David, oltre che per la morte immediata del figlio del suo peccato, soffrirà moltissimo per la rivalità tra i figli: la sua sarà una famiglia lacerata da atroci disgregazioni. Amnon, l’amato primogenito ed erede, fa violenza alla sorellastra Tamar ed è fatto uccidere per vendetta dal fratello Assalonne. Questi, a sua volta, si rivolta contro il padre, suscita una guerra civile e viene ucciso contro gli ordini stessi di David. Il secondogenito, Kileab figlio di Abigail, scompare dalla discendenza senza essere più nominato. Betsabea, poi, si era fatta promettere da David il trono per il figlio Salomone, e la lotta per il trono si concluderà con l’uccisione di Adonia, suo quartogenito, per ordine dello stesso Salomone, dopo la scoperta delle sue trame di pretendente. Una tragedia.
Una sofferenza immane, che il profeta aveva annunciato a David a seguito del suo duplice crimine (2 Sm 12). Allora la sofferenza è punizione del peccato? Nel caso di David sembrerebbe di sì. Ma in realtà è frutto delle libere scelte dell’uomo: se Amnon commette stupro e incesto non è perché è istigato da Dio, né le infami scelte di Assalonne sono determinate dalla volontà divina. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un libero arbitrio che perverte le leggi del bene e causa effetti nefandi sulla vita dei colpevoli, ma anche degli innocenti.
In tutti questi episodi pieni di intrighi, drammi e violenze domestiche permane la promessa indefettibile di Dio fatta a David (2 Sam 7,16): il suo regno durerà per sempre. Ma David, a questo punto, non sembra più fare la sua parte. Forse lascia a Dio tutto il peso di adempiere alla promessa?
Anche se David grazie alla parola profetica di Natan si è pentito del suo gravissimo peccato, sembra caduto in una sorta di spirale di passività che lo rende inerme di fronte al peccato altrui. Non rende giustizia a Tamar sua figlia, violentata dal fratellastro Amnon; non fa giustizia quando Assalonne fa uccidere Amnon; non si accorge nemmeno che Assalonne sta tramando alle sue spalle. Appare assente. Non si muove per risolvere la situazione con il figlio ribelle. Sembra che non gli interessi neppure cercare il Signore. Non chiede consiglio. Non pare più lo stesso uomo che nel nome del suo Dio aveva sconfitto Golia.
La ribellione di Assalonne
Il giovane Assalonne, figlio molto amato, cerca di soppiantare il padre nel regno e fugge con il suo seguito. Quando Ioab riesce a farlo rientrare in Israele, David non vuole vederlo e quindi non perviene ad una vera riconciliazione. Assalonne cerca più volte di servirsi di Ioab per incontrare David; quando finalmente lo ottiene, viene perdonato e riprende il suo ruolo di figlio del re, ma lo fa con un secondo fine, usando il perdono di David per usurparne il trono. David allora decide di lasciare Gerusalemme dandosi alla fuga davanti al figlio, per non coinvolgere la città in una faida sanguinosa. La scena viene rappresentata in modo toccante dal testo biblico.
2 Samuele 15 – 16
15 23 Tutti quelli del paese piangevano ad alta voce, mentre tutto il popolo passava. Il re stava in piedi nella valle del Cedron e tutto il popolo passava davanti a lui prendendo la via del deserto.
24 Ecco venire anche Zadòk con tutti i leviti, i quali portavano l’arca dell’alleanza di Dio. Essi deposero l’arca di Dio presso Ebiatàr, finché tutto il popolo non finì di uscire dalla città. 25 Il re disse a Zadòk: «Riporta in città l’arca di Dio! Se io trovo grazia agli occhi del Signore, egli mi farà tornare e me la farà rivedere insieme con la sua Dimora. 26 Ma se dice: Non ti gradisco, eccomi: faccia di me quello che sarà bene davanti a lui». 27 Il re aggiunse al sacerdote Zadòk: «Vedi? Torna in pace in città con tuo figlio Achimaaz e Giònata figlio di Ebiatàr. 28 Badate: io aspetterò presso i guadi del deserto, finché mi sia portata qualche notizia da parte vostra». 29 Così Zadòk ed Ebiatàr riportarono a Gerusalemme l’arca di Dio e là dimorarono.
30 Davide saliva l’erta degli Ulivi; saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva.
16 5 Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della stessa famiglia della casa di Saul, chiamato Simeì, figlio di Ghera. Egli usciva imprecando 6 e gettava sassi contro Davide e contro tutti i ministri del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla destra e alla sinistra del re. 7 Simeì, maledicendo Davide, diceva: «Vattene, vattene, sanguinario, scellerato! 8 Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne tuo figlio ed eccoti nella sventura che hai meritato, perché sei un sanguinario».
