Le guide di Israele e i pagani (Matteo 21,23-22,14)

L'autorità di Gesù
Un’incisione di Jan Luyken dalla collezione di illustrazioni bibliche di Phillip Medhurst (Belgrave Hall, Leicester, Inghilterra). Di Phillip Medhurst – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20225131

Gesù, con una serie di tre parabole, si confronta con le guide spirituali e giuridiche di Israele. Guide del popolo sono i sommi sacerdoti (il sommo sacerdote era uno solo, ma col plurale si indicavano le grandi famiglie sacerdotali) e gli anziani, che insieme a loro formavano il Sinedrio. Se i farisei dibattevano sulle questioni legali come quella del ripudio, al Sinedrio premeva chiarire l’autorità di Gesù, soprattutto quella che egli mostra nel tempio, guarendo e insegnando.

Il sinedrio, in ebraico Sanhedrin, era il massimo organo di consiglio del mondo ebraico. Decideva in tema di leggi civili, definiva questioni personali e familiari e trattava le procedure di diritto matrimoniale. Raccoglieva le tasse sacre e decideva il calendario liturgico, ma non aveva, sotto la dominazione romana, lo jus gladii, ovvero non poteva comminare la pena capitale.

Era costituito tradizionalmente da 70 membri oltre al sommo sacerdote, per cui la possibilità di una maggioranza era sempre assicurata. Sadducei e farisei si contendevano, all’interno del sinedrio, tale maggioranza; la gran parte dei sinedriti era rappresentata dai sadducei.

L’autorità di Gesù: la controdomanda

Ènormale, nel procedimento rabbinico della controversia, che alla domanda segua la controdomanda: in questo caso, stabilire preliminarmente da dove provenisse il ministero del Battista.

Controdomanda che rimane senza risposta perché gli interroganti ipocritamente non vogliono prendere parte. Riconoscendo la missione divina del Battista si autoaccuserebbero di incoerenza (papa Francesco parlerebbe di autogol), disconoscendola si inimicherebbero la folla.

La loro risposta, “Non lo sappiamo”, non viene da dubbio sincero ma da ipocrisia. Sono affetti da disonestà mentale. Se non si pronunciano neppure sul Battista, a maggior ragione non possono accogliere la rivelazione di Gesù.

L’autorità di Gesù viene messa in discussione. Respinto dai capi del popolo, Gesù riprende a parlare in parabole, alludendo al rifiuto dei capi d’Israele di accettare non lui, ma la volontà del Padre. Abbiamo, così, una serie di tre parabole, di cui la prima narra dei due figli chiamati dal padre ad eseguire la sua parola.

I due figli (Mt 21,28-32)

Due figli
Parabola dei due figli. Di Andrei Mironov (2012) – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24735119

Nella parabola dei due figli, il figlio obbediente è quello che aveva opposto un primo rifiuto, poi si era pentito ed aveva seguito la parola del padre: rappresenta gli emarginati, i pubblicani, le prostitute, i pagani, che hanno creduto al Battista.

L’Israele dei benpensanti invece è raffigurato dal figlio che si protesta obbediente, e chiama il padre addirittura col titolo liturgico di Kyrie / Adonai / Signore, ma invece non ne accoglie, in realtà, la Parola.

Il terzo figlio

Quindi c’è un figlio che obbedisce a parole, acconsente ma non fa. Poi ce n’è uno che rifiuta e invece fa, obbedisce con i fatti. Perché manca il figlio che obbedisce a parole e con i fatti? Perché questi è il Cristo, e i discepoli devono esserlo con lui.

I vignaioli omicidi (Mt 21,33-46)

Codex Aureus Epternacensis (1030 circa) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=155244

La seconda parabola del gruppo delle tre narrate da Gesù in merito ai capi di Israele, la parabola dei vignaioli omicidi, ha un carattere maggiormente paradossale.

È inverosimile che dei contadini possano ribellarsi al padrone della vigna al punto non solo di rifiutargliene i frutti, ma anche di uccidere i suoi inviati e persino il figlio per appropriarsi dell’eredità.

Infatti la situazione è quella, storica, del popolo di Israele: i custodi del popolo di Dio hanno perseguitato e ucciso prima i profeti e infine il Figlio, perciò il Signore li respingerà e darà la vigna ad altri perché la facciano fruttificare.

