La Bibbia dall’ABC. Giorno settimo (Genesi 2,1-4a)

Dio, affiancato dagli angeli dei primi sei giorni, benedice il settimo giorno. Basilica di San Marco, Venezia. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4270314

Un altro elemento di somiglianza dell’adam con Dio, infine, lo scopriamo in questo: l’uomo deve gioire del riposo del settimo giorno, il sabato, la festa di Dio.

Il settimo giorno, lo shabath o riposo, è il momento di benedizione e di santificazione. Fine dell’uomo, in senso ultimo, non è l’azione o il possesso, ma il riposo di Dio (dal verbo shavath = «cessare perché l’azione è compiuta»), l’essere con Dio in festa. L’uomo, unico nell’universo materiale, è capace di essere in festa e non solo di riposare materialmente per recuperare fisicamente le forze: a ciò serve il riposo notturno, che l’uomo condivide con gli animali. La lettera agli Ebrei (3,14-4,11) spiegherà che il vero riposo sabbatico, appena prefigurato nel riposo settimanale, è la pace e la comunione di Dio.

Il sabato e il tempo

Creando il primo giorno Dio ha creato il tempo, ma creando il sabato Dio ha creato la fine del tempo, la completezza e finitezza del creato. Shavath non significa infatti semplicemente «riposare», ma esprime l’arrestarsi avendo completato l’opera.

Al tempo stesso, il sabato è la liberazione dell’uomo dall’alienazione del lavoro quotidiano, restituendolo al suo vero essere. Dio benedice il sabato come aveva benedetto gli animali e l’uomo. La benedizione degli animali e dell’uomo è legata alla loro fecondità; e il lavoro di sei giorni può essere fruttuoso solo nella misura in cui l’uomo sa distaccarsene, godendo di esso il settimo giorno.

Il lavoro ha valore solo in quanto è limitato dal sabato; e il sabato non solo è benedetto da Dio, ma è anche «santificato», ovvero, etimologicamente, separato dagli altri giorni perché sacro alla contemplazione e all’incontro. Il sabato ebraico è la memoria della benedizione del tempo (Gn 2m3), il santuario di Dio elevato non nello spazio ma nella storia, l’unico che non può essere distrutto. È il giorno dello shalom, della pienezza di vita, dell’intimità sponsale, il giorno in cui è augurabile concepire un figlio…

Questo è il giorno che è senza sera e senza mattina. Manca infatti, qui, il ritornello consueto «E fu sera, e fu mattina»: questo è il giorno fatto per non avere fine.

Al v. 4 la conclusione della pericope afferma: «Queste le toledoth del cielo e della terra». Non le origini, ma le generazioni, la storia uscita da Dio, che ora è consegnata in mano all’uomo (Gn 5,1).