
Tutti i cibi sono puri. Mangiare il pane con le mani impure non rende l’uomo impuro (7,1-23). È quello che dice Gesù…
Una nuova controversia
Una nuova controversia parte dalla constatazione che i discepoli di Gesù non si lavano le mani prima di prendere il cibo.
Non è la Torah che prescrive a tutti di purificarsi le mani prima di prendere il cibo. Erano i leviti che dovevano lavarsi mani e piedi prima di entrare nel santuario (Es 30,18-21; 40,30-32), ed anche gli utensili dovevano essere lavati se contaminati con qualcosa di impuro (Lv 11,32; 15,12). Però, nella loro spiritualità di tipo laicale, secondo cui si deve vivere nella propria casa nello stato di purità rituale dei sacerdoti al tempio, i farisei avevano esteso queste purificazioni rituali a chiunque e in ogni luogo prima di ogni pasto. Maestri della legge (per la maggior parte di corrente farisaica) e farisei contestano perciò a Gesù di non far rispettare ai suoi discepoli le tradizioni.
Gli scribi
Gli scribi, studiosi o dottori della Legge, erano coloro che per scelta personale dedicavano la vita all’interpretazione e osservanza minuziosa della Torah e che allora ed anche oggi venivano e vengono chiamati rabbini: non solo conoscitori della Scrittura, ma anche interpreti delle problematiche teologiche e soprattutto giuridiche ad essa connesse.
A tale categoria sociale non si accedeva per nascita o per censo, ma per capacità, dopo aver compiuto un intenso programma di studio presso un maestro della legge. Questi veniva accompagnato dai suoi studenti i quali sedevano ai suoi piedi per ascoltarlo e interrogarlo. Era l’aspirante studente che sceglieva il maestro; al termine degli studi, se si era rivelato capace, riceveva da lui l’imposizione delle mani e diveniva maestro a sua volta.
Gli scribi e il lavoro
I rabbini potevano essere anche sacerdoti o persone benestanti, più spesso erano mercanti e artigiani, ma sempre dovevano svolgere un’attività manuale: che fossero taglialegna, mugnai, falegnami, calzolai, fabbri, calderai, fornai, sarti, tutti dovevano esercitare un mestiere; lo stesso Gesù era falegname, e S. Paolo fabbricante di tende. Il lavoro, infatti, nel mondo ebraico appartiene all’uomo per vocazione originaria e ne rappresenta la dignità, tanto che il Talmud obbliga ogni padre ad insegnare un mestiere al proprio figlio: perché, spiega, «chi non insegna un lavoro manuale al proprio figlio è come ne facesse un brigante». Da notare la profonda differenza con il mondo classico greco e romano nel quale il lavoro è riservato agli schiavi ed ai poveri come alle bestie, essendo indegno dell’uomo libero, ricco e colto.
Non tutti i mestieri erano però considerati onesti, né tutti permettevano di osservare scrupolosamente la legge; il mestiere del pastore, per esempio, era tra i più disprezzati, e impuro era quello dei conciatori di pelle. I pregiudizi sulle categorie lavorative, del resto, imperavano. R. Judah (150 circa) diceva a nome di Abba Saul:
«Gli asinai sono per lo più birbanti; i cammellieri sono per lo più onesti; i marinai sono per lo più devoti; il migliore dei medici merita l’inferno e il più onesto dei macellai è socio di Amalek» (M. Qiddushin 4,14b).
Tradizione degli uomini e Parola di Dio: tutti i cibi sono puri
La tradizione umana, risponde Gesù, non può annullare il comandamento di Dio. Non si possono onorare padre e madre a parole se si ricorre all’escamotage del korban, cioè al trucco di votare al tempio i beni necessari per assisterli nella loro vecchiaia. La tradizione umana insiste tanto sulla purità materiale, ma non sono le esteriorità, come i cibi e i modi di assumerli, a contaminare l’uomo: sono piuttosto le cattiverie nutrite nel suo cuore, che ne escono facendo male agli altri, a contaminarlo.
Questa parola del Signore pone fine alla Kasherut, tutto il sistema giudaico di proibizioni che esclude cibi e modalità alimentari. La vera purità è quella interiore, di ordine morale. Così rendeva puri tutti gli alimenti. Il cristianesimo è l’unica grande religione che non ha precetti alimentari; anche Paolo chiarirà che il Regno di Dio non è cibo e bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo (Rom 14,17).