Profezia ex eventu

Matteo corregge la narrazione di Marco 12,8 quanto alla tempistica dell’azione: mentre Marco dice che i vignaioli uccisero il Figlio e lo buttarono fuori della vigna, Matteo (seguito da Luca) inverte i tempi: lo buttarono fuori della vigna e lo uccisero. In questo modo, adatta con maggior precisione la profezia agli eventi: Gesù infatti fu condotto fuori della città e ucciso. Si parla, in casi come questo, di profezie ex eventu, cioè riformulate a seguito dell’evento. La forma di Marco, invece, dimostra di precedere l’evento, perché i fatti non andarono precisamente così; rispecchia maggiormente il parlare storico di Gesù.

La pietra scartata

Nella parabola dei vignaioli omicidi si profila la sorte del Figlio, una sorte di rifiuto e di morte. Più completo è il modello di annuncio di Passione – Morte – Resurrezione rappresentato dalla pietra scartata. Pur essendo semplice come immagine, infatti, la pietra scartata e divenuta testata d’angolo annuncia anche la futura glorificazione. Il Cristo, Figlio, pietra scartata dai costruttori, raccolta dal Signore, diviene, meravigliosamente, la chiave di volta di tutto l’edificio (Sal 118,22-23), ma sarà anche la fine di coloro che la rifiutano.

Il banchetto di nozze (Matteo 22,1-14)

Pittore olandese anonimo, La parabola del banchetto di nozze. Museo nazionale di Varsavia, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=99907272

Analoga alla parabola dei vignaioli omicidi è in Matteo la parabola del banchetto: anche qui i primi invitati, i capi d’Israele e il popolo con loro, rifiutano e uccidono profeti e apostoli,gli inviati del Re, il quale distrugge la loro città (chiara allusione a Gerusalemme, distrutta dai romani nel 70 d.C.) e invita al banchetto di nozze del figlio-Messia i passanti, buoni e cattivi: l’invito passa adesso ai pagani.

Differenze con Luca

In Luca 14,16-24 un’analoga parabola narra di un banchetto; ma il taglio è diverso. Chi rivolge l’invito è genericamente un uomo, o meglio una persona (anthropos), evidentemente una persona importante, ma non un re. Anche il banchetto, in Luca, è generico, mentre in Matteo è il convito nuziale (in greco gamos, le nozze) per lo sposalizio del figlio del re, chiaro accenno messianico.

In Luca uno solo è il servo inviato a portare gli inviti al banchetto. In Matteo i servi sono tanti, mandati a più riprese, chiara allusione ai profeti e agli apostoli. Paradossale è la loro sorte: quali invitati di riguardo ad un banchetto non solo disprezzerebbero l’invito, come in Luca, ma addirittura maltratterebbero i messi e li ucciderebbero? Anche questa è una più che chiara allusione alla sorte dei profeti e degli apostoli.

In Luca i secondi chiamati, quelli che accettano l’invito, sono i poveri, gli svantaggiati, gli emarginati: una tipica tematica lucana. In Matteo, invece, sono tutti quelli che passano per la strada, cioè gli sconosciuti, i pagani; mentre i primi invitati rappresentano il popolo di Israele.

Paradossale è anche, in Matteo, la fine che fanno i primi invitati: mentre in Luca si limiteranno a non partecipare al banchetto, in Matteo saranno sterminati e la loro città sarà data alle fiamme. Si sta parlando, con tutta evidenza, della distruzione di Gerusalemme che avverrà nel 70 d.C.

Una seconda parabola

Bernardo Strozzi, La parabola dell’invitato non degno. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=55711789

Tutti, dunque, possono entrare al banchetto nuziale del figlio del re. Chi entra, però, deve accettare la veste di nozze. Ciò sembrerebbe contraddittorio col fatto che i commensali sono stati prelevati dalla strada. In realtà, questa è una seconda parabola unita alla prima a motivo del tema stesso del banchetto; ma in un certo senso precisa la prima.

Infatti, era prassi nell’antichità, per gli invitati che non avevano mezzi propri, riceverla gratis in prestito dallo stesso padrone di casa, proprio come avviene d’estate nelle chiese e nelle moschee in cui non si può entrare in abiti troppo ridotti: ci sono delle ceste, all’ingresso, dove poter scegliere uno scialle per coprirsi, da restituire all’uscita.

C’è però anche un’interpretazione spirituale, che Ap 19,8 sembra aver presente: «La veste di lino sono le opere giuste dei santi». All’invito del Re si deve cioè aderire con una fede operante. Chi non la accoglie sceglie le tenebre, il pianto e lo stridore di denti. I pochi «eletti» non sono predestinati alla salvezza, ma la scelgono accogliendola con la fede e le opere.