Viaggio nella Bibbia. Saul: Una morte che non salva

Saul: una morte che non salva
La battaglia di Gelboe. Elie Marcuse (1848). Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=801838

Se non altro, Saul muore con coraggio, ma la sua è una morte che non salva. Prescindiamo dal particolare che si procura la morte da se stesso: nell’antichità era un’onta non il morire, ma il morire in condizioni umilianti. Dobbiamo leggere questa sua richiesta di morte con le categorie dell’epoca.
Ma la sua non è una morte che salva. A conclusione del racconto della sconfitta, il narratore riferisce che gli Israeliti abitanti delle zone vicine al luogo della battaglia «abbandonarono le loro città e fuggirono, e i Filistei vennero e vi si stabilirono» (31,7). La morte di Saul è un fallimento: non è un sacrificio che valga a riscattare il suo popolo. Questo sarà poi il ruolo di David.
Nel nostro viaggio biblico, abbiamo già visto alcuni casi in cui la sofferenza può assumere un valore positivo. La prova chiesta ad Abramo lo raffina nella fede; la sventura di Giuseppe predispone la storia alla salvezza di molti popoli, compresa la propria famiglia. Il fallimento di Mosè lo prepara alla chiamata divina. Talvolta, la sofferenza degli uni è salvezza degli altri. Anche David, in un momento di particolare oscurità, riesce a ritrovare il Dio della sua fanciullezza.
La grande sofferenza di Saul, invece, generata nella sua vita dalla cattiva coscienza (che non è il retto riconoscimento del peccato), si ritorce su coloro che gli stanno vicini, perseguitandoli come potenziali rivali e ribelli. Egli stesso sarà la causa della sua fine, perché allontanandosi dal Signore e braccando David come suo principale nemico – dimenticando che i nemici reali sono i filistei – non solo manca al suo dovere, ma scaccia colui che avrebbe potuto salvare il popolo e la stessa vita del re.
Questa accezione di sofferenza potrebbe essere espressa con un celebre detto: Chi è causa del suo mal pianga se stesso… Talvolta la sofferenza nostra e di altri è autoindotta, e bisognerebbe saperlo riconoscere in modo da porvi rimedio.