Si può dire Dio al maschile?

Dio Padre di Cima da Conegliano – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10662424. Un’immagine non più Politically correct

Si può dire Dio al maschile? Per il Politicamente corretto pare di no, perché non sarebbe inclusivo nei confronti della parte femminile dell’umanità (ehi, ma si può dire umanità? o si dovrebbe specificare umanità e donnità? Scusate l’ironia).

Mi è tornata in mente la questione dopo che ho ripubblicato un articolo vertente sulla Ruach di Dio (Genesi 1,2) che in un certo senso ne rappresenta il femminile (QUI).

Perciò voglio chiarire qualcosa dal punto di vista biblico. E scusatemi se ironizzerò un po’, ma penso che bisognerebbe guardare di più alla sostanza delle cose e delle situazioni, educare i giovani al rispetto di chiunque altro e sopratutto dei più fragili, anziché arzigogolare su questioni futili.  

Dunque, veniamo a sapere, in aggiunta a tutti i problemi del mondo, che ce n’è uno grave: l’immagine di un Dio maschio (e bianco, per di più) risulta discriminante verso il genere femminile, e non più adatta ai tempi attuali. Bisogna dare una svolta: «La rappresentazione di un Dio maschio e bianco non è all’altezza e rende più difficile l’accesso di molti giovani alla Chiesa e alla fede» (documento della Comunità cattolica giovanile tedesca, la Katholische junge Gemeinde). La preoccupazione è quella di non discriminare le donne. Aggiungere un asterisco al nome di Dio metterebbe in chiaro quello che tutti sanno, cioè che Dio non è né maschio né femmina? Farebbe scoprire cioè l’America, o l’acqua calda, come dir si vuole? Naturalmente, non è solo il termine che è in questione: in discussione è la concezione patriarcale di Dio, un presunto maschilismo della religione cristiana.

Il Politically correct respinto

Al che, la Conferenza episcopale ha voluto mettere le cose in chiaro per mezzo del suo portavoce, Matthias Kopp, rispondendo un «no, per il momento». «Il dibattito teologico sulla questione non è rilevante al momento. Abbiamo problemi molto diversi da affrontare nella Chiesa in questo momento. Dio è più del sole, della luna e delle stelle. Non possiamo afferrare Dio». La questione potrebbe essere in seguito riproposta. Lo lascia pensare il commento del vescovo Johannes Wübbe, responsabile del settore giovanile della Conferenza episcopale tedesca: «È positivo che giovani cristiani vogliano discutere sull’immagine di Dio».

Il Politically correct accolto

La chiesa luterana di Svezia, a differenza della Conferenza episcopale cattolica, ha accolto le istanze Politically correct. Secondo Antje Jackelén, primate della Chiesa di Svezia, appellarsi al «Signore» è «discriminatorio nei confronti delle donne». Si dovrebbe chiamare Signora? oppure Signore e Signora? o Signor*, ma in questo caso come si pronuncerebbe?

Bisognerebbe modificare il Padre nostro, la preghiera insegnata da Gesù? Magari facendola iniziare con «Genitore 1»? E Maria «Madre di Gesù» (e «di Dio», con l’antichissimo titolo di Theotokos) sarebbe «Genitore 2»? Una grossa questione, poi, verrebbe per l’incarnazione del Figlio di Dio in un maschio: tale era, fino a prova contraria, Gesù di Nazareth. Non è discriminatorio? Ha sbagliato il Verbo di Dio (sì, per fortuna il latino Verbum è neutro e l’italiano Parola è femminile, ma i termini originari, il greco Logos e l’ebraico Davar, sono maschili) a incarnarsi in un maschio, avrebbe dovuto preferire… non so cosa? Si può continuare a chiamare Gesù «figlio dell’Uomo» (che non significa affatto quello che voi pensate)? È veramente maschilismo tutto questo?

Il sesso degli angeli e la risposta della Bibbia

Foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay

Nel 1453, mentre le armate turche di Maometto II assediavano Bisanzio che avrebbero di lì a poco conquistata ponendo termine ad una civiltà, pare che i bizantini discutessero sul sesso degli angeli. Oggi, la discussione sul genere di Dio mi sembra simile. Oltre che una questione del tutto inutile, denota una profonda ignoranza della Bibbia.

