Il rapporto Uomo – Terra come rapporto di schiavitù

Un rapporto di schiavitù

Relazione prof. Alessandro Cocchi – Parte quinta: Un rapporto di schiavitù

Cerchiamo di non dare niente per scontato perché molti modelli interpretativi che noi utilizziamo sono incoscienti, non sono consapevoli. Noi non sappiamo nemmeno che guardiamo alle cose con un filtro, ma abbiamo tutti dei pre-giudizi, dei giudizi dati a priori. Alcuni sono chiari e manifesti, altri molto meno.

Risposte a tutto?

Ecco, il nostro rapporto con la natura è pre-giudiziato dal modello di produzione e consumo a cui siamo abituati e che diamo per scontato. Noi siamo nati nell’epoca in cui si credeva ad una crescita illimitata, siamo nati e cresciuti nell’epoca in cui si pensava – e si pensa tutt’ora – che la scienza, la tecnica trionferanno, daranno risposte a tutto. Il neopositivismo, quello che nasce negli anni 20-30, scuola di Berlino, scuola di Vienna, si struttura come filosofia vera e propria. In esso non soltanto si fa meno di Dio quasi un residuato dell’antichità, ma si dice chiaramente la scienza risolverà ogni problema, la scienza darà risposte su tutto: è questione solo di tempo.

Il metodo scientifico dà risposte su tutto e tutte quelle domande che non hanno risposta o la cui risposta non è formulabile attraverso il metodo scientifico sono delle non – domande, sono domande che non hanno senso; quindi è inutile chiedersi se Dio esiste. Si può dimostrare l’esistenza di Dio, si può sperimentare in laboratorio? No. Quindi è una non domanda, è una domanda che non ha senso. Tutto ciò che è spiritualità non ha senso perché è al di fuori del campo di competenza del metodo scientifico. Il che è vero nell’ambito scientifico, ma questo non vuol dire che quelle domande siano illegittime…

Gli assiomi nascosti

Foto di Alessandro Cocchi

Allora torniamo a quali sono questi presupposti nascosti, questi assiomi che noi stessi portiamo dentro nel nostro rapporto con la natura e che quasi non ci accorgiamo di avere. John Locke formula i famosi tre diritti fondamentali dell’uomo: il diritto alla proprietà, il diritto alla libertà e il diritto alla vita.

Il diritto alla vita ci può stare, siamo d’accordo; il diritto alla libertà anche. Il diritto alla proprietà… beh, insomma, dipende da che punto di vista e con quali limiti.

Diritto di proprietà

Secondo questo pensiero, l’uomo esercita un diritto naturale di proprietà e di dominio sul pianeta. Noi riteniamo di avere un diritto di proprietà nei confronti della terra, ma un diritto naturale. Cioè l’uomo è costitutivamente padrone della terra e c’è chi scomoda anche la S. scrittura per questo. Nella Genesi Dio dà e dice fanne quello che vuoi imbrattala, insudiciala… non è proprio così veramente, però quest’idea del diritto naturale di proprietà sulla terra è in qualche modo frutto anche del pensiero illuminista che precede e accompagna la prima rivoluzione industriale.

Il diritto di proprietà sulla terra

Che cosa poteva avere in mente Locke? Locke muore nel 1704, quindi vive nel Seicento quando ancora la rivoluzione industriale era ben lontana. Qual era il capitale per eccellenza? La terra; il capitale per eccellenza era il capitale fondiario. Quindi quando si parla di proprietà certamente Locke aveva in mette la terra. Locke è considerato anche un uno dei Padri del pensiero giuridico che va sotto il nome di giusnaturalismo, cioè di quella corrente giuridica che cerca di individuare quali sono i diritti fondamentali dell’uomo e di incorporarli nel corpo normativo che regola i rapporti sociali. Il contratto sociale per Locke si deve fondare su dei diritti naturali, come del resto già per Cicerone: è un percorso lungo. Nel Seicento il maggiore esponente di questa corrente di pensiero del Giusnaturalismo è un olandese, Grozio, che ispirerà tutto il pensiero giusnaturalista fino ai giorni nostri.

Includere il diritto di proprietà come diritto naturale sancisce un rapporto di dominio nei confronti della terra; di più: l’altro assioma a cui noi siamo in qualche modo affezionati  ma di cui non ci rendiamo conto quando guardiamo alla natura è la riproducibilità infinita delle risorse naturali. Io prelievo e le risorse si producono: io taglio un albero, tanto ricresce; attingo dal fiume, tanto il fiume continua a scorrere. Pesco, ma tanto i pesci si riproducono. Questa idea della riproduzione infinita delle risorse naturali si scontra oggi con la realtà. Non è più così, ma fino a ieri e ancora oggi la diamo per scontata, perché noi il nostro modello di produzione e consumo non l’abbiamo cambiato, diamo ancora uno sguardo alla natura fondato su questi tre principi.

Un rapporto di schiavitù

Qual è il terzo? È un rapporto tra uomo e natura sostanzialmente di schiavitù. La schiavitù prevede che tu schiavo mi debba essere fedele in tutto e per tutto, pena la morte, ma io posso essere infedele a te perché ti posso anche vendere. Questo è il rapporto di schiavitù ed è così con la proprietà delle risorse naturali: le sfrutto, le posso cedere, le posso chiudere…

In realtà proprio il modello di produzione e consumo in cui siamo immersi è viziato da questi tre assiomi iniziali, da questi tre modelli di interpretazione della natura: la natura si riproduce all’infinito, la natura è mia e la natura è mia schiava.

Questo rapporto tra uomo e natura certamente non è in linea col dettato biblico: da nessuna parte si trova questo, anzi si trova il suo contrario. Nella Laudato Si’ papa Francesco (siamo nel 2015, esce in concomitanza con il summit di Parigi sul clima) dice chiaramente: sbaglia chi pensa che Dio abbia messo a disposizione la terra all’uomo perché ne facesse quel che vuole. Siamo custodi, non proprietari: siamo chiamati a gestire le risorse per poterle lasciare in eredità a chi viene dopo di noi. Non siamo chiamati a rapinare ciò che ci è stato dato a disposizione. Ma fino a ieri, anzi – ahimè – fino ad oggi le cose vanno diversamente.

La macchina che è stata messa in moto, questa macchina di produzione e consumo, è una macchina che non ha colore, nel senso che ogni distretto del mondo ormai è improntato a questo modello. Che si parli di Cina, di Russia, di Stati Uniti, di Europa, tutto il mondo va verso lo stesso modello. Anzi, si è improntato allo stesso modello di produzione e consumo: non c’è un’ideologia politica dietro; peggio, c’è un’impronta antropologica ed è quello che personalmente mi fa più paura perché è molto più difficile rimuovere questo modello.