I tempi urgono, è necessario vigilare e stare pronti, dice Gesù. Ecco allora, come parte conclusiva del discorso escatologico di Matteo, tre parabole sulla necessità della vigilanza.
Il servo fedele (24,45-51)
Come si debba vigilare, ce lo illustra la prima parabola di questo gruppo, quella del servo fedele che usa bene del suo mandato e si prende cura dei suoi compagni, in contrasto con il servitore egoista che approfittando dell’assenza del padrone li maltratta e gozzoviglia (24,45-51). Il servo fedele è beato perché regnerà con il Signore; il servo infido sarà estromesso e gettato dove saranno pianto e stridor di denti.
Le dieci vergini (25,1-13)
La seconda parabola, notissima, è sconcertante (25,1-13): le 5 vergini prudenti, che si sono portate una scorta d’olio per far fronte ad una eventuale attesa prolungata, non vogliono dividerlo con le 5 compagne stolte, eppure entrano alle nozze. Dov’è la carità?
La parabola è tutta paradossale, perché non era lo sposo a farsi attendere, ma la sposa che un festoso corteo nuziale, di cui facevano parte le amiche, andava a prendere nella casa paterna e scortava fin nella casa dello sposo.
A differenza del servo malvagio della parabola precedente, che abusava del suo ufficio, si dava ai bagordi e maltrattava i compagni, queste povere vergini sprovvedute hanno una sola responsabilità, quella di non essere state più accorte; ben più grave, apparentemente, è il comportamento di quelle antipatiche delle vergini prudenti; sagge, ma egoiste.
In realtà, questa non è una allegoria in cui ogni particolare ha un valore teologico, ma una parabola in cui solo un particolare è significativo, il resto serve solo vivacizzare il racconto. Ciò che qui dobbiamo cogliere è un elemento solo: quando verrà il momento, nessuno potrà prendere il mio posto se non sarò vigilante. Chi non ha vigilato, chi non sarà pronto, potrà sentirsi dire, senza che gli altri possano ormai far niente, quel terribile “Non ti conosco!”, molto peggiore delle tenebre esteriori, del pianto e del digrignare i denti: il gelo del cuore.
La parabola dei talenti (25,14-30)
L’equivalente maschile della parabola al femminile delle dieci vergini è quella dei servi a cui il signore affida, durante la propria assenza, talenti diversi da amministrare (25,14-30): chi li avrà usati bene avrà ancora di più, chi li ha trattenuti per sé, non importa per quale motivo, si vedrà togliere tutto e gettare fuori.
È però importante anche la scusa che adduce il servo infedele e infingardo: ha avuto paura del padrone, ma proprio per questo avrebbe dovuto impegnarsi maggiormente. L’attesa vigilante non è un’attesa paralizzante, o meglio, la vita non è la sala d’aspetto di una visita che non si vorrebbe fare. La vita, con il suo tempo, è un dono ricco di talenti che, in amicizia col Signore, e non per paura, si dovrebbero riconoscere e far fruttare. Su questo sarà il giudizio.