Letteratura post apocalittica: Un cantico per Leibowitz

Un cantico per Leibowitz: la copertina originale

Può avere un valore attuale un libro post apocalittico come «Un cantico per Leibowitz» di Walter Miller, pubblicato nel 1959? Purtroppo, sì. Einstein diceva: «Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre»; ed anche: «Il problema oggi non è l’energia nucleare, ma il cuore dell’uomo».

Anche nella fantascienza una delle tematiche più importanti è stata, dal dopoguerra in poi, per diversi decenni, una terza guerra mondiale che nel periodo della Guerra fredda sembrava inevitabile e che invece, grazie a molti fattori, sembrava essere sfumata per sempre. Incredibilmente, il problema si ripropone adesso in modo drammatico. Il romanzo fantateologico «Un cantico per Leibowitz», di W. Miller, torna purtroppo di estrema attualità.

Un cantico per Leibowitz

Un cantico per Leibowitz: l'importanza del monachesimo. Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay 
Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay 

Un genere importante della fantascienza, che si poteva ormai ritenere un po’ datato, era quello post apocalittico: una guerra nucleare distrugge quasi interamente la terra, e i sopravvissuti devono cercare di ricostruire quello che l’umanità ha perduto. Adesso lo scenario della politica mondiale lo ripropone: solo accademicamente, speriamo. «Un cantico per Leibowitz» è uno dei migliori romanzi del genere.

L’autore

L’autore, lo statunitense Walter Michael Miller jr., era nato in Florida nel 1923. Durante la seconda guerra mondiale aveva partecipato a 53 missioni di volo e aveva preso parte al bombardamento di Montecassino nel  1944, ignorando l’identità dell’obiettivo. Il 15 febbraio 1944, 142 fortezze volanti scaricarono 253 tonnellate di bombe, cui seguirono altre cento tonnellate scaricate da 87 bimotori, radendo al suolo il più antico monastero d’Italia, fondato da San Benedetto nel 529, in quello che fu riconosciuto all’epoca come il «peggior assalto aereo e di artiglieria mai diretto contro un unico edificio».

Quando alla fine della guerra Miller venne a conoscere la reale portata della sua azione militare, ne fu segnato così profondamente che nel 1947, contro la volontà della famiglia, si convertì al cattolicesimo. Fu questa, unita al clima della Guerra fredda, l’esperienza che lo ispirò a scrivere Un cantico per Leibowitz, l’unico romanzo da lui pubblicato in vita, nel 1959 (il sequel, terminato da un altro autore, uscì postumo); fra il 1951 e il 1957 aveva pubblicato invece quarantuno fra racconti e romanzi brevi di fantascienza, vincendo il Premio Hugo nel 1955 per il racconto Il mattatore (The Darfsteller).

Il Cantico era nato dalla fusione di tre lunghi racconti, apparsi originariamente fra il 1955 e il 1957 sulla rivista specializzata «Magazine of Fantasy and Science Fiction»; poi pubblicati in un unico volume nell’ottobre del 1959 dall’editore Lippincott di Philadelphia. Con Un cantico per Leibowitz Miller vinse nuovamente il premio Hugo nel 1961. Pur essendo sposato ed avendo quattro figli, ebbe una vita difficile a causa di una grave depressione che poco dopo la morte della moglie, nel 1996, lo portò al suicidio. Triste conclusione di una vita tormentata.

Il romanzo

Un cantico per Leibowitz è un romanzo post apocalittico, considerato un capolavoro del genere; in esso, l’autore presenta il cattolicesimo come unica forza capace di ricostruire l’umanità durante i secoli bui, così come storicamente il monachesimo aveva nel Medioevo salvato l’Europa dal ricadere nella barbarie. Miller ha voluto cioè realizzare un’opera che mostrasse la funzione insostituibile della Chiesa cattolica in un mondo che trascinato dalla propria arroganza perde di vista i valori spirituali e va verso la catastrofe.

La catastrofe nucleare

L’iniziale descrizione dell’olocausto nucleare mostra chiaramente le paure che angosciavano il mondo all’epoca della guerra fredda:

«Si diceva che Iddio, per mettere alla prova l’umanità gonfia di orgoglio come ai tempi di Noè, aveva ordinato agli uomini saggi di quell’epoca (…) di inventare grandi macchine belliche, quali non si erano mai viste sulla Terra, armi tanto potenti che avrebbero potuto contenere lo stesso fuoco dell’Inferno, e che Dio aveva permesso a quei maghi di porre le armi nelle mani dei prìncipi (…). Ma i prìncipi (…) avevano pensato: “Se io colpisco in fretta, e in segreto, distruggerò gli altri nel sonno, e non rimarrà nessuno per combattere. La Terra sarà mia”. Tale fu la follia dei prìncipi, e ne conseguì il Diluvio di Fiamma. In poche settimane – qualcuno diceva in pochi giorni – tutto era finito, dopo il primo scatenamento del fuoco infernale. Le città erano diventate mucchi di vetro, circondati da vaste distese di pietre spezzate».

