Dopo la rivelazione della sua gloria sul monte, Gesù scende in un mondo pieno di sofferenza, dove pronuncerà il secondo detto o annuncio della sua passione.
Un povero padre gli presenta il figlio “lunatico”, probabilmente epilettico (i sintomi corrispondono; Mc 9,18 così lo descrive: “schiuma, digrigna i denti, diventa rigido”), e Gesù lo guarisce, cacciando lo spirito maligno che lo teneva prigioniero, sulla base della fede del padre.
Ma in evidenza Matteo mette piuttosto la scarsa fede dei discepoli: per questo, degni figli di una generazione incredula e perversa, non sono riusciti a guarire il ragazzo. Basterebbe fede piccola quanto un granello di senape per spostare le montagne… e ogni preghiera sarebbe esaudita.
Naturalmente, quando Gesù fa una simile affermazione, vuol dire che ogni buona richiesta, funzionale al bene nostro e degli altri, verrà esaudita, mentre spesso non sappiamo quel che chiediamo, e consideriamo piuttosto Dio come il genio della lampada, potenzialmente a nostra disposizione per esaudire tutti i desideri. La preghiera autentica non è un “desiderio”, è rimettersi nelle mani del Padre e lasciar fare a lui.
I discepoli, tuttavia, non hanno ancora maturato questo tipo di fede, e Gesù solo gradualmente li prepara ad accogliere l’insegnamento sulla passione / morte / resurrezione del Figlio dell’uomo.
La Passione e Resurrezione del Figlio dell’uomo
“Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, e il terzo giorno risorgerà” (17,22-23).
La forma primitiva del detto, in aramaico, sottostante al passo parallelo di Mc 9,31, è, secondo J. Jeremias:
Mitmesar bar enasha’
lidè benè enasha’
ovvero
“è consegnato il Figlio dell’uomo
nelle mani dei figli dell’uomo”.
Mac 9,31b aggiunge: “dopo tre giorni si rialzerà”. È toccante sentire nella lingua materna di Gesù il detto con cui annuncia la sua futura sorte di passione e morte e poi di resurrezione al terzo giorno.
Questa formula in Marco è enigmatica e imprecisa rispetto ai fatti, in quanto la resurrezione non è avvenuta dopo tre giorni ma il terzo giorno come precisa Matteo ex eventu cioè alla luce dei fatti già avvenuti, contando anche le frazioni di giorno del venerdì e della domenica.
Ma questo ha poca importanza, perché l’ebraico / aramaico non ha un vocabolo corrispondente al nostro “alcuni”, “qualche”, ed esprime questa breve attesa con il numero tre.
Del resto, anche in italiano, che è una lingua così ricca e precisa, si dice, per indicare una piccola quantità di qualcosa, “due”, “un paio di cose”…
Marco poi usa il verbo anistemi, in ebraico qum ovvero alzarsi, mentre Matteo utilizza il più preciso egheiro / svegliarsi; in nessun caso essi si riferivano, al tempo di Gesù, ad una resurrezione gloriosa da morte. Il detto di Gesù risulta, alle orecchie di chi lo ascolta, del tutto enigmatico.