Fondamentalismo biblico? No grazie. “Storicità” dei testi narrativi

Storicità dei testi narrativi?
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Sono storici i libri della Bibbia che fanno una narrazione? Quanto è vera la storicità dei testi narrativi?

È opportuno, innanzi tutto, correggere l‟espressione con cui la tradizione cattolica ci ha consegnato i libri che ha denominato “storici”, ricorrendo al modo in cui Israele ha guardato a questi stessi libri, considerandoli non tanto “storici”, appunto, quanto 

  • “normativi”, “legislativi” (la “Legge”)
  • e “profetici” (i “Profeti anteriori”).

Il canone ebraico contiene 24 libri, così divisi:

  • A) LEGGE (TORAH) = i cinque libri di Mosè
  • B) PROFETI (NEVI’IM):

ANTERIORI = GiosuèGiudici SamueleRe

POSTERIORI = IsaiaGeremiaEzechieleDodici minori (considerati un solo libro)

  • C) SCRITTI O AGIOGRAFI (KETHUVIM) =

Salmi, Proverbi, Giobbe

I cinque rotoli = Cantico (letto per Pasqua, festa primaverile), Rut (letto per Pentecoste, festa della mietitura), Lamentazioni (letto il 9 di Ab, memoria della distruzione del Tempio), Qohelet (letto per la festa delle Capanne in autunno), Ester (letto per la festa di Purim, prima di Pasqua)

Daniele

Esdra + Neemia

Cronache

Questa diversa suddivisione, basata su una diversa considerazione del genere letterario dei testi, ci porta ad una riflessione sul carattere di questi libri che la tradizione cristiana ha chiamato “storici”.

Qual è la storicità dei testi biblici narrativi?

Dal Canone ebraico non emergono infatti testi propriamente “storici”, ma

a) Testi legislativi. Gli eventi narrati nel Pentateuco sono raccontati in quanto costitutivi del popolo d‟Israele e della sua Legge . Non riguardano una storia passata e archiviata, ma la norma, la vita della comunità .

b) Testi profetici. I testi che vanno da Giosuè a Re, come pure quelli dei profeti “scrittori” da Isaia a Malachia (senza comprendervi Daniele), narrano eventi animati dall‟intervento di Dio nella storia , intervento costituito da FATTI e da PAROLE, ispirati e realizzati in modo carismatico dallo Spirito di Dio mediante condottieri, giudici, re, profeti.

Anche qui non siamo nell‟ambito di una “cronistoria”, ma di una visione teologica che anima le antiche tradizioni narrative.

c) Testi sapienziali, cioè di meditazione sulle cose del‟uomo e sull‟esperienza di Israele. Anche qui, insieme a testi poetici, troviamo testi narrativi, di carattere non tanto storico cronachistico, quanto edificante: Rut – Ester – Cronache – Esdra – Neemia – e persino un libro che la tradizione cristiana ha collocato fra i profeti : Daniele.

Allo stesso genere appartengono i deuterocanonici Tobia, Giuditta e II Maccabei, cioè moltissimi libri che hanno forma narrativa.

La tradizione ebraica, fino dalla Mishna (scritti rabbinici dei primi secoli cristiani), non chiama “storico”, nel senso in cui noi lo intendiamo, nessun libro dell‟Antico Testamento che noi tendiamo a considerare tale; naturalmente, a quell‟epoca, il problema della storicità di un testo consacrato dalla tradizione non si poneva neppure.

I libri della Bibbia non sono testi di storia (né tanto meno di scienze)

Ma la suddivisione presentata dal Canone ebraico ci aiuta comunque ad assumere una prospettiva più corretta. I libri dell‟Antico Testamento, anche quelli di carattere fondamentalmente narrativo, non sono libri di storia, così come non sono libri di scienze, né di geografia. Sono libri che hanno valore storico, anzi alto valore storico (in molti casi, conservano essi soli gli unici ricordi di certi eventi), ma questo è ben diverso. La narrazione biblica ha sempre carattere primariamente religioso e teologico, è innanzi tutto la voce di un‟esperienza religiosa (certamente, incarnata nella storia) e una professione di fede nel Dio dei padri, e interpreta i fatti alla luce di questa fede, che pure è nata da un‟esperienza storica. In alcuni casi, appartengono addirittura al genere letterario del racconto fittizio, come il libro di Giona o quello di Ester.

Chiariamo tutto questo non per sfatare la “storicità” dei testi biblici, ma per precisarne la portata. Lo stesso S. Agostino diceva che Dio “voleva formare dei cristiani, non dei matematici”:

“Nel Vangelo non si legge che il Signore abbia mai detto: Vi mando lo Spirito Santo perché vi istruisca sul corso del sole o della luna. Egli voleva fare dei cristiani e non dei matematici” (PL 42,525).

“Lo Spirito di Dio non intendeva insegnare agli uomini tali cose che non hanno alcuna utilità per la salute eterna” (De Genesi ad litteram II,9).

E S. Tommaso: Mosè “propose soltanto ciò che chiaramente apparisce ai sensi” (Summa Theologiae I, q. 68,a.3); la S. Scrittura “si adatta al linguaggio degli uomini incolti” (I, q. 7, a.1) descrivendo “molte cose metaforicamente”.

Leone XIII lo chiama linguaggio figurato oppure linguaggio corrente . Siamo nell‟ambito di quella che S. Giovanni Crisostomo chiama la “synkatàbasis” o condiscendenza divina, che si riveste di tutte le debolezze e miserie della carne in Gesù, eccetto il peccato, e di tutte le debolezze e miserie del linguaggio nella Scrittura, eccetto l‟errore.

Dei Verbum (n. 11) afferma: “Le Scritture insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle S. Scritture”. Ciò equivale a dire: fate alla Scrittura gli interrogativi a cui può rispondere infallibilmente, e non quesiti di storia, geografia, scienze, filosofia, e neppure, da un certo punto di vista, di dogmatica.