
Ancora Farè non ci dice a quale scopo Ratzinger avrebbe formulato una falsa dichiarazione. Però, secondo lui, i cardinali si sarebbero accorti della falsa formulazione e volutamente avrebbero lasciato che si convocasse un conclave invalido. Se perciò – secondo la logica sconclusionata di Farè – i cardinali hanno eletto un antipapa, la colpa non è di Benedetto XVI. La colpa è piuttosto dei cardinali che avrebbero potuto evitarlo… e invece lo hanno ridotto in Sede impedita.
La Sede impedita secondo Farè
«Per inciso faccio notare che un conclave invalido – anche dopo la declaratio – sarebbe stato evitabile. I cardinali che si sono accorti delle già citate anomalie della Declaratio, ad esempio quegli stessi che hanno permesso che le sue traduzioni fossero manipolate, come poi vedremo, avrebbero potuto immediatamente sollevare la questione e impedire che fosse convocato un conclave. Ciò non è successo, quindi è importante notare che la responsabilità effettiva di quanto accaduto non va fatta ricadere su Benedetto XVI, ma anzi, soprattutto su chi ha capito e ha taciuto in malafede.
La strategia di papa Benedetto gli ha permesso di mantenere il munus senza più avere ministerium: una condizione che per un papa può venire solo in una situazione giuridicamente nota come Sede impedita secondo il canone 412 del Codice di diritto canonico.
In effetti, quando i cardinali hanno indetto il conclave illegittimo perché il papa era vivente non abdicatario, hanno posto Benedetto XVI in sede impedita. Per oltre 10 anni egli è rimasto in questa condizione durante i quali ha offerto ai fedeli e al clero in buona fede indizi per dare la possibilità di riconoscere l’invalidità delle elezioni di Bergoglio…
È chiaro che il caso di Benedetto XVI differisce da quello di Pontefici del passato materialmente impossibilitati a comunicare. Benedetto XVI si è dovuto difendere da nemici subdoli nascosti all’interno della Chiesa stessa; non è stato visibilmente esiliato e incarcerato. Ma di fatto era privato della libertà di esprimersi chiaramente anche a causa della manipolazione mediatica che privilegiava le critiche contro di lui e il suo magistero oscurando sistematicamente le notizie e gli argomenti a suo favore. Ecco perché molti di voi non hanno mai sentito parlare della sede impedita di Benedetto XVI nonostante la mole di documentazione prodotta sul tema».
La risposta: la Sede impedita è ben altro…
Prima di tutto, bisogna rilevare che se Benedetto XVI avesse realmente macchinato e realizzato un progetto di ritirarsi in Sede impedita per far convocare un falso conclave e far eleggere un falso papa avrebbe dimostrato una visione machiavellica della Chiesa indegna della concezione cattolica del papato, che avrebbe quindi gravemente contribuito a demolire invece di salvarlo, causando così un danno enorme a tutto il mondo cattolico.
Comunque, Farè sostiene che Benedetto XVI si sarebbe ritirato in Sede impedita a norma del can. 412 del Codice di diritto canonico: «La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani». Poi commenterò la parola tradotta in italiano con ufficio, ovvero munus. Farè si guarda bene dal citarla in latino.
Una condizione di costrizione fisica
A parte il fatto che la norma riguarda i vescovi diocesani, essa richiede chiaramente che il vescovo sia prigioniero, al confino, in esilio o sia gravemente inabile. Si trovi, cioè, in una di queste condizioni queste che non gli permettano – e questo è l’aspetto fondamentale – «di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani». Non deve essere il vescovo a rifiutarsi od a temere di comunicare con i fedeli. Ci deve essere una impossibilità dovuta ad una costrizione fisica.
Un caso di sede impedita si riscontra nella vicenda del vescovo di Matagalpa in Nicaragua, mons. Rolando Álvarez, condannato dal regime di Ortega a ventisei anni di carcere come “traditore della patria”.
Casi storici
Un caso storico di Sede impedita è quello del papa Pio VI Braschi, che nel 1798 i francesi segregarono e deportarono in Francia, dove morì. Anche il suo successore Pio VII fu arrestato nel 1809 e confinato a Savona, poi a Fontainebleau. Con la sconfitta di Napoleone, fu liberato dopo oltre quattro anni di prigionia.
