Viaggio nella Bibbia. Saul nella grotta (1 Sm 23-24)

Saul nella grotta
David risparmia la vita a Saul nella grotta. Maciejowski Bible – Morgan Library & Museum MS M.638, fol. 33r. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=91896296

David, nella sua sofferenza, impara la misericordia. Trovando il suo nemico Saul nella grotta in cui si era introdotto, gli risparmia la vita perché non vuole alzare la mano contro l’unto del Signore.

Saul ormai, nella sua paranoia, sembra dedicarsi quasi unicamente alla propria battaglia personale contro David. David invece, pur essendo in fuga, braccato dal re, continua a difendere il popolo dai Filistei. Dove si forma un vuoto, un altro occupa il posto.

Saul ottiene così il risultato opposto a quello che cerca: rafforza la stima che il popolo nutre per il giovane che egli vede come antagonista. Combattendo un fantasma che si è creato, manca ai suoi doveri e fa sì che un altro li assolva. Salvare Israele dai Filistei era la missione originaria di Saul, per questo era stato unto. Ma ormai è David che la sta compiendo, dimostrando di essere il vero re.

Siamo in pieno paradosso. David ha liberato la città di Keila dai filistei, ma Saul muove contro di lui – non contro il vero nemico – e lo costringe di nuovo alla fuga nel deserto. Colpisce il fatto che Saul, con tutta la sua imponenza, l’alta statura e il potere a disposizione, abbia paura non del vero nemico, ma di colui che lo aiuterebbe a regnare.

Saul nella grotta

«E Saul prese tremila uomini scelti da tutto Israele e andò a cercare David e i suoi uomini di fronte alle rocce delle Capre selvatiche. E giunse ai recinti delle pecore, lungo la strada, e lì c’era una grotta. Saul vi entrò per coprirsi i piedi, e David e i suoi uomini se ne stavano in fondo alla grotta» (1 Samuele 24,2-3).

L’espressione «coprirsi i piedi» indica eufemisticamente la soddisfazione di un bisogno naturale, quindi un momento di particolare vulnerabilità. Gli uomini di David vedono la situazione come un segno della volontà divina, un’occasione per liberarsi facilmente dal persecutore (24,4). Ma David si avvicina silenziosamente a Saul senza ucciderlo. Si limita a tagliare un lembo del suo mantello, a riprova di quanto Saul fosse stato alla sua mercé, se avesse voluto. Tuttavia David sembra pentirsi anche di questo gesto per il rispetto che porta a Saul e alla sua carica di Unto del Signore:

«Ma dopo ciò a David batté il cuore, perché aveva tagliato il lembo del mantello di Saul. E disse ai suoi uomini: “Mi guardi il Signore dal fare questa cosa al mio signore, all’unto del Signore, dallo stendere la mia mano contro di lui, perché è l’unto del Signore”» (24,5-6).

Era successo, precedentemente, quando Samuele aveva annunciato a Saul il ripudio da parte di Dio, che il re avesse afferrato il mantello del profeta per trattenerlo e lo avesse, invece, strappato. Un incidente che il profeta legge come un segno, un presagio.

«Come Samuele si voltò per andarsene, Saul afferrò il lembo del suo mantello, ed esso si strappò. E Samuele gli disse: “Il Signore oggi ha strappato da te il regno d’Israele e lo ha dato a un altro, che è migliore di te”» (15,27-28).

Forse senza saperlo, David, «migliore di Saul», compie lo stesso gesto nei confronti del re, confermando così inconsapevolmente l’imminente adempimento delle parole di Samuele. Ma si pente anche di questo. La veste, infatti, rappresenta la persona, e David tagliandola ha in qualche modo violato l’integrità di Saul. Ma non va oltre.