Dico che la questione è del tutto inutile: chi di noi realmente immagina Dio Padre come un vecchio con la barba bianca? Non lo sappiamo tutti che Dio è spirito, e che il termine «Padre» ha solo un valore spirituale? Sappiamo benissimo, spero, che tutte le immagini, anche quelle che ci sembrano più perfette e azzeccate, sono inadeguate, povere approssimazioni. Questo lo chiarisce molto bene C.S. Lewis:

«Possiamo rendere il nostro linguaggio più noioso, ma non possiamo renderlo meno metaforico. Possiamo rendere le immagini più prosaiche, ma non possiamo fare a meno delle immagini […] Qualsiasi linguaggio che parla di cose che non siano oggetti fisici è necessariamente metaforico» (C.S. Lewis, La teologia è poesia? in L’Onere della Gloria, Lindau, Torino 2011, p. 112).

Anche quando si cerca di essere più astratti, i risultati sono poco soddisfacenti, se non esilaranti, come nel caso riferito dallo stesso Lewis:

«Una ragazza di mia conoscenza era stata educata dai genitori, i quali si credevano dotati di “pensieri più nobili”, a pensare a Dio come ad una “sostanza” perfetta; più tardi nella vita si rese conto che nella realtà ciò l’aveva condotta a pensare a Lui come a qualcosa di simile ad un enorme budino di tapioca (per peggiorare le cose, la tapioca non le piaceva affatto)» (C.S. Lewis, La mano nuda di Dio. Uno studio preliminare sui miracoli, G.B.U., Roma 1987, p. 85 s.).    

Non si scampa dalle immagini, almeno mentali. Epurarle è una battaglia persa.

Dio totalmente Altro

Biblicamente, poi, è del tutto ovvio che Dio non è né maschio né femmina. Mentre le divinità pagane sono sessuate, il Dio di Israele trascende queste categorie. Rimando a questo articolo (QUI) per l’aspetto lessicale della parola Dio. Se si trova espressa al maschile, è perché un genere grammaticale deve pure averlo, l’ebraico non ha il neutro, e in una società patriarcale il maschile è l’unica possibilità che maggiormente la allontana dal rischio di sessualizzazione. Se il Dio degli ebrei non ha un titolo materno, ha però molte immagini materne, mi limito a queste tre:

«Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Isaia 66,13)

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49,15)

«Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!» (Mt 23,37). L’immagine delle ali, dell’ombra delle ali come rifugio, è un’immagine tipicamente femminile ampiamente diffusa nella Scrittura.

Il verbo stesso dell’amore di Dio, racham, esprime un’azione femminile: rechem è l’utero, e il verbo significa amare con le viscere di una madre. Credo che tanto basti, ma aggiungiamo anche l’affermazione di San Paolo nella lettera ai Galati: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero, non c’è più maschio né femmina, poiché tutti siete uno in Cristo Gesù». Le parole «Padre», «Signore», «Figlio» (e anche «madre»), sono delle metafore che niente hanno a che fare con il sesso, presentando solo un valore spirituale.

Il nostro linguaggio è analogico

Il nostro modo di parlare di Dio può essere solo analogico, cioè formulato per analogia con l’esperienza umana: idee, immagini e parole devono passare tutte da lì, non vi è altra strada. Forse il linguaggio degli angeli,che sono puri spiriti, è perfetto, ma noi non lo conosciamo. Noi siamo fatti di carne e sangue, viviamo in un’economia di Incarnazione del Verbo, e ogni incarnazione comporta l’assunzione del limite. Sì, Gesù è stato uomo e non donna, palestinese e non greco, ebreo e non vichingo né cinese, persona di duemila anni fa e non del tempo di Nabucodonosor o del nostro futuro. Questo ha condizionato la sua esistenza storica come ognuno di noi è condizionato dalle proprie coordinate spazio-temporali, altrimenti non sarebbe stato un uomo vero ma al massimo un ologramma.

Così pure, il modo di parlare del Dio delle Scritture ebraico-cristiane è stato codificato nel tempo della Rivelazione, che è avvenuta in un determinato momento della storia e in un determinato luogo. Il Verbo di Dio, prima di incarnarsi in Gesù di Nazareth, si è per così dire incarnato nel linguaggio degli uomini, assumendo i limiti delle idee, delle immagini e delle parole di un tempo e di un luogo. Rinnegarle significherebbe snaturare la Rivelazione… siamo noi, piuttosto, che dobbiamo cercare di comprenderle e di farle comprendere. E ricordiamo, lo dico a chiare lettere, che la comunicazione più forte e più efficace non consiste nel cambiare le parole ma nel cercare di capirle, e nell’agire verso gli altri con quella carità fatta di gesti che trascende il linguaggio verbale!