Tutto partì da una croce…

Tutto partì da una croce
Il Crocifisso di San Damiano. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15886175

Tutto partì da una croce… Vi sarete chiesti, allora, come sia stato possibile che un pugno di uomini (e donne, questa volta la specificazione serve) fedeli ad un maestro crocifisso, morto e sepolto, spersi come una goccia d’acqua in un oceano di paganesimo, siano riusciti a cambiare la storia. A livello anagrafico, quasi un miliardo e mezzo di persone professa il cristianesimo (di cui 1 miliardo e 300 milioni di cattolici, gli altri divisi fra protestanti e ortodossi).

Sembra però che da qualche tempo si sia sviluppato il processo inverso, e sempre maggiore sia l’abbandono effettivo della religione cristiana da parte dei battezati, fino ad arrivare a piccoli nuclei di credenti in un oceano di consumismo dilagante. Si sta cioè riproponendo, almeno nel mondo occidentale, la situazione iniziale di qualche goccia in un grande mare.

Mi sembrano perciò tanto attuali le riflessioni di S. Giovanni Crisostomo sul paradosso cristiano di un morto che sconfigge i vivi e di vigliacchi che trovano il coraggio di affrontare il mondo. Sì, tutto partì da una croce…

Dalle «Omelie sulla prima lettera ai Corinzi» di San Giovanni Crisostomo, vescovo

(Om. 4, 3. 4; PG 61, 34-36)    

Tutto partì da una croce…

La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto servendosi non di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto di uomini poco dotati.

… Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l’hanno potuto vincere. Perciò quando un pagano dice a un cristiano che è fuori della vita, dice una stoltezza. Quando mi dice che sono stolto per la mia fede, mi rende persuaso che sono mille volte più saggio di lui che si ritiene sapiente. E quando mi pensa debole non si accorge che il debole è lui. I filosofi, i re e, per così dire, tutto il mondo, che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio.

Pensando a questo fatto, Paolo esclamava: «Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1 Cor 1, 25). Questa frase è chiaramente divina. Infatti come poteva venire in mente a dodici poveri uomini, e per di più ignoranti, che avevano passato la loro vita sui laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera? Essi forse mai erano entrati in una città o in una piazza. E allora come potevano pensare di affrontare tutta la terra? Che fossero paurosi e pusillanimi l’afferma chiaramente chi scrisse la loro vita senza dissimulare nulla e senza nascondere i loro difetti, ciò che costituisce la miglior garanzia di veridicità di quanto asserisce.
    Costui, dunque, racconta che quando Cristo fu arrestato dopo tanti miracoli compiuti, tutti gli apostoli fuggirono e il loro capo lo rinnegò. Come si spiega allora che tutti costoro, quando il Cristo era ancora in vita, non avevano saputo resistere a pochi Giudei, mentre poi, giacendo lui morto e sepolto e, secondo gli increduli, non risorto, e quindi non in grado di parlare, avrebbero ricevuto da lui tanto coraggio da schierarsi vittoriosamente contro il mondo intero? Non avrebbero piuttosto dovuto dire: E adesso, non ha potuto salvare se stesso, come potrà difendere noi? Non è stato capace di proteggere se stesso, come potrà tenderci la mano da morto? In vita non è riuscito a conquistare una sola nazione, e noi, col solo suo nome, dovremmo conquistare il mondo? Non sarebbe da folli non solo mettersi in simile impresa, ma perfino solo pensarla?
    È evidente perciò che, se non lo avessero visto risuscitato e non avessero avuto una prova inconfutabile della sua potenza, non si sarebbero esposti a tanto rischio.