«Via col Vento» politicamente (s)corretto

Hattie McDaniel con Olivia de Havilland eVivien Leigh in Via col Vento (1939). Di MGM – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=57156968

Se i testi dei romanzi di Agatha Christie e Jan Fleming sono stati modificati (l’articolo QUI), a Via col Vento, che è ritenuto politicamente scorretto, sta andando meglio – ma non troppo.

Il romanzo di Margaret Mitchell, datato 1936, che ha ispirato il celebre film del 1939 con Vivien Leigh e Clarke Gable, non è stato alterato nel testo, ma d’ora in poi verrà pubblicato con una serie di avvertimenti sui contenuti della storia. Le nuove edizioni includeranno inoltre la prefazione di una scrittrice specialista di narrativa storica, Philippa Gregory, che spiegherà gli aspetti di supremazia bianca presentati dal romanzo.

Questo perché i lettori potrebbero trovare le rappresentazioni dell’epoca «dolorose o addirittura dannose», per cui si ritiene che il romanzo debba essere ripubblicato solo con avvertimenti aggiuntivi che segnalino gli «elementi scioccanti» e «la romanticizzazione di un’era scioccante della nostra storia». L’avviso recita: «Il romanzo include la rappresentazione di pratiche inaccettabili, razziste e stereotipate, e contiene temi, caratterizzazione, linguaggio e immagini inquietanti».

Come se i lettori, totalmente sprovveduti, non se ne rendessero conto. Come se nell’Iliade e nell’Odissea si dovesse inserire l’avviso: «Attenzione, gli dèi nominati nel corso dell’opera non esistono realmente». Oppure, come se ai libri che compongono la tanta letteratura sulla Shoah si dovesse premettere: «Attenzione, quanto fatto dai nazisti agli ebrei è malvagio!».

Specchio dei tempi

Vita da schiavo. Dalla piantagione al campo di battaglia. Di Queen James Fuller (1820 o 1821-1886), artist; Stephens Henry Louis, 1824-1882. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=66418576

Certamente, un romanzo – o un film – è lo specchio dei tempi, e può quindi riflettere, oltre al bene, anche il male della sua epoca: pregiudizi, stereotipi, esclusioni, persecuzioni. In qualche modo ne sono testimoni le vicende dello stesso film Via col vento, vincitore di 8 Oscar. Uno andò all’attrice Hattie McDaniel (1895-1952), che vi interpretava la parte di Mami (Mammy in inglese). Hattie McDaniel è stata anche la prima donna di colore a cantare alla radio statunitense. I suoi genitori erano stati schiavi ed ella era l’ultima nata di 13 figli.

Nonostante le numerosissime apparizioni nei film dell’epoca (circa 300), soltanto in 83 di questi è stata accreditata nei titoli; il che non le impedì di vincere l’Oscar per la migliore attrice non protagonista, soffiandolo tra l’altro a un’attrice bianca del calibro di Olivia de Havilland. Ma a causa delle leggi che ancora in quel periodo vietavano alle persone di colore di stare insieme ai bianchi, non poté partecipare alla prima del film ad Atalanta (suscitando l’indignazione di Clark Gable, che minacciò di escludersene anche lui, e fu convinto a partecipare dalla stessa Hattie) e nemmeno presenziare nel Kodak Theatre alla cerimonia per ritirare la statuetta che aveva vinto. Dovette aspettare fuori finché non fu fatto il suo nome.

Alla fine della vita espresse la volontà di essere seppellita nel cimitero di Hollywood, ma non le fu concesso benché possedesse una villa di due piani e 17 stanze! Negli anni Stati Uniti degli anni Cinquanta vigeva la segregazione razziale anche per i morti.

Contestazioni della comunità afroamericana

La schiavitù negli Stati Uniti nel 1860. Di Stilfehler – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4357131

Una parte della comunità afroamericana statunitense le contestò di non essersi opposta alle scelte registiche che la relegavano in ruoli secondari, sottomessi e stereotipati. Rispondeva: «Piuttosto che fare la cameriera, preferisco recitare la parte di una cameriera» («Perché dovrei sentirmi in colpa se guadagno 700 dollari a settimana interpretando una cameriera? Se non lo avessi fatto, guadagnerei 7 dollari alla settimana lavorando come una vera donna di servizio»).

Certamente, col suo fisico, non avrebbe mai potuto essere una vamp. Quanto al perpetuare gli stereotipi, c’era una parte di vero; ma l’arte imita la vita, e la realtà, allora, era quella. Martin Luther King era ancora a venire.