«Le grandi nuvole della collera divina sommersero le foreste e i campi, facendo avvizzire gli alberi e morire i raccolti. E vi furono grandi deserti là dove un tempo c’era la vita, e in quei luoghi della terra in cui vivevano ancora gli uomini, essi si ammalavano per colpa dell’aria avvelenata, così che, mentre alcuni sfuggivano alla morte, nessuno rimaneva intatto; molti morirono anche in quelle terre che le armi non avevano colpito, a causa dell’aria avvelenata».

La follia dei superstiti

«Così dopo il Diluvio, il Fallout, le pestilenze, la follia, la confusione delle lingue, il furore, cominciò la sanguinaria Semplificazione, quando superstiti dell’umanità avevano fatto a pezzi altri superstiti, uccidendo regnanti, scienziati, condottieri, tecnici, insegnanti e ogni persona che i capi della folla inferocita indicavano come meritevoli di morire per aver contribuito a fare della Terra ciò che era».

Quanto ai sopravvissuti… «Quando la Santa Chiesa li accolse, li vestì di abiti monacali e cercò di nasconderli nei monasteri e nei conventi che erano rimasti in piedi e che erano stati rioccupati, perché i religiosi erano meno disprezzati dalla folla, tranne quando la sfidavano apertamente e accettavano il martirio. Qualche volta questo rifugio era efficace, ma più spesso non lo era. I monasteri venivano invasi, i documenti e i libri sacri venivano bruciati, i rifugiati venivano catturati e impiccati o arsi, sommariamente. La Semplificazione aveva cessato di avere un piano o uno scopo poco tempo dopo il suo inizio, ed era diventata una insana frenesia di sterminio di massa e di distribuzione, quale può verificarsi soltanto quando sono scomparse anche le ultime tracce dell’ordine sociale».

"Un cantico per Leibowitz" è ambientato in un monastero del futuro. Foto di Karl-Heinz Lüpke da Pixabay 
Foto di Karl-Heinz Lüpke da Pixabay 

Fiat Homo

La vicenda inizia in un monastero del deserto del sud-ovest degli Stati Uniti dopo la devastazione provocata da una guerra nucleare. Ancora una volta, come nel medioevo europeo, è compito della Chiesa, e soprattutto dei suoi monaci, conservare e tramandare i frammenti della sapienza del passato, pur non comprendendoli. I monaci dell’Ordine Albertiano [che prendeva cioè il nome da Alberto Magno, patrono degli uomini di scienza] di Leibowitz si impegnano a preservare ciò che rimane della cultura precedente all’epoca della catastrofe nucleare (il «Diluvio di Fiamma») in attesa che gli uomini sappiano di nuovo interpretare la scienza che male usata portò al disastro.

Nell’Abbazia del Beato Isaac Edward Leibowitz, quindi, i monaci copiano e ricopiano i «Memorabilia» del passato, di cui non comprendono più il significato: diagrammi, schemi e formule scientifiche. Il Beato Leibowitz è per loro un grande santo ma il lettore scopre con ironia – mentre i personaggi del romanzo ne rimangono all’oscuro – che era un fisico ebreo e che i suoi documenti erano liste della spesa, biglietti della lotteria e schemi di sistemi elettrici. Si trovano anche accenni a un coinvolgimento di Leibowitz in un progetto segreto del governo americano per armamenti atomici.

Si cerca una prova che dimostri che Leibowitz si convertì al cattolicesimo, e dopo la morte della moglie pronunziò i voti e creò l’Ordine, prova fondamentale per poter procedere alla sua canonizzazione… Il giovane novizio Francis Gerard dello Utah trova fra i documenti di Leibowitz un disegno tecnico che sarà poi  incaricato di portare in Vaticano a Nuova Roma nel Missouri – la Roma originale è ormai un cratere radioattivo – e precisamente a papa Leone XXI. Francis viene ucciso nel tentativo di recuperare una copia di questo disegno, a cui aveva lavorato per 15 anni.

Fiat Lux

Il lettore, con un altro salto nel tempo di 600 anni, si trova adesso nel 3174, un periodo molto simile al Rinascimento. Leibowitz è canonizzato da sei secoli, e Francis Gerard dello Utah è stato dichiarato Venerabile. Nel XXXII secolo la scienza di nuovo si svincola dalla religione e si reinventa l’elettricità. La nuova era è rappresentata dallo scienziato Thon Taddeo. L’anziano abate dom Paulo Del Pecos mette invece in dubbio i vantaggi delle nuove invenzioni tecnologiche. Ne cerca una integrazione nella fede, ma sa che con esse l’Ordine Albertiano di Leibowitz perderà a poco a poco la sua ragion d’essere.

