
Dopo la serie di sei gesti di misericordia o di salvezza compiuti da Gesù nella sezione precedente, egli si dichiara Signore: Signore del sabato.
Questo settimo gesto nel settimo giorno porta a piena espressione la creazione nuova in cui Dio, dopo aver fatto l’uomo a sua immagine, entra in comunione gioiosa con lui. L’antica legge aveva esaltato questo senso di perfezione espresso dal sabato. Si perde infatti il senso della festa, se il tempo, che pure è il tempo di Dio, viene monetizzato a scapito dell’uomo. È il sabato il giorno che dà senso e valore ai giorni lavorativi. Gesù non misconosce il sabato, il tempo di Dio santificato dalle prescrizioni della legge. Lo colloca tuttavia nella giusta posizione, quella della salvezza e non dell’inerzia. Il Regno di Dio urge, ormai, con tutta la sua potenza, e non può attendere a risanare chi lo accoglie.
Il rispetto del sabato
La legge antica è molto rigorosa quanto al rispetto del riposo festivo, ed è efficace nel ricordare che l’uomo non è padrone del tempo, neppure del proprio tempo, né della natura.
Per sei giorni, lavorando, l’uomo altera il creato sviluppandolo; o, almeno, dovrebbe essere questa l’influenza dell’uomo sulla natura, lo sviluppo e non la rovina. Il settimo giorno sta a testimoniare che il tempo dell’uomo vale solo se è orientato al tempo di Dio, in cui l’uomo trova la sua piena valorizzazione.
Solo la sacralità della vita umana in quanto immagine di Dio poteva far violare il riposo del sabato, la necessità di salvare una vita. Ma Gesù va oltre: adesso Dio è presente su questa terra nella persona del Figlio dell’uomo, che è Signore, perciò, anche del sabato, e la salvezza non deve più attendere i tempi di legge perché il tempo del compimento è venuto.