9 Allora Abisài figlio di Zeruià disse al re: «Perché questo cane morto dovrà maledire il re mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!». 10 Ma il re rispose: «Che ho io in comune con voi, figli di Zeruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: Maledici Davide! E chi potrà dire: Perché fai così?».
11 Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi ministri: «Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: Quanto più ora questo Beniaminita! Lasciate che maledica, poiché glielo ha ordinato il Signore. 12 Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi».
13 Davide e la sua gente continuarono il cammino e Simeì camminava sul fianco del monte, parallelamente a Davide, e, cammin facendo, imprecava contro di lui, gli tirava sassi e gli lanciava polvere.
La fuga di David è un riavvicinamento a Dio
Paradossalmente, è proprio con la decisione di fuggire che David riprende il suo ruolo regale. C’è una ripartenza. Esce finalmente dalla sua immobilità e reagisce alla storia, anche se, apparentemente, con l’accettazione della sconfitta. Che cosa è cambiato, allora, in lui?
Quel che è cambiato è che David con la sua fuga non salvaguarda la propria posizione, ma la vita del popolo, mentre personalmente si sottomette agli intenti di Dio per il suo regno. Torna ad affidarsi a Lui, come aveva fatto nella sua giovinezza. Lascia l’arca di Dio a Gerusalemme, perché non vuole usarla per i propri scopi: non gli appartiene, ma rappresenta la dimora di Dio in mezzo al suo popolo.
I Leviti, che si schierano con David, si preoccupano di portare a lui l’arca dell’Alleanza. È una scelta ovvia, ma in realtà rappresenta un espediente: garantirsi la presenza del Signore mediante un oggetto. David, riconoscendo la radice della sua sventura, cioè il proprio peccato, chiede a Zadoc di riportare l’arca in città. Ripone giustamente la sua fede nel Signore: «Riporta in città l’arca di Dio! Se io trovo grazia agli occhi del Signore, egli mi farà tornare e me la farà rivedere insieme con la sua Dimora. Ma se dice: Non ti gradisco, eccomi: faccia di me quello che sarà bene davanti a lui» (vv. 25-26).
Un’altra notizia sconfortante lo raggiunge: Achitofel, suo stratega e consigliere tra i più influenti, si è messo dalla parte di Assalonne. Tutto sembra congiurare contro di lui. Ma quando tutto sembra perso, David rifiuta di porre la sua fiducia in un surrogato di Dio. Trova perciò aiuti insperati, come quello di Ittai di Gat, un filisteo mercenario: «Per la vita del Signore e per la vita del re, mio signore, dovunque sarà il re, mio signore, sia per la morte che per la vita, là sarà il tuo servo!» (15,21). Arriva Cusai l’archita, il più fedele consigliere ed amico. Mette in gioco la sua vita per infiltrarsi presso Assalonne e da lì agire secondo il piano di David.
Pianto e ingiurie
Davide saliva piangendo il monte degli Ulivi, da cui poteva forse per l’ultima volta vedere la città che il Signore gli aveva donato. Il pensiero va spontaneo ad un Altro che una notte salirà il monte degli Ulivi per iniziarvi la sua agonia sudando lacrime di sangue. Tanto più che anche nella storia di David vi è un Giuda, Achitofel suo consigliere che si è schierato tra i congiurati a favore di Assalonne e gli darà ottimi suggerimenti per consegnare il re nelle mani dei suoi nemici. Vedendo falliti i suoi piani, si impiccherà. Anche Merib-Baal, il figlio di Gionata ed erede di Saul cui David aveva fatto grande grazia, attende la fine di David per riprendersi il regno…
Poi, ci si mette ancheSimei, parente di Saul, che si scaglia contro David con invettive, trattandolo da uomo sanguinario e scellerato, maledizioni e lancio di sassi contro David e i suoi. Eppure David, reprimendo l’impulso vendicativo di Abisai, si lascia mettere in discussione. Ascolta il suo accusatore. Se le sue parole venissero dal Signore? (16,10-11). Il re si mette davanti a Dio. Certamente, David aveva sparso molto sangue. Non era irreprensibile all’accusa di essere sanguinario e scellerato. Ciò che gli interessa non è proteggere la sua reputazione, ma rimettere a Dio la sua causa. Non gli oppone resistenza. Non si ribella davanti a quello che deve patire. Si affida a Dio, e cerca di vedere nelle parole e nei gesti degli altri un segno della sua volontà. È con Dio che si fanno i conti, non con l’accusatore di turno.