Tutto è vanità

Foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay

Tutto è vanità, dice il Qoheleth…

L’autore del Qoheleth, nel corso del libro, appare quasi nevrotico, mutevole, come lo fu Saul: ogni tanto ha dei lampi di gioia, ed è uno degli uomini biblici che più apprezza il mondo. Il problema della vita è la conciliazione degli elementi contraddittori dell’esistenza (c’è un tempo per ogni cosa e per il suo opposto) non ostante la sua visibile assurdità:

Havel havalîm, havel havalîm, hakkol havel

Vanità delle vanità, vanità delle vanità, tutto è vanità.

L’articolo precedente QUI.

Il problema della vita: tutto è vanità

Tutto è vanità...
Tutto è vanità…

La traduzione di havel come vanità non deve essere fraintesa. Il termine (hevel significa soffio, vanità) ricorre ben 36 volte nel libro, ad indicare la vacuità e fugacità dell’apparenza.

Il latino vanitas indica il vuoto (vuotezza, inconsistenza) e non ha affatto, qui, il senso di frivolo compiacimento di sé.  Quindi mi sembra rispecchi bene il senso che gli dà il Qoheleth.

Tutto è vanità, dunque: ma che cosa significa? La concezione dell’uomo rimane quella tradizionale dell’antica sapienza di Israele: la fine comune della vita è lo sheol. La sua è la teoria dei momenti: c’è un tempo per ogni cosa, e quando ci sono momenti positivi bisogna goderli. Ma l’uomo non può capire il suo destino né l’opera di Dio: la sua vita si volge tra molti dolori e molte fatiche inutili (‘amal, che ricorre una ventina di volte nel Qohelet, è il lavoro dello schiavo); per questo deve saper cogliere realisticamente le piccole, semplici gioie che vi sono disseminate.

Struttura del libro

Il pensiero del Qoheleth procede a sbalzi, come è tipico del mondo semitico, ed è difficile ravvisare una struttura del libro. Si può proporre la seguente articolazione, molto approssimativa, degli argomenti:

1,1-3,22: l’esperienza di ricerca di felicità e la condizione umana (prospettiva antropologica)

4,1-6,10: la società umana e i paradossi dell’esistenza  (prospettiva sociologica)

7,1-9,3: la  contestazione  della  sapienza tradizionale (prospettiva ideologica)

9,4-12,8: invito alla gioia ed all’operosità (prospettiva etica)

12,9-13: conclusione.

L’esperienza di ricerca di felicità e la condizione umana (prospettiva antropologica: 1,1-3,22)

Non c’è niente di nuovo sotto il sole

Tutto è vanità... La vita è un puzzle. Foto di congerdesign da Pixabay 
Foto di congerdesign da Pixabay 

Il mondo appare assurdo, e la vita dell’uomo, segnata dalla fatica, senza frutto. Tutto appare come un eterno ritorno, come il sole, come il vento, come le acque; così l’esistenza umana è un andare e venire senza senso. Ciò che è stato è ciò che sarà. Niente di nuovo sotto il sole.

Ecco, questo è l’orizzonte del Qoheleth: ciò che accade sotto il sole. Perché sopra il sole c’è Dio, e chi può conoscere i suoi pensieri?

1,3 Che vantaggio viene all’uomo da tutta la fatica in cui si affatica sotto il sole?

 4 Una generazione va e una generazione viene; eppure la terra sta sempre ferma.

 5 Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta al suo luogo.

 6 Va verso sud e gira verso nord il vento.

Il vento, nel suo cammino, non fa che girare: ritorna sempre sulle sue spire.

 7 Tutti i fiumi scorrono verso il mare e il mare non si empie mai;

sempre i fiumi tornano a fluire verso il luogo dove vanno scorrendo.

Ogni discorso resta a mezzo, perché l’uomo non riesce a concluderlo.

L’occhio non si sazia di ciò che vede, né l’orecchio si riempie di ciò che ode.

 9 Ciò che è stato è ciò che sarà, ciò che è stato fatto è ciò che si farà.

Niente di nuovo sotto il sole.

 10 Qualche volta si sente dire: «Ecco, questa è una cosa nuova».

Ma questa fu già nei secoli che furono prima di noi.

 11 Non c’è ricordo degli antichi e non ci sarà neppure dei posteri

presso coloro che verranno dopo di loro.

La lettura del testo QUI.

La cosa sorprendente, nel Qoheleth, è che mentre tutta la storia biblica e la letteratura biblica sono costruite sulla memoria, il Predicatore (così lo chiamò Lutero) arriva a negare che rimanga ricordo del passato. In questo modo annulla il significato dello zikkaron, il memoriale, che rende attuale il passato, l’evento salvifico, per le nuove generazioni e per ogni figlio di Israele. Significato che è anche alla base della nostra liturgia.

La letteratura sapienziale, cui il libro del Qoheleth appartiene, è caratterizzata proprio dall’universalismo della riflessione, quindi dalla mancanza di riferimenti precisi alla storia e alle istituzioni di Israele; ma il Qoheleth va oltre, negandone il valore…  È tutto vano come sembra, dunque? In questo modo, però, il Qoheleth si identifica meglio con l’Uomo, con l’umanità che non conosce il Signore.

Il Carpe diem di fronte al non senso della sapienza

Nella sapienza biblica, la sapienza è, ovviamente, la più grande aspirazione del saggio, di pari passo con il timor di Dio. È perciò sorprendente che il Qoheleth la consideri invece non desiderabile, in quanto non fa altro che aumentare la capacità di soffrire. La gioia, il piacere, la ricchezza sono vanità; ma anche la saggezza è un bene effimero. Si può solo godere momento per momento di quanto ci è dato.

1,16 Feci fra me queste riflessioni.

Ecco, sono diventato più grande e più sapiente

di quanti hanno regnato prima di me in Gerusalemme;

la mia mente ha acquistato molta sapienza e scienza.

 17 Ma dopo essermi dato alla ricerca della sapienza e della scienza,

della follia e della stoltezza

sono arrivato alla conclusione che anche questa è un’occupazione assurda, perché

 18 dove c’è molta sapienza c’è molta tristezza,

e, se si aumenta la scienza, si aumenta il dolore.

2,1 Dissi allora a me stesso:

«Suvvia! Ti voglio far fare la prova dell’allegria: prova i piaceri!».

Ma mi accorsi che anche questa era vanità;

 2 al riso, infatti, dissi: «Stolto», e all’allegria: «A che serve?».

2,20 Allora la disperazione ha invaso il mio cuore,

pensando a tutta la fatica che ho sopportato sotto il sole,

 21 perché c’è un uomo che si è affaticato con sapienza, con scienza e con impegno

e deve lasciare ciò che è suo a un altro che non ci ha messo nessuna fatica.

Anche questo è vanità e male grande.

 22 Infatti che cosa rimane all’uomo in tutta la sua fatica e nell’affanno del suo cuore,

nel quale si è affaticato sotto il sole?

 23 Per tutti i giorni della sua vita, il suo lavoro è dolore e tristezza.

Il suo cuore non riposa nemmeno di notte. Anche questo è vanità.

 24 Non c’è cosa buona per l’uomo se non mangiare e bere

e godere il successo delle proprie fatiche.