
Un popolo martoriato, preso di mira da nemici che ne vogliono cancellare l’identità dichiarando che potrebbe passare all’attacco e prendere il sopravvento su di loro… Sto parlando di Israele, oppresso in Egitto nel XIII secolo avanti Cristo; eppure la sua storia di vessazione e di sofferenza si è ripetuta continuamente nella storia umana e si ripete ogni momento in ciascun popolo che soffra l’asservimento e la guerra. Una vicenda che ci aiuta a riflettere.
Israele in Egitto
Israele scende in Egitto al tempo del viceré Giuseppe in numero di 70 persone. La cifra è simbolica, e applicata ad una famiglia vuol dare l’idea di un gruppo numeroso a cui si aprono molte possibilità. Poi, dice il testo dell’Esodo (1,8-11), «sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe. E disse al suo popolo: “Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Prendiamo provvedimenti nei suoi riguardi per impedire che aumenti, altrimenti, in caso di guerra, si unirà ai nostri avversari, combatterà contro di noi e poi partirà dal paese”. Allora vennero imposti loro dei sovrintendenti ai lavori forzati per opprimerli con i loro gravami, e così costruirono per il faraone le città-deposito, cioè Pitom e Ramses».
Sotto la narrazione biblica si legge la migrazione storica di un gruppo umano, gli ebrei, identificabili forse con quegli habiru o hapiru che secondo gli storici costituivano gruppi erranti facilmente sottomettibili per adibirli a lavori pubblici o utilizzabili come mercenari. Un’ipotesi è che il gruppo umano che nelle vicende dell’Esodo sarà identificato con il popolo di Israele avesse fatto ingresso in Egitto sotto la dinastia straniera degli Hyksos verso il XVII secolo a.C., e che poi fosse caduto in disgrazia con la cacciata degli Hyksos stessi dall’Egitto (1530 circa a.C.).
Il periodo storico

Furono gli Hyksos, provenienti dalla terra di Canaan, a introdurre in Egitto il cavallo, quindi la menzione nel testo biblico di Giuseppe condotto in trionfo sul cocchio (Genesi 41,43) fa pensare al periodo successivo all’insediamento della loro stirpe sul trono d’Egitto. Gli Hyksos furono cacciati dall’Egitto all’inizio del Nuovo Regno, dalla XVIII dinastia che comprenderà personaggi noti come i faraoni di nome Ahmose, Amenofi, Thutmose (la parola Mose significa figlio), Tutankamen.
Seguì la XIX dinastia, che è quella dell’esodo: Seti I è probabilmente il faraone dell’oppressione e Ramesse II il faraone dell’uscita di Israele dall’Egitto (Yul Brinner nel colossal di Cecil B. DeMille I Dieci Comandamenti del 1956); salvo che si tratti invece di Ramesse II per l’oppressione e di Mernephta per l’esodo, secondo altra ipotesi.
Tra l’altro, a Merneptah è dovuta una stele, ritrovata da Petrie nel 1896 presso Tebe, in cui il faraone si vanta della propria campagna vittoriosa contro i popoli della terra di Canaan, tra cui Israele che Merneptah millanta di aver distrutto senza lasciarne seme. Questa affermazione è importante in quanto si tratta della prima attestazione extra biblica riguardante Israele. Voi direte: ma il faraone si vanta di averlo sterminato… Beh, è l’affermazione di un politico in tempo di guerra. La prendete per oro colato? In particolare, i faraoni non ammettevano mai di aver subito una sconfitta, e talvolta la trasformavano in vittoria. Potere della macchina della propaganda…
In base a queste teorie, l’evento dell’esodo si collocherebbe fra il 1234 e il 1220 a.C.
Tutto questo, detto per amore di ricostruzione storica. Ma il testo biblico non è un manuale di storia. Il suo obiettivo è quello di trasmettere un messaggio di fede. Ci conduce, quindi, nel vissuto di un popolo che viene ridotto, da ospite benemerito, a nemico potenziale e inviso.