La Bibbia dall’ABC. La donna: una sudditanza dovuta al peccato dell’umanità

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Con questo, cioè con la pari dignità dell’uomo e della donna, sembrerebbe detto tutto. Invece nel racconto biblico subentra il peccato, con l’instaurazione di un regime di superiorità / inferiorità, di dominio / sudditanza, anche nella sopraffazione e nella violenza, del più forte verso il più debole. E non c’è dubbio che la donna rappresenti in generale la parte «debole» dell’umanità, sottomessa e angariata, specialmente nell’antichità, con quel suo corpo fragile e segnato profondamente dalla gloria del fascino muliebre ma anche dal travaglio della maternità.

Il racconto del peccato

È quanto ci dice il racconto del peccato originale nel capitolo 3 di Genesi (Gn 3,16). Nella prassi storica si instaura cioè anche in Israele una consuetudine di sottomissione della donna e di confinamento nell’ambito domestico, ma ciò è visto come effetto del peccato, una distorsione e non un elemento del progetto creazionale divino. Peccato non imputabile solo alla donna, sia chiaro: un peccato condiviso da tutta l’umanità.

Spezzando infatti l’armonia con Dio (non è Dio a divenire nemico, è l’uomo a temerlo come tale), l’antica Eva e l’antico Adamo spezzano anche l’armonia originaria con la natura, con l’altro e persino con se stessi: si nascondono davanti a Dio che viene familiarmente a loro, in amicizia, ma si nascondono anche a se stessi coprendo una nudità che non è più espressione di spontaneità ma di vergogna. L’Uomo adesso si vergogna di sé, si sente indifeso, in balia di qualunque cosa possa attaccarlo.

La serie delle cosiddette «maledizioni», che non sono un augurio di male, ma che «male-dicono», ovvero «dicono-il-male» che c’è già nell’uomo, consiste proprio nel mettere in evidenza come la natura si ribelli e, invece di essere sorella ed amica, divenga malevola verso chi l’ha violata (Gn 3,14-19).

Così, l’uomo-maschio viene visto colpito nella sfera che storicamente gli appartiene, cioè quella del lavoro, sfera nella quale la terra gli diventa nemica e solo con suo dolore produce frutti; mentre l’uomo-femmina, la donna, viene vista colpita nella sua natura femminile e la maternità diviene per lei anche fonte di dolore.

Non solo: anche la qualità dei rapporti uomo-donna nella coppia si snatura. Invece di un rapporto di pari dignità e complementarietà nella differenza, si ha nella storia un rapporto di disparità e sottomissione.

Nel pensiero greco

L’uomo, considerato attivo per natura propria, è ritenuto per natura superiore alla moglie e gli è riconosciuto il diritto al comando, in quanto nel processo di generazione rappresenta il dinamismo della forma, mentre la passiva materia femminile, ontologicamente inferiore, può solo subire (Aristotele). Nel mito di Esiodo, la donna, dotata di «animo senza pudore» e «disposizione all’inganno», viene addirittura introdotta nel mondo come castigo di Zeus. È lei che fa entrare i mali nel mondo (il «vaso di Pandora»); interessante parallelo col pensiero biblico, ma con una profonda divergenza: biblicamente è il peccato a corrompere la donna come pure l’uomo, non è la natura originaria della donna che è quella di compagna «pari a lui». La convinzione dell’inferiorità ontologica della donna risulta invece essere il pensiero comune dell’umanità riguardo alla condizione femminile. Figli, belletti, arti seduttive, corruzione…

Nel pensiero biblico

È vero che nella prassi storica si instaura invece anche in Israele una prassi di sottomissione della donna e di confinamento nell’ambito domestico, ma ciò è visto come causato dal peccato e non come elemento del progetto creazionale divino (cf. Gn 3,16).

La quadruplice disarmonia

Esiste infatti una quadruplice armonia nella creatura-uomo: armonia originaria con Dio, e quindi anche con la natura, con l’altro, e con se stesso. Spezzando con il peccato l’armonia creaturale, non è solo il rapporto di amicizia con Dio che si deforma (l’adamo, infatti, inizia ad avere paura di Dio, non perché Dio sia divenuto suo nemico, ma perché lui crede che sia diventato suo nemico, e si nasconde dal suo cospetto), ma anche il rapporto con la natura, che si ribella, con l’altro, che diviene un rivale, perfino con se stesso, perché viene a mancare la pace interiore.

L’uomo viene visto colpito nel suo rapporto di lavoro con la natura, che invece di essergli sorella e amica diviene una ribelle da dominare con pena e fatica, col sudore della fronte; la donna viene vista colpita nei suoi rapporti familiari, quindi nella maternità che diviene un travaglio, e nel legame sponsale che diviene un rapporto di sottomissione rendendola schiava.

È quindi significativo che il testo biblico colga la situazione di sottomissione, e non più di parità nella diversità, della donna rispetto all’uomo, non però come dato originario, progettuale, ma come conseguenza di un peccato che ha distorto il piano divino sull’umanità. Nella storia avremo ampi esempi di questo decadimento, ma nella storia della salvezza troveremo sempre la luce di Dio ad illuminare lo squallore dello scenario umano.

La storia dell’antico Israele, viceversa, pur incarnata in una società patriarcale, ci presenta tutta una serie di personaggi femminili che vivono nell’ambito domestico, nell’intimità della tenda o della casa, nell’attitudine statica che è loro pertinente, ma è attraverso di esse che passa, appunto, la storia della salvezza.