Entra in scena Martin Luther King

Erano ancora lontani i tempi di Star Trek, quando Nichelle Nichols nella parte del tenente Uhura (in swahili, il nome significa «libertà») sarebbe stata la prima donna di colore a figurare in un ruolo di comando nella storia della televisione statunitense.

Veramente, l’attrice Nichelle Nichols era intenzionata ad abbandonare la serie dopo la prima stagione per tornare al musical, ambito per lei più soddisfacente. Le sembrava di far poco sul ponte di comando dell’Enterprise; poco più che dire continuamente: «Tutti i canali di comunicazione sono aperti, capitano».

Fu convinta a rimanere da Martin Luther King in persona, il quale chiese di vederla dopo uno spettacolo e le ricordò: «Per la prima volta un’attrice di colore non è relegata a un ruolo da comprimaria, ma recita – su un ponte di comando – in un ruolo che poteva essere ricoperto anche da un’attrice bianca, e questa era una dimostrazione di uguaglianza molto più forte di mille discorsi». Nichelle rimase. 

Forse, quanto a inclusività Star Trek era veramente all’avanguardia. Sul ponte di comando affiancavano il biondo capitano Kirk un’afroamericana, Uhura appunto; un orientale (il timoniere Sulu interpretato dal giapponese George Takei); un alieno metà vulcaniano e metà umano (il signor Spock, ufficiale scientifico, interpretato da Leonard Nimoy – ebreo di origini russe) e persino un russo (il navigatore Pavel Checov, interpretato da Walter Koenig, anch’egli ebreo di origine russa). Per la cronaca: completavano il cast internazionale, anzi interplanetario, l’ingegnere scozzese Scott (James Doohan, in realtà canadese) e il medico, vero gentiluomo del sud, dottor McCoy (DeForest Kelley, nato proprio ad Atlanta).

Però, quando la stessa cosa mi viene riproposta in una serie tv sulla comunità degli Atti degli Apostoli, e San Giovanni è nero, e la Maddalena ha gli occhi a mandorla, mi ribello…

Verso il politicamente corretto

Negozio di schiavi ad Atlanta, Georgia, 1864. Di George N. Barnard – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=828936

A me Via col Vento non è mai sembrato un gran film. Lo vidi al cinema da piccola, negli anni Cinquanta, e non mi lasciò nessuna impressione, se non il ricordo della scena in cui la giovane vedova tenta di nascosto passi di danza perché avrebbe voglia di divertirsi. L’ho rivisto più volte, da adulta, in televisione, e confermo che non mi piace. Sarà perché l’epopea della Guerra Civile a me dice poco; sarà anche a causa del modo stereotipato e indisponente in cui si presentano i personaggi principali (e gli attori: la narcisista e irritante Vivien Leigh, la pupattola angelicata Olivia de Havilland, l’esangue Leslie Howard, lo scanzafatiche Clark Gable); ma l’unico personaggio vivo resta per me proprio la Mami di Hattie McDaniel. E, certamente, alcune frasi lapidarie. Tre frasi del film, in particolare, sono state inserite nella lista delle 100 migliori battute cinematografiche di sempre:

  • «Francamente me ne infischio» di Clark Gable, al 1º posto;
  • «Dopotutto, domani è un altro giorno» di Vivien Leigh, al 31º posto;
  • «Lo giuro davanti a Dio… non soffrirò mai più la fame» di Vivien Leigh, al 59º posto.

Non vi furono grandi polemiche all’epoca della prima uscita nelle sale di «Via col Vento», anche se il «Daily Worker», organo del Partito Comunista americano, lo definì una «insidiosa glorificazione del mercato degli schiavi».

L’emarginatore sarà emarginato

Ma adesso la prospettiva del Politicamente corretto ha contribuito alla sua progressiva emarginazione, quasi per una sorta di contrappasso: l’emarginatore emarginato. La piattaforma Hbo ha rimosso «Via col vento» su pressione di John Ridley, sceneggiatore di «12 anni schiavo» («Twelve Years a Slave»). Riporterà il film in catalogo solo dopo aver introdotto «una discussione del contesto storico» e una denuncia dei passi falsi contenuti nel film in materia di razza. Lo stesso Ridley aveva scritto: «È un film che glorifica il Sud ante bellum. È un film che, quando non ignora gli orrori della schiavitù, si ferma a perpetuare i più dolorosi stereotipi sulla gente di colore». «Mettendo assieme i migliori talenti dell’epoca di Hollywood, romanticizzò una storia mai esistita, dando copertura all’iconografia dell’era delle piantagioni come materia di  “tradizioni” e non di odio».

