La Bibbia dall’ABC. A immagine di Dio: servire Dio negli altri

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Quel che siamo andati dicendo finora in queste pagine è che il concetto di adam fatto ad immagine di Dio non si riferisce innanzi tutto a caratteristiche sostanziali (qualità dell’essere umano) ma prima di tutto al modo di essere-nel-mondo (l’articolo precedente QUI). L’adam / umanità è creato ad immagine di Dio nel senso che rappresenta un riflesso della Sua sovranità su questa terra. Rappresenta l’unica immagine possibile, come una statua non potrà mai farlo.

Implicazioni morali

Prima di tutto, è evidente la responsabilità che l’umanità ha nei confronti del Creato. Rimando, per questo, alla lettura della Laudato si’ di papa Francesco (QUI).

Ma la responsabilità non riguarda soltanto l’umanità nel suo complesso. Riguarda anche quella singolarità che è ogni individuo umano su questa terra: fare buon uso delle cose create. Ma non solo: riguarda anche il modo di rapportarsi ad ogni altro uomo.

Servizio agli uomini

Se io negli altri vedo un riflesso di Dio per me, una sua presenza, mi devo comportare di conseguenza. Devo prestare servizio agli altri, nelle loro necessità, come lo presterei a Dio in persona.

Questo ci porta ad un brano del Vangelo secondo Matteo molto eloquente:

Matteo 25

31 «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 

34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 

37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 

40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».

La conseguenza è chiarissima: nessuno può vedere Dio su questa terra. Lo vediamo, invece, nella persona di ogni altro uomo, e particolarmente di coloro che sono nel bisogno. Non si può servire Dio ignorando gli uomini.

Le opere di misericordia

Meester van de Levensbron, Le Opere di Misericordia, Di karinvogt, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7709424

Quelle di cui abbiamo letto in Matteo sono le opere di misericordia corporale, aggiungendo anche l’ovvio «seppellire i morti». È molto bello che il midrash legga queste opere compiute da Dio nell’intera Torah, in modo che Dio stesso si presenta come Maestro e modello del fedele nella sua condotta morale nei confronti degli uomini. Il Signore inizia infatti, in Genesi 2, col rivestire Adamo ed Eva (vestire gli ignudi) e conclude in Deuteronomio 34 col dare sepoltura a Mosè (seppellire i morti).

Opere di misericordia spirituali

Antonio Canova, Insegnare agli ignoranti. Di Fondazione Cariplo, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16413611

Ci sono però una fame e una sete, una privazione che non sono solo di alimenti, di vesti, di riparo. A fianco a queste opere di misericordia corporali, certamente non trascurabili, la Chiesa ha elencato altrettante opere di misericordia spirituali:

  1. Consigliare i dubbiosi.
  2. Insegnare agli ignoranti [La terminologia è alquanto antiquata, lo so, ma l’opera è profondamente necessaria].
  3. Ammonire i peccatori [Come sopra: oggi, più che di “ammonire” a parole, si tratta di provocare a riflessione con la propria vita].
  4. Consolare gli afflitti.
  5. Perdonare le offese.
  6. Sopportare pazientemente le persone moleste [Questa ve la raccomando!].
  7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Riguardo a quello che qui viene chiamato «insegnamento», voglio riferire due brani, uno degli Atti degli apostoli, l’altro di San Girolamo, sulla necessità di aiutare gli altri a comprendere la Parola.

Nel primo sottolineo il bisogno ardente dell’etiope di essere preso per mano e guidato nella conoscenza della Scrittura.

Atti 8

27Quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, 28stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. 29Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va’ avanti e accòstati a quel carro”. 30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: “Capisci quello che stai leggendo?”. 31Egli rispose: “E come potrei capire, se nessuno mi guida?”. E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui.

Nel secondo metto in evidenza la pressante necessità di conoscere le Scritture.

Dal «Prologo al commento del Profeta Isaia» di san Girolamo, sacerdote (N. 1)

Adempio al mio dovere, ubbidendo al comando di Cristo: «Scrutate le Scritture» (Gv 5, 39), e: «Cercate e troverete» (Mt 7, 7), per non sentirmi dire come ai Giudei: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture, né la potenza di Dio» (Mt 22, 29). Se, infatti, al dire dell’apostolo Paolo, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio, colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio, né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.
    Perciò voglio imitare il padre di famiglia, che dal suo tesoro sa trarre cose nuove e vecchie, e così anche la Sposa, che nel Cantico dei Cantici dice: O mio diletto, ho serbato per te il nuovo e il vecchio (cfr. Ct 7, 14 volg.). Intendo perciò esporre il profeta Isaia in modo da presentarlo non solo come profeta, ma anche come evangelista e apostolo. Egli infatti ha detto anche di sé quello che dice degli altri evangelisti: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace» (Is 52, 7). E Dio rivolge a lui, come a un apostolo, la domanda: Chi manderò, e chi andrà da questo popolo? Ed egli risponde: Eccomi, manda me (cfr. Is 6, 8).

Una responsabilità enorme

Questo però è solo un versante del risvolto morale di essere fatto, ognuno, ad immagine di Dio per l’altro. Infatti, c’è anche l’inverso: se l’altro è ad immagine di Dio per me, anch’io sono ad immagine di Dio per l’altro. Ne nasce una enorme responsabilità, quella di essere immagine somigliante, credibile, che testimonia con la vita, più che con le parole, la bontà del Signore verso tutte le creature. Questo ci porta al concetto di somiglianza.

(Continua)