismo).

Causerebbe la crisi degli allevamenti intensivi. Sulle polemiche in corso in Italia, vedere per esempio QUI, QUI e QUI. Le notizie sarebbero da aggiornare quotidianamente.

Al momento, il consumo di carne coltivata è permesso solo a Singapore e negli Stati Uniti.

Quanto costa?

Non so quanto possa costare una polpetta di mammut, ma il primo hamburger di carne sintetica presentato a Londra nel 2013 comportò al produttore una spesa da capogiro, di 330.000 sterline (circa 375.000 euro)!

In questi ultimi 10 anni, naturalmente, i costi della produzione si sono molto ridimensionati. A marzo 2021, da un’analisi dell’ente no-profit Good Food Institute (GFI), risultava che superando una serie di ostacoli si potrebbe abbassare il prezzo di produzione di ben 4mila volte, passando dai circa 20.000 dollari al chilo attuali (18.400 euro) a circa 5 dollari (4,60 euro) nel 2030.

Chi sa che non arrivi, perciò, anche sulle nostre tavole. E allora… vi andrebbe di assaggiare una polpetta di mammut?