Lettura continua della Bibbia. Isaia: un regno di pace

Un regno di pace
L’aratura (particolare) di Rosa Bonheur (1849). Di Ibex73 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=69777361. I lavori agricoli sono simbolo di pace

Un messaggio particolarmente importante in Isaia è l’annuncio di un regno di pace, della pace messianica. Intanto lo troviamo già nel secondo capitolo.

Isaia 2,1-5

Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.
Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti.
Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri».
Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.
Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci;

una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione,

non impareranno più l’arte della guerra.
Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore.

Alla fine dei giorni: un regno di pace

La coloritura del passo è escatologica: la fine dei giorni indica un futuro imprecisato, che si specifica come la fine del mondo nei testi più tardivi (Ez 38,16: «Salirai contro il mio popolo Israele come nube che ricopre la terra; ciò sarà negli ultimi giorni»; Dn 10,14: «Sono venuto per farti capire ciò che accadrà al tuo popolo nei giorni avvenire, perché è ancora una visione relativa ai giorni»).

Alla fine dei giorni, annuncia Isaia, la montagna del tempio sarà stabile e solida sopra tutte le altre cime. Presso i popoli antichi, i monti erano la casa degli dei (cfr. anche l’Olimpo); l’altezza di Sion esprime anche la superiorità del Dio di Israele sugli altri dei e sugli altri popoli.

Ma allora non si adoreranno più altri dei. Il cammino dei popoli verso Gerusalemme sarà come l’afflusso di un fiume, il movimento continuo dei goîm (= popoli pagani) tutti quanti. È, questo, un tema ricorrente nei testi escatologici (Zc 14,16-21; cfr. Is 60,1 s.; 66,23).

Le nazioni stesse si invitano reciprocamente a salire alla casa del Dio di Israele non per portare doni, ma per ricevere l’insegnamento della Legge (le “vie” del Signore), la Torah, fino ad allora retaggio di Israele. Ma da Sion, da Gerusalemme la Torah si irradia adesso ad illuminare tutta l’umanità.

L’anti-Babele

Come una anti-torre di Babele, Sion, da cui promana la Parola del Signore, diviene segno di unione, di comprensione, caparra della Pentecoste: non sfruttatore dei doni di Dio, ma mediatore. «Un luogo e un popolo sono solo custodi del dono di Dio, nel senso che lo tradiscono se non lo comunicano: nessuno è grande se cresce in contrapposizione e a scapito degli altri, ma se aiuta gli altri a crescere» (Benito Marconcini, Il libro di Isaia (1-39), Città Nuova, Roma 1993, p. 51).

Si ha in questo testo un doppio movimento, «centripeto – ascensionale dei popoli che salgono verso la città e centrifugo – discensionale dell’irradiazione che da essa promana», che inserisce il rapporto JHWH – Israele nel più vasto rapporto JHWH – genti (Ibid., p. 52). Dio è sovrano di tutte le genti, e finalmente i popoli stranieri non vengono più per cingere d’assedio Gerusalemme, ma per godere della sua Legge e quindi della sua pace.

Il regno universale del Signore, unico giudice e arbitro delle nazioni, è volontà di pace. La rinuncia alle armi e la loro trasformazione in strumenti agricoli è il segno esterno della collocazione di ogni fiducia in Dio.

Un regno di pace: l’universalismo della salvezza

La teologia della storia di Israele è, così, basata sul tema del Resto santo (Is 6,13; cfr. 7,3), portatore della promessa, e del tronco di Jesse (Is 11,1), da cui nascerà il principe della pace. Sia la tradizione di Sion che quella di Davide sono tradizioni di elezione. Ma attraverso gli eletti la promessa si allarga a tutte le nazioni, come vedremo in Is 19,23 ss.:

In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto fino all’Assiria.

L’Assiria verrà in Egitto e l’Egitto andrà in Assiria

e gli Egiziani serviranno il Signore insieme con gli Assiri.

In quel giorno Israele, il terzo con l’Egitto e con l’Assiria,

sarà una benedizione in mezzo alla terra.

Il Signore degli eserciti li benedirà dicendo:

«Benedetto sia l’Egitto, popolo mio,

l’Assiria, opera delle mie mani,

e Israele mia eredità».

Un testo veramente impressionante. La gloria (Kabod) del Signore, che nella visione vocazionale di Isaia invade fin negli angoli più riposti il Tempio, assume adesso proporzioni cosmiche: il Dio d’Israele è il Signore di tutto l’universo e di tutti i popoli, li ha creati e li conserva e li salva. Nel cap. 19, di cui abbiamo sopra citato un passo, l’universalismo di Isaia è espresso mediante la descrizione di una storia della salvezza per l’Egitto, oppressore storico del popolo di Israele, che vivrà in armonia con il tradizionale nemico, l’Assiria.

Cfr. Ef 2,14 Egli infatti è la nostra pace, che ha fatto di due popoli una sola unità abbattendo il muro divisorio, annullando nella sua carne l’inimicizia,15 questa legge dei comandamenti con le sue prescrizioni, per formare in se stesso, pacificandoli, dei due popoli un solo uomo nuovo, 16 e per riconciliare entrambi con Dio in un solo corpo mediante la croce, dopo avere ucciso in se stesso l’inimicizia. 17 E venne per annunciare pace a voi, i lontani, e pace ai vicini.