Viaggio nella Bibbia. Una pacificazione sofferta (2 Samuele 17-21)

Fine di Assalonne. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=83382806

Non è semplice ricucire gli strappi. Il primo è quello dentro il cuore di David. Il re subisce un colpo durissimo con la morte di Assalonne.Questo figlio amato, che era insorto contro di lui, lascia una ferita aperta e sanguinante. Aveva perfino diviso in due il paese in una guerra civile; il re avrebbe dovuto non solo trovare la pace per il suo cuore, ma anche la pace per il suo popolo. Si giungerà ad una pacificazione, ma sarà molto sofferta.

Innanzi tutto, David deve vincere il blocco emotivo in cui la vicenda del figlio lo ha fatto piombare. Quando finalmente riprende l’iniziativa come re, offre la pacificazione a quella parte del popolo che aveva sostenuto Assalonne (19,12). L’unità del popolo è ristabilita; rimangono però alcuni conti in sospeso, e non tutti subito evidenti. I più palesi sono quelli con le persone che si sono diversamente atteggiate nei suoi confronti quando è caduto in disgrazia. Simei aveva maledetto il re scagliandogli addosso pietre; Merib Baal aveva cercato di riprendersi il regno come erede di Saul; Barzillai lo straniero, invece, aveva disinteressatamente sostenuto David come re. Tre personalità diverse e tre sorti diverse.

Tre personaggi in cerca di autore

Un gesto di clemenza. Simei ha cambiato atteggiamento nei confronti di David. Prima che il re attraversi il Giordano, Simei si prostra a terra chiedendo perdono; un atto, da parte sua, di paura e di convenienza. Anche questa volta Abisai propone di ucciderlo, ma David non lo permette e dà a Simei la garanzia che non sarebbe stato punito. Simei viene graziato. David esercita verso di lui quella misericordia di cui aveva sempre avuto prova dal Signore e che aveva imparato nell’incontro con Abigail. Gli lascia la vita.

Un gesto di fiducia. A Merib Baal, figlio di Gionata amico fraterno di David, e disabile (4,4), David aveva assegnato le terre di Saul. In compenso, nella fuga di David, Merib Baal era stato accusato dal proprio servo Siba di essere un traditore e di volersi riappropriare del regno (capitolo 16). Secondo Merib Baal però questa era stata una calunnia: era il servo che lo aveva ingannato. Merib Baal non insiste nelle sue ragioni, ma si rimette nelle mani del Re. David non commette l’errore di fidarsi completamente ma gli restituisce metà delle terre che aveva assegnato a Siba. Un giudizio salomonico ante litteram… Tutti contenti.

Un gesto di gratitudine. Barzillai il Galaadita, uno straniero, aveva invece seguito David nella sua fuga e lo aveva sostenuto con i suoi averi; ora lo accompagna nel suo ritorno vittorioso. Davide gli propone di seguirlo fino a Gerusalemme, dove avrebbe provveduto per lui. Ma Barzillai ormai ottantenne rifiuta di essere di peso al re e desidera solo vivere gli ultimi anni nella sua città d’origine. Al suo posto manda Chimam al quale Davide promette i più grandi onori. La bontà di Barzillai per David sarà ricordata dal re anche in punto di morte (1 Re 2,7). È una bontà disinteressata, che non chiede e non vuole ricompense; la bontà di un uomo che non rimane attaccato neppure alla sua posizione di onore ma sa quando è il momento di ritirarsene e la cede ad altri senza rimpianti. David riconosce e rispetta questa volontà.

Una nuova secessione

David cerca la riconciliazione. Ma alla fine del capitolo 19 scopriamo l’inizio di un nuovo conflitto tra la tribù di Giuda e le tribù d’Israele. Una ribellione era appena finita, ma prima che il suo corteo reale giunga in Gerusalemme già se ne profila un’altra. Questa volta è Seba, un Beniamita, uomo senza valore, che avvelena gli animi e convince tutto Israele ad abbandonare il re appena ritornato. Solo gli uomini di Giuda rimangono fedeli al vero re. David deve cercare di ricucire anche questo strappo.

Le concubine del re e i disordini familiari

Innanzi tutto si trova a risolvere il problema delle sue dieci concubine di cui Assalonne si era appropriato per dimostrare di fronte a tutto il popolo di essere subentrato al padre come vero re: l’ennesimo caso di uso e abuso della donna per scopi politici. David, che aveva fallito nel proteggere queste donne, non poteva lasciarle abbandonate e provvede a loro come a delle vedove, disonorate e invisibili a tutti.

