
Mentre nel racconto Sacerdotale Dio predispone prima gli ambienti e poi introduce l’adam, nel racconto Jahvista il Signore Dio solo in un secondo tempo rende la terra abitabile per l’uomo e gliela affida, piantando un giardino per l’adam. Pur con una tecnica narrativa inversa, è lo stesso insegnamento di P: dono, dominio e responsabilità del creato in nome di Dio. Notiamo che anche qui l’uomo nasce vegetariano, visto che gli sono dati in cibo i frutti del giardino.
La struttura di questa sezione non è lineare, dal momento che vi sono doppioni (collocazione dell’adam nel giardino ai vv. 8 e 15; menzione della vegetazione vv. 8 e 9) e interpolazioni (descrizione dei quattro fiumi). Tuttavia il racconto si rivela unitario e si articola in tre momenti:
- Vv. 8-14: piantagione del giardino
- V. 15: collocazione dell’adam nel giardino
- Vv. 16-17: comandamento del Signore all’adam.
Il Signore Dio pianta il giardino (vv. 8-14)
Il giardino è un gan = orto, giardino; nella lingua sumerica la parola indica un luogo chiuso, irriguo, fertile, lussureggiante.
Il vocabolo Paradiso (nella Volgata paradisum; nei LXX parádeisos) proviene dal persiano pairi deeza = recinto ed anche orto recintato, poi è passato nell’ebraico post-esilico sotto la forma pardes (Cantico 4,13; Qoh 2,5; Neh 2,8).
Il giardino è in Eden. ‘Eden, in sumerico edin e in babilonese edinu, è la steppa; quindi, il giardino nella steppa è un’oasi in mezzo al deserto orientale. I testi assiri conoscono anche una località, Bit-adinu, vicino a Edessa. In ebraico, invece, ‘Eden vuol dire delizia, per cui l’espressione suona Giardino di delizia.
Il giardino è in oriente, miqqedem. Qedem letteralmente significa quello che sta davanti, sia spazialmente che temporalmente. Gli ebrei si orientavano volgendosi al sol levante, per cui qedem indica tutte le regioni al di là del Giordano. Potrebbe, meno opportunamente, rappresentare una notazione temporale: dai tempi antichi.
Questo giardino è ricco di vegetazione: una delizia nel clima arido del Medio Oriente. Nel giardino si trovano due alberi di particolare valore simbolico. Poiché in questo passo si dice che l’albero della vita è in mezzo al giardino, e poi in Gn 3,3 anche l’albero della conoscenza del bene e del male risulta essere in mezzo al giardino, parecchi esegeti eliminano il primo come un pleonasmo. A questo va opposta un’obiezione: l’albero della vita in Gn 3,3 è nominato con un ruolo a parte, che non consente di fonderlo con l’albero della conoscenza del bene e del male. Altri propongono di leggere Gn 2,9 così:
«l’albero della vita e, nel mezzo del giardino, l’albero della conoscenza del bene e del male» (Lagrange; Testa).
A me sembra un falso problema. Quando il narratore parla del mezzo del giardino non intende certo il centro geometrico di un cerchio tracciato col compasso. È un modo di dire! Cosa vieta che entrambi gli alberi si trovino al centro del giardino, cioè in una posizione di particolare importanza, dato che il giardino rappresenta la comunione con Dio, e i due alberi raffigurano uno la vita a piene mani cui attingere, l’altro il limite che l’uomo non può oltrepassare per poter cogliere dal primo? I due alberi risultano affiancati perché dal modo di rispettare l’uno dipende la possibilità di cogliere dall’altro.
I quattro fiumi
Il giardino è rigogliosissimo, lussureggiante, tanto che il grande fiume che lo irriga abbondantemente, dopo averlo reso fertile, ha ancora tanta portata d’acqua da alimentare quattro grandi fiumi che hanno le loro bocche o capi all’uscita del giardino.
il fiume che irriga il giardino non ha nome. Dei suoi quattro emissari, solo due sono identificabili geograficamente, il Tigri e l’Eufrate, cui la Mesopotamia doveva la vita. Gli altri due, il Pishon e il Ghicon, sono elementi di una geografia favolosa, come pure le regioni che circondano, Avila e Kush. Se potessero identificarsi con il Nilo e con l’Indo avremmo i quattro grandi fiumi dell’antichità.
Ma che cosa rappresentano, piuttosto, l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male?