Benché «Via col Vento» resti, considerata l’inflazione, uno dei campioni di incassi di tutti i tempi (nel 1998 è stato collocato al sesto posto nella classifica dei più grandi film di tutti i tempi dell’American Film Institute), ci sono cinema che lo hanno messo al bando. Già dal 2017 un cinema di Memphis che lo proiettava da 34 anni lo ha ritirato dalla programmazione dopo le proteste di clienti.

Ma «Il buio oltre la siepe»?

Questo, ormai, non sorprende. Quello che sorprende è che la messa al bando sia attuata anche nei confronti del romanzo «Il buio oltre la siepe», che parla sì di pregiudizi e ne assume il linguaggio, ma per criticarli! Nel film, come nel romanzo, gli unici personaggi positivi, con il protagonista Atticus e i suoi figli, sono proprio gli afroamericani, oltre ad un «diverso», il misterioso «Boo» Radley, un malato psichiatrico, creduto un mostro dai bambini ed invece, in definitiva, loro amico e salvatore. Più inclusivo di così! Il film vincerebbe l’Oscar anche domani, come ne vinse tre nel 1963. Infatti…

Gli Oscar futuri

Foto di Donate PayPal Me da Pixabay 

Ah, ma adesso le cose cambieranno. Già nel 2016 l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, l’associazione che assegna gli Oscar, aveva fissato specifici obiettivi di inclusione, per aumentare fra le candidature all’Oscar il numero di donne e comunità etniche sottorappresentate. In quell’anno era stata eclatante l’assenza totale di afroamericani tra i venti attori nominati nelle quattro categorie a loro dedicate, protagonista e non protagonista, maschile e femminile. Non potrebbe essere un caso?

No: non si può lasciare al caso. Dal 2015 al 2020 l’Academy  ha raddoppiato il numero di donne presenti nell’associazione e triplicato il numero di persone appartenenti a minoranze. Nonostante questo, si rammarica di essere ancora un’associazione composta all’81% da bianchi e al 67% da uomini.

Requisiti di inclusione

E allora, a partire dal 2024 i candidati come miglior film per l’ambita statuetta dovranno rispettare alcuni requisiti di inclusione nella trama, nei personaggi e nella produzione e distribuzione, allo scopo di creare una comunità più equa e inclusiva.. È stato annunciato lo scorso 8 settembre.

I criteri riguardano sostanzialmente quattro aree:

  • la rappresentazione di storie e personaggi;
  • l’area produttiva;
  • l’area degli stage e nuove assunzioni
  • e un’ultima area legata al marketing e alla promozione dei film.

Per poter essere candidata all’Oscar, ogni pellicola dovrà soddisfare almeno due dei quattro standard.

Storie e personaggi

Nella prima area, il film deve soddisfare uno di questi criteri:

  • uno degli attori principali o non protagonisti significativi deve provenire da un gruppo etnico o razziale sottorappresentato;
  • il 30% di tutti gli attori in ruoli secondari e minori deve provenire da almeno due dei seguenti gruppi sottorappresentati: donne, gruppo razziale o etnico, LGBTQ+, persone con disabilità cognitive o fisiche, non udenti o ipoudenti;
  • la trama principale, il tema o la narrazione del film devono essere incentrati su un gruppo sottorappresentato. E questa è una vera forzatura.

Area produttiva

Il secondo standard riguarda i ruoli produttivi: leadership creativa e capi dipartimento, direttore del casting, direttore della fotografia, compositore, costumista, regista, montatore, parrucchiere, truccatore, produttore, scenografo, scenografo, suono, supervisore VFX, sceneggiatore… Vengono definite le quote di genere e / o etnia che devono essere rappresentate per garantire un livello di inclusione soddisfacente.

Nuove assunzioni

Sul terzo standard si concentra l’attenzione ai giovani: devono essere garantite possibilità di apprendistato, stage e formazione alle stesse categorie sopra elencate.

Marketing e produzione

Infine il quarto standard si rivolge al pubblico: marketing, pubblicità e distribuzione devono includere, diversificare, perchè, come ha spiegato il presidente dell’Academy David Rubin, «L’apertura deve allargarsi per riflettere la nostra variegata popolazione globale sia a livello di creazione di film sia di pubblico che si connette con loro».

Arte o artificio?

Quindi aspettiamoci (ma la cosa è già iniziata) che gli Oscar vengano assegnati non in considerazione di meriti artistici, ma di rispetto di criteri politicamente corretti. E qui si aprirebbe una problematica enorme sulle funzioni educative dell’arte, che non vanno certo trascurate o messe da parte; con la conseguente domanda: vale più la funzione strumentalmente educativa dell’arte o l’arte stessa? Sarà arte o artificio?

Naturalmente, ce n’è anche per la televisione…

(Continua)