Lettura continua della Bibbia. Va’, tuo figlio vive! (Giovanni 4,46-54)

Tuo figlio vive
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“Va’, tuo figlio vive!”. Parola di Gesù al funzionario del re. Vivere è credere alla Parola: e questo è il secondo segno che Giovanni esplicita nel IV Vangelo. Primo segno: Gesù è lo Sposo che dà il vino nuovo, lo Spirito, al popolo di Dio. Secondo segno: Gesù è il Signore che dà la vita nuova.

I due racconti di Cana hanno una struttura simile:

  • una madre e un padre presentano una situazione drammatica (quella delle nozze lo è simbolicamente)
  • Gesù dà un ordine che viene eseguito (v. 50=2,7s),
  • il prodigio avviene (v. 51s=2,9s)
  • e ne segue la fede (v. 53=2,11).

Da Cana a Cana

La sezione racchiusa fra questi due segni si chiama “Da Cana a Cana”, perché è da lì che Gesù parte ed è lì che Gesù torna. Solo i samaritani lo hanno accolto… e adesso un pagano. Infatti, sappiamo da Mt 8,5-13 e Lc 7,1-10 che quest’uomo è un centurione, ovviamente un pagano. Vediamo allora come sono disposti gli incontri di Gesù, in ordine decrescente riguardo allo status sociale e religioso e in ordine crescente riguardo alla fede.

In ordine decrescente: la qualità dello status dei personaggi è sempre più scadente, dal benpensante capo dei giudei (Nicodemo) ad una donna, e samaritana per giunta, e screditata per sovrappiù, ad un soldato pagano!

In ordine crescente: Nicodemo rimane ancora nella sua personale “notte” della fede, la samaritana crede, per averne avuto la prova, che Gesù sia il Messia, il funzionario regio crede a distanza, sulla semplice parola!

Tuo figlio vive: Il testo

Giovanni 4 46Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. 47Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. 48Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». 49Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». 50Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 51Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». 52Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». 53Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. 54Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

Tuo figlio vive!

Il protagonista di questo racconto di guarigione per interposta persona è un certo basilikòs, un [funzionario] regio. Non ha un nome proprio e nemmeno un nome comune di persona, ha solo un aggettivo: appartiene a qualcun altro, al re Antipa. Non è se stesso, è definito in relazione al re che lo stipendia. È un tale, un tizio che ha il figlio gravemente malato e che prega Gesù che scendesse. Da Cana si scende a Cafarnao, sul lago, per una strada lunga 26 km, ma il verbo scendere non ha solo un senso geografico: esprime anche la con-discendenza del Figlio, disceso dal cielo per la salvezza dell’uomo, ridotto in una debolezza mortale.

La Parola della fede

La fede non è l’idolatria dei segni, chiesti magicamente: è credere a Dio per quello che la Parola racconta e camminare verso il futuro. È l’accoglienza alla parola di Gesù, che può risultare anche contraria all’evidenza. Gesù non fornisce prove, dice ciò che sa e che è: la sua parola non solo darà la vita fisica al bambino, darà anche la vita spirituale al padre. Infatti…

Credette l’uomo alla parola. Il dipendente del re ora è chiamato uomo. Non è più un lacchè imprigionato negli ingranaggi del potere. È diventato uomo. Parallelamente, l’infermo di cui chiede la guarigione è dapprima nelle parole del padre un bambino (paidìon, neutro), un pais (ragazzo o servo) nelle parole dei servitori, e “figlio” (hyiòs) dall’evangelista e da Gesù (vv. 46.47.50.53). c’è una crescita anche per lui.

Conobbe dunque il padre.… e credette. Questo tale, definito solo in relazione al suo ufficio, viene chiamato uomo, e infine padre: lo ha reso tale la fede, che gli ha restituito il figlio, e non solo per la vita terrena, anche per la vita eterna. È, come Abramo che ha creduto e perciò è stato reso giusto, uno dei padri della nostra fede, anche se non ne conosciamo il nome. Crede lui e la sua intera casa: perché la fede non è fatta per essere un approdo solitario, è fatta per portare il contagio. La fede ci fa “casa”, luogo di fili e di fratelli, aperto a tutti gli uomini.

Il racconto ci mostra come anche noi, che non abbiamo visto il Signore come la samaritana, possiamo incontrarlo direttamente attraverso la fede nella Parola.

Questo “secondo segno”, che l’evangelista narra (anche se ne conosce altri: cf. 2,23; 4,45), chiude un primo cerchio dell’attività di Gesù, tutta incentrata sulla fede. Il dono della vita fisica, accordato al figlio, è segno del dono della vita eterna, accordato al padre per la fede in Gesù. Dopo questo “secondo segno”, Giovanni non li enumera più. Questi due primi segni, infatti, contengono il principio e il fine di tutti gli altri: credere in Gesù per avere la vita.