Viaggio nella Bibbia. Quando la sofferenza degli uni è salvezza degli altri

Sofferenza e salvezza possono essere unite?
Un fotogramma de “I Dieci Comandamenti” (1956)

Che cosa pensare quando la sofferenza degli uni è salvezza degli altri? Sofferenza e salvezza si possono unire? Le piaghe d’Egitto conducono alla salvezza Israele, ma per gli egiziani, anche per gli innocenti, rappresentano una grande sofferenza. È giusto che la salvezza di uno si consegua grazie alla sofferenza – involontaria  – di un altro? E, mentre si può dire che alcuni la “meritano”, rimane la domanda: perché le calamità si abbattono anche sui giusti? È sempre, questa, la domanda di Giobbe. Riflettiamo quindi sul possibile significato delle dieci piaghe d’Egitto di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente (QUI).

Sofferenza e salvezza. Una lettura di fede: il libro della Sapienza

Qualche domanda sul senso delle piaghe d’Egitto se la sono posta anche gli uomini della Bibbia. Ne è un esempio il grande midrash sull’Esodo presente nella parte finale del libro della Sapienza. Ecco come l’autore parla degli egiziani oppressori di Israele:

La legge del contrappasso

1115 Per i ragionamenti insensati della loro ingiustizia,
da essi ingannati, venerarono
rettili senza ragione e vili bestiole.
Tu inviasti loro in castigo
una massa di animali senza ragione,
16 perché capissero che con quelle stesse cose
per cui uno pecca, con esse è poi castigato.
17 Certo, non aveva difficoltà la tua mano onnipotente,
che aveva creato il mondo da una materia senza forma,
a mandare loro una moltitudine di orsi e leoni feroci
18 o belve ignote, create apposta, piene di furore,
o sbuffanti un alito infuocato
o esalanti vapori pestiferi
o folgoranti con le terribili scintille degli occhi,
19 bestie di cui non solo l’assalto poteva sterminarli,
ma annientarli anche l’aspetto terrificante.
20 Anche senza questo potevan soccombere con un soffio,
perseguitati dalla giustizia
e dispersi dallo spirito della tua potenza.
Ma tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso.

Ragioni di questa moderazione

21 Prevalere con la forza ti è sempre possibile;
chi potrà opporsi al potere del tuo braccio?
22 Tutto il mondo davanti a te, come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
23 Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi,
non guardi ai peccati degli uomini,
in vista del pentimento.
24 Poiché tu ami tutte le cose esistenti
e nulla disprezzi di quanto hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata.
25 Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi?
O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza?
26 Tu risparmi tutte le cose,
perché tutte son tue, Signore, amante della vita,

12 poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu castighi poco alla volta i colpevoli
e li ammonisci ricordando loro i propri peccati,
perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore.

La legge del contrappasso

Ecco la prima importante riflessione: la legge del contrappasso. Il castigo viene dalla stessa materia con cui uno ha peccato, in modo che tale somiglianza lo induca a meditare sul proprio errore. Gli egiziani praticavano la zoolatria, cioè adoravano gli animali, e non solo animali nobili come leoni, tori e falchi, ma anche animaletti come rane, scarabei, millepiedi e scorpioni. C’è una intenzione pedagogica nello scegliere e nel somministrare un tale castigo: indurre a ripensare la propria vita e la propria condotta ed a mutarla.

Gradualità e Misericordia

Seconda considerazione: la gradualità della punizione. Dio avrebbe potuto annientare gli egiziani in un attimo con possenti belve, creare bestie mai viste come i draghi, o addirittura eliminare i nemici con la sua sola parola. Invece li punzecchia pian piano con animali fastidiosi. Questo perché la Misericordia di Dio lascia agli iniqui il tempo di pentirsi sollecitandoli con castighi che li facciano riflettere.

La Misericordia è legata all’Onnipotenza: poiché Dio tutto può, non ha bisogno di fare sfoggio di forza come il debole che mostra i denti e i muscoli per tenere gli altri al loro posto. Dio è il Signore amante della vita, una delle definizioni più belle che possiamo trovare.