Intanto Hannegan II, Signore del Texark (nuova potenza militare nata dal Texas), vuole dichiarare guerra alle nazioni vicine e ai Popoli Nomadi per unificare sotto di sé tutto il nord del continente, com’era avvenuto storicamente ai tempi degli Stati Uniti d’America. In questo modo minaccia l’indipendenza del Vaticano a Nuova Roma, di cui è sovrano papa Benedetto XXII. La guerra è imminente e dom Paulo, prostrato da un male terminale, sa che è la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova.

Chi userà la scienza?

Nel libro di Miller l’uomo religioso, nella fattispecie il cattolico, si rivela migliore dello scienziato che, privo di valori, è facilmente seducibile dal potere e strumentalizzabile dai politici. In una nuova era di rinascita dopo la catastrofe nucleare che ha quasi distrutto la civiltà, l’abate Paulo ammonisce lo studioso Taddeo:

«Voi promettete di cominciare a restaurare il dominio dell’Uomo sulla natura. Però chi governerà l’uso della potenza per dominare le forze naturali? Chi l’userà? A quale fine? Come lo terrete in scacco? Queste decisioni devono ancora essere prese. Ma se voi e la vostra fazione non le prendete adesso, altri le prenderanno, presto, al loro posto. L’umanità ne trarrà profitto, voi dite. Con il consenso di chi? Con il consenso di un principe che firma le sue lettere con una X?»

(Walter Michael Miller, Un cantico per Leibowitz, Mondadori, Milano 1988, 168).

Fiat Voluntas Tua

Un altro salto di 600 anni in avanti; nel 3781 il mondo è a un livello tecnologico molto superiore a quello del XXI secolo, eppure sta nuovamente andando verso una guerra nucleare. Spetterà allora nuovamente ai monaci, insieme ad un gruppo di bambini, lasciare la Terra per ricominciare la vita su un nuovo pianeta di Alpha Centauri, preservando insieme l’umanità e la Chiesa. L’abate Jethrah Zerchi prepara una nave spaziale per sfuggire alla nuova catastrofe atomica, secondo un piano elaborato quasi cinquant’anni prima da Papa Celestino VIII e dal successore Paolo VII. Se Papa Gregorio XVII e i chierici sulla Terra si estingueranno, spetterà a loro preservare la Chiesa e la civiltà umana nei tempi futuri, come avevano già fatto i seguaci di Leibowitz millesettecento anni addietro.

L’uomo non impara mai

L’umanità dunque non impara mai dai propri errori: continuerà a correre i rischi di uno sviluppo tecnico non illuminato dalla sapienza. Esclama l’abate Zerchi, alla vigilia di un nuovo disastro atomico che annienterà l’uomo sulla Terra:

«Come fu mite la Maestà del nostro Dio Onnipotente! Che infinito senso dell’umorismo […] diventare uno di noi […]. Il Re dell’Universo, inchiodato a una croce come uno Yddish Schlemiel, dai nostri simili! Dicono che il Maligno fu scacciato per aver rifiutato di adorare il Verbo Incarnato: il Maligno doveva mancare completamente di senso dell’umorismo! O tu che sei il Dio di Giacobbe, che sei persino il Dio di Caino […] perché lo fanno di nuovo?» (Ivi, 210).

Anche Frate Joshua, che accompagnerà nello spazio un gruppo di bambini, di suore e di monaci, per far scampare la razza umana dalla catastrofe, riflette:

«Più gli uomini si avvicinavano al perfezionamento di un loro paradiso, più sembravano impazienti verso quel paradiso e verso se stessi. Facevano un giardino di delizie, e divenivano progressivamente più miserabili verso di esso, via via che esso cresceva in ricchezza e in potenza e in bellezza: perché allora, forse, era più facile per loro vedere che in quel giardino mancava qualcosa, qualche albero o cespuglio che non sarebbe cresciuto. Quando il mondo era nell’oscurità e nella infelicità, poteva credere nella perfezione e la desiderava ardentemente. Ma quando il mondo si ammantava di ragione e di ricchezze, cominciava a sentire la strettezza della cruna dell’ago, e questo era terribile per un mondo che non desiderava più credere e desiderare. Bene, stavano per distruggerlo ancora, non era così?… questo giardino Terra, civile e sapiente, doveva essere di nuovo fatto a pezzi perché l’Uomo potesse sperare ancora, nell’infelicità e nell’oscurità (Ivi, 214)».