Lettura continua della Bibbia. Atti: Un momento di crisi (capitolo 15)

Un momento di crisi
Pietro e Paolo. Di Stavrakis Margaritis – Θεσσαλονίκης από τον 16ο ως τον 20ο αιώνα, Pubblico dominio,
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Dopo alcune vicissitudini, Paolo e Barnaba tornano ad Antiochia, affidando le comunità evangelizzate ad anziani da loro designati: perché l’opera appartiene a Dio e non è loro proprietà. Ma qui sopravviene un momento di crisi a causa di alcuni, venuti dalla Giudea, che insegnavano che per avere la salvezza era necessaria la circoncisione. Ovvero, che prima di battezzarsi il pagano doveva essere circonciso.

La pretesa non era priva di una certa logica: in effetti, la storia della salvezza passa da Israele prima di coinvolgere i pagani, perciò aveva una qualche ragionevolezza il pensare di dover appartenere prima al popolo di Israele per poter accedere al battesimo, quindi accettare la circoncisione e tutte le osservanze che questa appartenenza comporta.

Ma la logica di Dio, secondo S. Paolo, è del tutto diversa.

Un momento di crisi

La pretesa dei giudaizzanti rappresenta un momento di crisi salutare, perché serve a mettere in chiaro una volta per tutte una questione fondamentale nel cristianesimo: la salvezza viene dalla fede e non dall’osservanza di una Legge nata per un determinato popolo.

Paolo e Barnaba vengono incaricati di andare a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per risolvere la questione. Vanno a Gerusalemme in qualità di testimoni: devono raccontare l’opera di Dio che hanno visto tra i pagani senza che per loro fosse stata necessaria la circoncisione.

Pietro lo sa già: è stato lui il primo ad aprire ai pagani la salvezza mediante il battesimo, dopo che lo Spirito Santo era sceso su di loro come sui discepoli il giorno della Pentecoste.

Ma anche Giacomo (è Giacomo il Minore), guida della chiesa madre di Gerusalemme composta esclusivamente di ebrei, e maestro della tradizione giudeocristiana, riconosce che tutti gli uomini sono chiamati a cercare il Signore per avere salvezza. Suggerisce un’accortezza pratica per evitare che la convivenza e commensalità tra giudeocristiani, cresciuti in una rigida osservanza della Legge, e paganocristiani, abituati ad un regime di libertà alimentare, crei disagio: chiedere ai pagani di evitare certi usi inaccettabili per la mentalità dei giudei.

La soluzione della crisi

Si tratta di astenersi:

  • Dal mangiare carni offerte agli idoli,
  • dal consumare sangue e carne contenente il sangue,
  • e dalle unioni illegittime.

Le carni offerte agli idoli, gli idolotiti, erano i prodotti che provenendo dai sacrifici dei templi pagani venivano immessi sul mercato a basso prezzo, perciò convenienti per i cristiani poveri. Come dirà Paolo stesso nella Prima Lettera ai Corinzi, sono cibi qualunque; ma per gli ebrei queste carni erano sacrileghe perché usate nei riti idolatri. Per riguardo alla loro sensibilità, evitare di consumarle.

Stessa cosa per il consumo di sangue, rigorosamente vietato dalla Legge di Mosè, perché il sangue è la vita,e la vita appartiene solo a Dio. Evitare dunque il consumo di carne al sangue per non urtare gravemente il fratello giudeocristiano che a mensa siede vicino.

Le unioni illegittime sono i tanti casi di convivenza che per la Legge di Mosè sono incestuosi, perciò da evitare.

Sono delle raccomandazioni pratiche atte, in quel momento, a garantire la convivenza serena e la condivisione della mensa fra giudei e pagani. “Farete cosa buona”: è una richiesta necessaria ma non è inderogabile. È questione di carità fraterna e non di legge.

Erra gravemente chi estende, oltre quello che è stato un momento di crisi e fino ad oggi, questo suggerimento di astenersi dal sangue e persino dalle trasfusioni di sangue…

Viene anche scritta una lettera: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi…”. Da notare come anche qui lo Spirito Santo sia presentato non come una forza impersonale, ma come una Persona che prende decisioni.

Siamo verso l’anno 50.