In questo modo, l’autore del libro della Sapienza riafferma, anche nel castigo, la misericordia di Dio che si estende non solo su Israele, ma anche sui nemici, volendoli richiamare – anche se sarà invano – a sé.

Con l’autore della Sapienza anche noi possiamo comprendere la modalità della sofferenza come castigo che chiama alla conversione, ma rimane una domanda: perché il castigo colpisce tutti, anche gli innocenti?

La sofferenza degli innocenti

Questo problema l’agiografo, in questo momento, non se lo pone. Veramente lo ha affrontato precedentemente, ed ha trovato una risposta anche per questo (capitoli 1-6). La sua risposta però – tenendo conto che con questo scritto siamo già a metà del primo secolo a.C. – è basata sulla fede nell’immortalità dell’anima. Quando nella rivelazione biblica si affaccia finalmente la rivelazione della realtà futura della resurrezione della carne (II secolo a.C. in ambiente palestinese) o dell’immortalità dell’anima (I secolo a.C., in ambiente ellenistico), gli orizzonti dell’uomo si allargano all’infinito: infatti, per il giusto ci sarà tutta la vita eterna per rifarsi delle sofferenze temporanee che lo hanno afflitto in questa vita, e Giobbe non avrà più da gridare il suo «Perché?».

Per chi non ha, o non ha ancora, questa fede, l’ingiustizia della sofferenza degli innocenti rappresenta uno scandalo nei confronti della misericordia di Dio. Dovremo fare ancora tanto cammino, nel nostro viaggio nella Bibbia, per risolvere questa contraddizione.

Se ci fossero dieci giusti…

Con il libro della Sapienza abbiamo fatto un grosso passo in avanti risolutivo, adesso facciamo un passo indietro tornando alla vicenda di Abramo. Dopo che il Signore gli ha fatto visita nella persona dello sconosciuto viandante, e gli ha annunciato anche la nascita del figlio della promessa, decide altresì di rivelargli il suo disegno di castigare il peccato di Sodoma. Abramo allora – nella sua generosità a tutto tondo – inizia a discutere: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?» (Gn 18,23-25). 

Così, contrattando, Abramo riesce a far scendere a 10 il numero dei giusti che basterebbe a far sì che un mondo non perisse. Ma quei dieci giusti non ci sono a Sodoma; ci sono solo Lot e la sua famiglia, quattro persone in tutto, che vengono infatti fatte uscire dalla città prima che venga distrutta.

E gli innocenti?

D’accordo. Gli adulti vengono giustamente puniti. Ma i bambini, gli innocenti? Che colpa hanno per essere distrutti insieme ai peccatori? E non vale affermare che questi sono eventi naturali che Dio permette, o di cui Dio si serve provvidenzialmente per dirigere la storia verso la salvezza. Miracolo o fatto provvidenziale, non cambia: Dio comunque permette la sofferenza degli innocenti, o di quelli che gravi colpe non hanno…

Mi viene in mente il bellissimo film, Train de vie (1998), in cui un grosso pericolo incombe da parte dei nazisti su una pacifica comunità yiddish dell’Europa centrale. Il rabbino del paese, prima di iniziare la fuga con i suoi compaesani, prega il Signore press’a poco così: «Signore del Mondo, salva almeno i bambini, che sono innocenti. Ma i bambini hanno bisogno dei loro genitori: salva anche loro. E noi anziani, che male ti abbiamo fatto? Salva anche noi!».

Per ora, ci basti dire che la mentalità degli agiografi è ancora di tipo corporativo, e che il peccato di tutti è il peccato di ognuno, come il peccato di uno è il peccato di tutti, innocenti compresi. Una mentalità un po’ all’ingrosso: ma la rivelazione biblica è progressiva ed è incarnata nella sensibilità dell’epoca. Non possiamo, al momento, chiedere di più. Dobbiamo lasciare pendente questo filo, aspettando che trascorra un altro millennio circa di storia biblica per poterlo riannodare. Quindi, avanti col nostro viaggio.