Vale veramente la pena di narrare la vita di Suor Andreina, missionaria in America Latina, morta novantatreenne nella pace del Signore venerdì 16 febbraio presso la Casa Madre di Bertinoro. Una vita suo malgrado avventurosa come pochi hanno potuto dire di averla vissuta…
Suor Andreina Piras, classe 1931, di Sanluri in provincia di Cagliari, missionaria per oltre trent’anni in America Latina. La sua è una biografia di eccezionale interesse quanto a testimonianza vocazionale ed importanza degli eventi storici attraversati – dalla dittatura peronista al periodo dei colonnelli in Argentina, alle rocambolesche vicende di Che Guevara in Bolivia fino alla sua morte. Un punto di vista particolare, da persona sul campo, che visse quei brani di storia dalla parte del popolo, con piglio e carattere missionario.
Vocazione, consacazione ed invio missionario
È Suor Andreina stessa a parlare: lo fece cinque anni fa in occasione di una intervista rilasciata al settimanale Toscana Oggi e ne riporto testualmente le parole, ma le consorelle hanno sentito spesso narrare a veglia queste vicende, degne veramente di rimanere nella memoria.
Una piccolissima parte della sua storia QUI.
«Sono nata a Sanluri in Sardegna il 5 giugno del 1931. Mia mamma mi raccontava che al momento del parto sarei venuta al mondo podalica e che aveva molta paura. Era il giorno della festa del Corpus Domini e, mentre giaceva nel letto con le doglie del parto, passò proprio davanti casa la processione del Santissimo: pregò allora Gesù di aiutarla a far venire al mondo sua figlia ed il parto avvenne infatti senza problemi.
Questo episodio marcò sin da subito la mia vita e la devozione a Gesù sacramentato si legò indissolubilmente al miracolo della mia nascita.
Eravamo sei sorelle e due fratelli ed io ero la più piccola. Mia sorella Augusta morì a 18 anni, nel 1944. Durante un periodo non potevamo bere acqua a casa perché era contaminata; purtroppo lei bevve dal pozzo infettato e cadde sotto febbri altissime per una settimana. Mio fratello, che era in servizio all’ospedale militare, saputa la notizia, commentò che il Signore se l’era raccolta. Questo fatto mi impressionò molto e mi fece riflettere. La sua morte fu un evento particolarmente intenso per la mia famiglia.
Mio fratello le fece una flebo molto forte ed Augusta tornò in vita, chiamò la sorella Antonina ed esclamò: “l’altro mondo esiste! Vengo da lì: è troppo bello, mi dispiace lasciarvi, ma me ne vado, me ne vado”. Mia mamma mi raccontò poi che poco prima di morire mia sorella le parlò anche di persone del paese decedute che non conosceva: “Guarda, c’è anche Bonaria, c’è anche Lei, la Madonna!”; dopodiché spirò.
Queste sono cose che rimangono nel cuore. Era troppo bello.“Allora”, pensavo, “che faccio in questo mondo? Me ne vado”. Avevo all’epoca 13 anni.
Esposi queste mie riflessioni al confessore e lui mi disse che o mi sposavo, o mi facevo suora o sarei rimasta sola ed aggiungeva che la via più bella era quella di farsi suora.
Quel sacerdote mi aiutò tanto; mi spronava ad essere più paziente, a vivere la carità ed usare la gentilezza. Ricordo che scrivevo su di un quaderno i miei peccati.
Il giorno della Cresima, subito dopo la guerra, nel 1945, a 14 anni, ebbi una grande gioia: sentii dentro di me come la conferma della mia vocazione a farmi suora. Il sacerdote mi consigliò però di non dire niente in famiglia: avrebbero dovuto accorgersi di tutto dalla mia condotta.
Un giorno che ero intenta a spazzare nel cortile di casa mia dopo un intero giorno di pioggia, mio fratello mi vide e se ne uscì con una battuta sarcastica: “ma che vuoi fare penitenza?! Mica ti vorrai far suora?!”. Ricordo che quel commento confermò dentro di me la mia vocazione.
Volevo però in particolare andare in missione: mia mamma mi comprava i quaderni delle missioni salesiane che avevano sulla copertina le immagini delle storie delle suore e passavo il tempo a guardarle incantata.
Si trattava a quel punto di scegliere l’ordine religioso giusto.
Avevo una sorella, Agnese, che anche lei era intenzionata a farsi suora e divenne salesiana.
Ricordo che al momento della selezione giunse in paese un’ispettrice dell’ordine che mise tutte in fila le aspiranti e scelse tutte le più belle. Fu una cosa che non mi piacque e confessai ad un frate cappuccino che non volevo farmi salesiana.
Quel frate cominciò così ad elencarmi gli ordini di suore, finché non arrivò a quello delle Clarisse Francescane Missionarie del Santissimo Sacramento.
Lo fermai subito.
Erano missionarie, come volevo io, ed erano devote del Santissimo Sacramento.
Mi consegnò perciò la Costituzione dell’ordine e ricordo che, lettala, rimasi perplessa sulla possibilità di riuscire a stare tanto in silenzio, col carattere deciso che avevo.
Oggi posso dire che mi fece giustizia poco a poco la vita religiosa.
Mi eccitava soprattutto la missione e la mia iniziale volontà era di andare in India.
Sin da piccola riunivo le ragazze in strada e le facevo pregare e fare la processione; quello che imparavo a catechismo lo ripetevo agli altri.
Scrissi così alla generale dell’ordine per essere accettata, chiedendo sin da subito la missione.
La generale mi rispose subito che mi avrebbero presa, senza chiedere nulla e senza bisogno di portare alcuna dote. Fui assai contenta, anche perché di dote non ne avevo proprio! “Dal paese” mi scrisse “passerà una suora e tu andrai con lei”.
Fu il mio confessore ad organizzare la partenza. Scelse l’ora in cui i miei familiari tornavano dalla campagna. I miei accolsero bene la mia scelta: mio papà commentò che bisognava rispettare la volontà del Signore e che era molto contento perché aveva tre figlie chiamate da Dio; mia madre, quando le confidai che volevo farmi suora, pianse di gioia e mi disse che aveva pregato perché, visto che il Signore non aveva voluto lei, almeno prendesse una sua figlia.
Partii da casa il 9 dicembre del 1949. Solo papà mi accompagnò fino alla nave ad Olbia. Il resto si fermò a metà strada.
Fui accolta dalla generale a Roma ed il giorno 13 entrai come postulante a Ravenna e poi come novizia a Bologna, perché il nostro convento di Bertinoro era stato bombardato. Presi nel frattempo il nome di Suor Ubalda, dal nome del cappellano del postulantato.
Il 31 maggio del 1950 feci la prima professione, dopodiché mi recai a Roma per due anni a studiare da maestra d’asilo.
Cercavano missionarie per India, Argentina e Bolivia ed ovviamente io spingevo fortemente per l’India. Mi comunicarono però che l’offerta che mi riguardava era per Argentina e Bolivia.
Ero contrariata ed in questo stato d’animo mi recai a confessarmi alla Scala Santa a Roma. Lì il confessore fu breve: “il Signore ti manda in America”. Ho sempre trovato persone decise nella mia vita.
La generale mi spiegò dunque la missione in Bolivia.
Partii il 3 novembre 1951 da Genova, imbarcata sulla nave “Augustus”».
(Continua…)