Leggo oggi molte storie di animali maltrattati e/o abbandonati, che spesso si risolvono in bene. Sono storie angosciose, per chi ama gli animali. Ma solo da poco tempo ho realizzato che anch’io ne ho una da raccontare, una storia che sta alla pari con quelle che si leggono su internet. A quell’epoca, internet era ancora lontano, c’era solo qualche rivista che iniziava a occuparsi di cani e gatti. Ma adesso si può. È venuto il momento che racconti la storia di Mopo.
Una premessa: la storia di Muffi
La storia che sto per raccontarvi, la storia di Mopo, non è stata la prima storia di recupero felino per noi. Quattro anni prima, nel 1984, le mie figliole, andando a scuola, avevano trovato, buttato nella piazza in cui tuttora abito, un gattino bianco e nero incredibilmente piccolo: aveva ancora il cordone ombelicale attaccato, era appena nato. Non mi pare possibile che fosse stato perso dalla madre, perché non c’erano nei paraggi gatte in tali condizioni; probabilmente qualcuno se ne era sbarazzato gettandolo via.
Invece di andare a scuola, quel giorno, una giornata piovosa, il 17 aprile che quell’anno era il Martedì Santo, le mie figliole portarono il gattino a casa. Sembrava, piuttosto, un topino, invece che un gatto, ma si dimostrò molto robusto e crebbe benissimo dal punto di vista fisico. Dal punto di vista psichico era un ribelle, perché essendo cresciuto in totale assenza di suoi simili non aveva mai avuto un’esperienza felina: era molto intelligente, ma secondo me si riteneva un essere umano. E tanto basti, per ora.
Storia di Mopo
Tre anni dopo, un giorno, uscendo di chiesa, vidi avvicinarsi lentamente, camminando a stento, un gatto sconosciuto, bruttissimo. Mi venne da pensare: “Non ho mai visto un gatto più brutto di questo”. Poveretto, anzi poveretta perché si rivelò essere una femmina, non era brutta, stava morendo di inedia, solo pelle, ossa e pelo. Andai subito a casa a prenderle dei croccantini, tornai insieme a mia figlia Maria, e li offrimmo alla gattina. Si mise subito a mangiare: buon segno, perché significava che non aveva superato il punto di non ritorno. Tornammo più volte per darle cibo e verificare le sue condizioni.
Non potevamo portarla a casa perché non sapevamo come avrebbe reagito Muffi che non aveva mai conosciuto altri gatti e avevamo paura che la aggredisse, ma fu presa sotto tutela da una signora, Maria, che si occupava assiduamente dei gatti della piccola colonia cui la gattina casualmente era approdata. La sottopose a una speciale dieta per ridarle forze. Noi decidemmo di darle un nome: Mopo. Perché questo nome strano?
Il nome
Mopo, l’ho saputo molto, molto più tardi, in inglese (mop) indica la scopa per lavare per terra, quel che oggi chiamiamo Mocio, insomma. Ma non è questa l’origine del nome della gattina. In quel periodo le mie figliole stavano leggendo un libretto il cui protagonista, tutto occhi e gambe, era un alieno buono di nome Mopo. Il nome è tipicamente da fantascienza, perché l’acronimo M.O.P., trasposizione dell’inglese B.E.M,, designa gli alieni brutti della prima ingenua fantascienza, i Mostri dagli Occhi di Pulce. La gatta era tutta occhi e gambe: ecco l’origine del suo strano nome.
In fin di vita
Pur avendola lasciata nella colonia felina, sapevamo che era accudita molto bene, e la vedevamo, in pratica, tutti i giorni. Era sempre festosa con noi. Ma un anno dopo la storia di Mopo cambiò drasticamente. La trovammo – erano, mi pare, i primi di marzo del 1988 – in fin di vita. Del tutto inerte, respirava a malapena, un occhio era sparito, la bocca era tutta ulcerata, non era in grado di mangiare. La portammo in volata dal veterinario. Diagnosi: una gravissima rinotracheite felina, infettiva. Era anche incinta e prossima al parto.
La portammo a casa isolandola in una stanza a motivo di Muffi e cercammo almeno di somministrarle gli antibiotici prescritti. Era persino ripugnante a vedersi. Se ne prese cura Sara, la alimentò a forza con una siringa, le ripulì tutto il muso dal catarro: l’occhio scomparso c’era ancora, sepolto sotto il muco. Ma stava sempre male. La mattina, quando andavo a vederla adagiata nel suo scatolone, avevo sempre paura di trovarla morta.
La guarigione
Passa qualche giorno, la situazione è tale e quale, finché una mattina… Una mattina la trovo seduta nella scatola e penso: “Allora sta meglio”. Mi avvicino: era seduta in un lago di sangue e accanto aveva cinque minuscoli gattini! In quelle condizioni, era riuscita a partorire da sola, ma avendo la bocca ulcerata non era capace di fare quello che fanno le gatte normalmente, cioè recidere i cordoni ombelicali e ripulire tutto. Ci pensò Sara, mentre io armata di un manuale le davo indicazioni.
Portammo tutti e sei dal veterinario. La gatta era effettivamente migliorata, con stupore del medico, ma il consiglio relativamente alla prole fu di sopprimere i gattini, per più di un motivo: si sarebbero ammalati anche loro, la mamma non avrebbe avuto il latte, sarebbe stato difficile collocarli… Ma nemmeno per sogno! Li riportammo tutti a casa, a costo di doverli allattare tutti uno per uno con il biberon.
Conclusione? Non si sono ammalati, Mopo ha avuto il latte in abbondanza per tutti, e si sono collocati tutti bene presso cinque famiglie. Mopo la tenemmo con noi: scoprimmo che Muffi non era per niente aggressivo con gli altri gatti. Non riuscimmo a sapere quanti anni avesse Mopo, perché l’età pare si veda dallo stato dei denti e la gattina, in aggiunta agli altri guai, aveva anche la bocca storta e la dentatura rovinata, per un incidente o una bastonata, non si sa. Visse comunque altri undici anni con noi, contenta matta, una vita felice da gattina buonissima qual era.