Le ferite lasciate dal tradimento possono produrre gravi conseguenze sugli altri per tutta la vita. La poligamia è per David un costume consolidato alla sua epoca e nemmeno vietato dalla legge; è però vietato farne uno strumento di potere, uno sfoggio di ricchezze e di potenza come era, all’epoca, infatti, possedere un harem numeroso. David, uomo dalle marcate caratteristiche di generosità, non sembra avere la stessa sensibilità nei rapporti familiari. Accumula mogli e concubine con disinvoltura, disinteressandosi dei loro sentimenti; carpisce la moglie di un altro come fosse un oggetto, e manda a morte il marito tradito perché l’adulterio non venga scoperto; ama i figli ma questi non si amano fra di loro e lui stesso non li capisce e non li sa gestire.

Guerra fratricida

Adesso tocca alla ribellione di Seba, che ha causato una nuova guerra civile. Viene inseguito, ma Ioab, prima di occuparsi del nemico del re, finge un bacio di affetto ed uccide a tradimento il suo rivale Amasa’ che lo aveva soppiantato come capo dell’esercito (17,25). Anche lui mette il proprio interesse (mantenere il potere come secondo in comando) al di sopra dell’interesse comune.

Poi si accinge a prendere la città in cui Seba si è rifugiato, disposto a distruggerla pur di vendicarsi del nemico. Non ha riguardo per gli innocenti che vi sono dentro. Viene fermato da una donna saggia: «Tu cerchi di far perire una città che è una madre in Israele. Perché vuoi distruggere l’eredità del Signore?» (20,19). Sarà l’intervento di questa donna senza nome a frenare Ioab e ad ottenere che si accontenti dell’uccisione del ribelle. Si è innescata una spirale di morte, ed è già tanto se non ne vanno di mezzo gli innocenti.

Siccità

Ma non basta. Il capitolo 21 parla di una carestia dovuta a tre anni di siccità, uno dei flagelli agricoli più devastanti. Nella Bibbia di solito le carestie non sono semplici calamità naturali, ma tempi di prova da parte del Signore. Sul paese pesa infatti il crimine di Saul che ha cercato di sterminare i Gabaoniti. Non esiste la fatalità nella Bibbia, ma gli eventi vengono letti come conseguenze degli errori degli uomini.

I Gabaoniti sono stranieri amorrei con cui Israele ha stretto, ai tempi di Giosuè, un patto di pace. La rottura di questo patto non è una responsabilità diretta di Davide, ma in virtù della concezione corporativa della persona il peccato di uno è il peccato di tutti ed in questo momento è David che deve farvi fronte. David si fa carico del problema e concorda coi Gabaoniti una soluzione: sette figli (o nipoti) di Saul saranno consegnati ai Gabaoniti per essere giustiziati ed espiare la colpa del padre. Solo con questa riparazione, e con la consegna alla terra dei resti degli uccisi, il paese trova la pacificazione.

Il rovescio del ricamo

Leggendo questa sezione della Scrittura con occhi moderni, viene da chiedersi: dov’è Dio in tutto questo? È storia sacra, o storia mondana sulla cui superficie è stata pitturata una patina religiosa? La sofferenza come punizione, e per di più come punizione della colpa di uno che però ricade su tutto il popolo… tradimenti, vendette, atrocità… È “Parola di Dio”, come proclama il lettore a conclusione del brano? Infatti, stamani, la prima lettura si concludeva con “Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada” (Es 17,13). Parola di Dio!

Il fatto è che la storia della salvezza è fatta di poveri uomini che si dibattono nelle loro passioni, nei loro limiti, nelle loro pesantezze. Non è edulcorata; non è una storia di angeli né di santi. È realistica, e l’uomo è fatto così. La Salvezza cammina faticosamente per le strade infangate del mondo, non passa sopra le teste degli uomini. È perfettamente inculturata nella loro società, nelle loro categorie storiche. Eppure, alla fine le righe storte degli uomini mostrano una Parola limpida e retta scritta su di esse. Non si può comprendere da vicino quell’intrigo di colori che è il rovescio di un ricamo. Forse, prendendo le distanze, se ne può cogliere il senso generale. Ma è solo quando il ricamo si gira, e lo vediamo dal diritto, che il disegno acquista un senso, ed è bellissimo. Valeva la pena di usare quell’intreccio pazzesco di fili per avere un ricamo di tale magnificenza…

Il cerchio si chiude

Alla fine, rimangono a David dei nemici che sono giganti come Golia, esseri umani enormi e  persino polidattili, con sei dita per mano e per piede (21,20). Ebbene, i guerrieri di Israele adesso riescono a sconfiggere anche loro. Di fronte a Golia di Gat, tanto tempo prima, era corso solo un fanciullo, David. Adesso il cerchio si chiude: David non è più solo, il suo popolo è divenuto capace di sconfiggere i propri giganti.