Pio XII, invece, paventava la reale possibilità di essere sequestrato dai nazisti per ordine di Hitler. Aveva perciò preparato una dichiarazione di abdicazione, in modo che se questo si fosse verificato, disse, “sarebbe stato arrestato non il papa Pio XII, ma solo il cardinale Pacelli”.
Benedetto XVI, da parte sua, può aver trovato degli ostacoli anche gravi – come tutti, del resto – ma non si può sostenere che fosse in Sede impedita. Non era né in prigione né in esilio né al confino. Era a Roma in Vaticano, non era inabile e poteva comunicare con chi voleva, riceveva persone, scriveva ai fedeli.
La manipolazione mediatica non influisce sulla comunicazione diretta del Papa ai fedeli
Tra l’altro, che cosa c’entra la manipolazione mediatica sulla comunicazione dei Papa ai fedeli? Il Papa non ha bisogno di affidare le sue comunicazioni ai mass media. Ha un canale diretto di comunicazione con i fedeli mediante encicliche, lettere apostoliche, o tutto quel che vuole, trasmesse direttamente per lettera alle diocesi. Che c’entrano “le notizie o gli argomenti” a suo sfavore accampati da Farè per affermare che la comunicazione che veniva da lui era distorta? Cosa c’entrano con la comunicazione diretta ai fedeli?
Per negare l’evidenza, è stato perfino addotto un vago richiamo a Geremia ed Isaia espresso da mons. Georg Gänswein ad un evento di presentazione di un libro di Odifreddi (In cammino alla ricerca della verità: Lettere e colloqui con Benedetto XVI, 17 ottobre 2022). Queste parole non si capisce da chi siano state dette né tanto meno che cosa significhino, ma naturalmente sono state interpretate da Cionci come indizio che Benedetto si considerava in Sede impedita. Giudicate voi… lo trovate proprio all’inizio (QUI).
La condizione giuridica di Sede impedita
Si fosse anche considerato, Benedetto XVI, in tale pretesa condizione di Sede impedita, quel che conta giuridicamente non sono la sua personale percezione né le parole da lui espresse, bensì l’esistenza oggettiva dei presupposti di legge. Si dovevano riscontrare condizioni di prigionia, esilio, confinamento o grave inabilità che gli avessero impedito materialmente di comunicare con i fedeli. Ma Ratzinger non era in nessuna di queste condizioni. O si vuol dire che Benedetto XVI aveva paura di comunicare le proprie idee ai fedeli perché temeva di mettere a rischio la vita? In tal caso, che razza di vigliaccheria sarebbe stata da parte sua?
Ma tale vigliaccheria non gli si può imputare, perché in ogni caso la tesi della Sede impedita non trova riscontro alcuno né nei documenti né nelle azioni di Benedetto XVI anche dopo la sua Declaratio.
Impedimento del munus
Si aggiunga un altro elemento. Con tutto il gran parlare che Farè e il suo maestro fanno di distinzione tra munus e ministerium, non si sono accorti – o non si sono voluti accorgere – che il can. 412 del Codice di diritto canonico da loro invocato recita chiaramente:
«Sedes episcopalis impedita intellegitur, si captivitate, relegatione, exsilio aut inhabilitate Episcopus dioecesanus plane a munere pastorali in dioecesi procurando praepediatur, ne per litteras quidem valens cum dioecesanis communicare». Ovvero:
«La sede episcopale si intende impedita se il Vescovo diocesano è totalmente impedito nel praticare l’ufficio (munus) pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, sì da non essere in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani».
Ahi ahi, il castello di carte costruito tanto faticosamente crolla un’altra volta! Questo canone, a cui tanto volentieri si appellano Farè e i suoi, afferma che per avere la condizione di Sede impedita il vescovo deve essere impossibilitato ad esercitare il suo munus – sì, signori, non il ministerium, che questo canone non menziona, ma proprio il munus, quel munus che secondo loro Benedetto XVI si era tenuto ben stretto. Ed allora, se il vescovo di Roma continua a praticare il munus, come si può dire che sia in Sede impedita? Invece è il munus che – afferma il canone – non può essere “praticato” in una Sede impedita! Questo canone dà balta a tutta la costruzione teorica delle argomentazioni di Farè – Cionci. Strike!