Contenuto: canto XIII dell’Inferno, la selva dei suicidi e la tragedia di Pier Delle Vigne. Luogo prescelto: il chiostro di Sant’Antimo a Piombino, per la circostanza del tutto privo di circolazione d’aria, con una temperatura quindi che si avvicina pericolosamente a quella infernale. È la serata dantesca a Piombino proposta dal prof. Giorgio Battistella di Treviso grazie all’ospitalità dell’amministrazione comunale cittadina. Una iniziativa che sta girando l’Italia, quest’anno in particolare la costa tirrenica, con un tour in bicicletta. Bicicletta e Dante sono due grandi passioni del professore, che dedica l’estate a percorrere chilometri su chilometri recitando la Divina Commedia dove fa tappa: e l’idea del viaggio si sposa perfettamente con il poema dantesco, che canta il cammino dell’uomo, il pellegrinaggio della vita, dalla selva oscura «più alto verso l’ultima salute».
Il docente Vian-Dante
Queste due passioni l’hanno trasformato in Vian-Dante! L’anno scorso aveva percorso pedalando e recitando parte del sud Italia, e gli hanno pure rubato la bici. Adesso ne inforca una nuova, che gli è stata donata dai foggiani. Quest’anno segue la costa tirrenica da Chiavari a Reggio Calabria, con 26 soste, ognuna delle quali dedicata ad un brano dantesco. Per la serata dantesca della tappa di Piombino, la scelta è caduta sull’episodio di Pier Delle Vigne a motivo dell’ambientazione del girone infernale che richiama, secondo le parole medesime di Dante, la sterpaglia che si stende «fra Cecina e Corneto» (Tarquinia), una buona definizione geografica della Maremma. Estesa fra il Flegetonte bollente di sangue e l’orribile sabbione ardente, la selva dei suicidi non offre refrigerio alcuno: è una macchia contorta di arbusti da cui tutt’al più escono parole e sangue.
L’episodio nell’interpretazione musicale di Mons. Frisina QUI.
Pier Delle Vigne
L’interpretazione puntuale e appassionata del prof. Battistella ha saputo trasportare gli ascoltatori, con i versi di Dante, in quell’ambiente selvaggio e doloroso in cui si consuma il dramma di coloro che non hanno saputo credere nella vita ed hanno preferito darsi la morte, per cui non meritano neppure più di conservare la forma umana, ma sono trasformati in piante. Dante si accosta con pietà al notaio Pier Delle Vigne, consigliere dello stupor mundi Federico II, morto di propria mano per sfuggire alle calunnie riversate su di lui per invidia.
Spesso il poeta, nei primi cerchi dell’Inferno, si sente vicino ai dannati, perché pur condannando i loro vizi ne salva una certa qual nobiltà d’animo con cui hanno portato avanti i loro impegni nella vita. Così fa con Francesca da Rimini, ad esempio, con Farinata degli Uberti, così farà con Brunetto Latini. Ciò non vale per le categorie che disprezza profondamente come gli ignavi, gli avari e prodighi, gli iracondi come Filippo Argenti in cui la violenza non è giusta indignazione ma solo matta bestialitade… Nel caso di Pier Delle Vigne, invece, Dante vuol fornire una propria versione dei fatti che non giustifica (v. 72: «ingiusto fece me contra me giusto») ma che permette di com-patire l’uomo che ha compiuto il gesto estremo di autodistruzione.
Un’incoerenza?
Perché, allora, si può benissimo obiettare, Dante destina il suicida Catone Uticense non alla selva dei suicidi ma addirittura all’Antipurgatorio come venerabile custode?
Questa incoerenza nel corso del poema si spiega in vari modi.
- Catone Uticense non si suicida per motivi personali, per un distorto amore di sé, ma per una ragione ideale: la libertà, di cui diviene emblema (Purgatorio I,71-72: «Libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta…»).
- Dante fa uso di licenze poetiche, che apportano delle incoerenze nella narrazione. Un esempio vistoso è questo. Dante ha avvertito che le anime nel Purgatorio non si possono abbracciare perché sono solo ombre (Purgatorio II,79-81: «Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! / tre volte dietro a lei le mani avvinsi, / e tante mi tornai con esse al petto») e lo conferma in Purgatorio XXI, 131 s. (Virgilio a Stazio: «Frate, non far, ché tu se’ ombra, ed ombra vedi»). Tuttavia, nell’incontro fra i mantovani Virgilio e Sordello, nota senza problemi che «l’un l’altro abbracciava» (Purgatorio VI,75), perché l’amor di patria è più forte dell’esistenza umbratile delle anime. Il sommo poeta si lascia talvolta trascinare dalle emozioni.
- La concezione che Dante ha della salvezza matura col tempo, nel ventennio che impiega per scrivere il poema. Virgilio è irrimediabilmente nel Limbo, ma Rifeo, eroe troiano che sempre cercò il bene pur senza conoscere Cristo, è in Paradiso nell’occhio dell’Aquila (Paradiso XX,67-69; 118-129). Dante giunge quindi ad ammettere per i pagani la possibilità della salvezza eterna, possibilità che inzialmente aveva negato persino al suo Virgilio relegandolo nel Limbo. Dobbiamo ammettere, nella stesura ventennale della Divina Commedia, un’evoluzione, sia poetica che di pensiero, che spezza in alcuni casi l’architettura ferrea del poema.
Comunque sia, la serata, grazie al professor Giorgio Battistella, è stata un po’ meno «infernale» di quanto il caldo estivo avesse promesso. A conclusione, una sorpresa, dovuta alla ricorrenza del 150° di morte di Alessandro Manzoni: la recita (rigorosamente a memoria) del famoso “Addio” manzoniano. Un vero pezzo di virtuosismo.