Santo Stefano Protomartire

Martirio di Stefano. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19410292

Santo Stefano è considerato Protomartire, cioè il primo martire di Cristo, perché è il primo – a quanto sappiamo – che dopo la Pasqua del Signore abbia versato il proprio sangue per la fede. Scelto come diacono nella primitiva comunità di Gerusalemme, è venerato da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi per la sua carità e per il suo martirio, avvenuto verso l’anno 36, in un vuoto di potere dovuto alla destituzione di Ponzio Pilato.

Essendo stato lapidato, è quasi ironico che Santo Stefano sia onorato come patrono da parte di selciatori, scalpellini, muratori, tagliapietre; ma in un certo senso, poiché ha glorificato il Signore venendo ucciso dalle pietre, ha anche nobilitato queste e coloro che le lavorano.

Il racconto degli Atti

Molte cose si potrebbero dire sui due lunghi capitoli degli Atti degli Apostoli che narrano la sua vicenda; ma mi limiterò a cogliere un aspetto, che è quello su cui insiste la lettura, che riporto alla fine, di  San Fulgenzio di Ruspe: il perdono.

Al martirio di Stefano, infatti, assiste un giovane Saulo di Tarso, colui che sarebbe divenuto apostolo col nome romano di Paolo (il doppio nome era frequente all’epoca). Le pitture lo raffigurano come un ragazzo, che non partecipa alla lapidazione per la sua troppo giovane età. Ma Saulo viene descritto subito dopo perseguitare la Chiesa nascente con grande autorità e vigore. Probabilmente, il suo astenersi dal prendere parte attiva alla lapidazione di Stefano, che comunque approvava, è dovuto all’opportunità per Saulo, cittadino romano, di non compromettersi con un’azione che per gli ebrei era l’esecuzione della legge, ma per i romani era un comune atto di linciaggio popolare.

In questo episodio, il martire e il persecutore, futuro pentito, sono associati. Santo Stefano muore come muore Gesù nel vangelo di Luca, autore unico del Terzo Vangelo e degli Atti; interrogato dal sommo sacerdote risponde francamente, vede i cieli aperti e il Figlio dell’uomo alla destra del Padre, affida al Signore il suo spirito, e, soprattutto, prega perché non sia imputato ai suoi carnefici questo peccato. Muore con la parola del perdono.

Dagli Atti degli Apostoli (6, 8 – 7, 2a. 44-59)

Martirio di Stefano. Menologio di Basilio – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8915507

Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti», comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia, a disputare con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. Perciò sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè». E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.
   Gli disse allora il sommo sacerdote: «Queste cose stanno proprio così?». Ed egli rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto. E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè se la portarono con sé nella conquista dei popoli che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. Questi trovò grazia innanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per il Dio di Giacobbe; Salomone poi gli edificò una casa (2 Sam 7, 13). Ma l’Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo…

   O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo (Es 32, 9); come i vostri padri, così anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata».
   All’udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra, e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.

Il perdono dell’ucciso

Proprio in grazia del perdono, Saulo è divenuto San Paolo e gioisce in cielo della stessa gioia di Stefano, il persecutore con l’ucciso. Mi viene in mente uno straordinario brano di Borges:

Abele e Caino s’incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e, lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca, chiese che gli fosse perdonato il suo delitto.
Abele rispose:
– Tu mi hai ucciso, o io ho ucciso te? Non ricordo più; stiamo qui insieme come prima.
– Ora so che mi hai perdonato davvero, – disse Caino – perché dimenticare è perdonare. Anch’io cercherò di scordare.
Abele disse lentamente:
– È così. Finché dura il rimorso dura la colpa.

Dai «Discorsi» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo (Disc. 3, 1-3. 5-6)

Il martirio di Stefano. Di Rembrandt – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=157941

Stefano, per meritare la corona che il suo nome significa, aveva per armi la carità e con essa vinceva dovunque. Per mezzo della carità non cedette ai Giudei che infierivano contro di lui; per la carità verso il prossimo pregò per quanti lo lapidavano. Con la carità confutava gli erranti perché si ravvedessero; con la carità pregava per i lapidatori perché non fossero puniti.
   Sostenuto dalla forza della carità, vinse Saulo che infieriva crudelmente e meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore. La stessa carità santa e instancabile desiderava di conquistare con la preghiera coloro che non poté convertire con le parole.
   Ed ecco che ora Paolo è felice con Stefano, con Stefano gode della gloria di Cristo, con Stefano esulta, con Stefano regna. Dove Stefano, ucciso dalle pietre di Paolo, lo ha preceduto, là Paolo lo ha seguito per le preghiere di Stefano.
   Quanto è verace quella vita, fratelli, dove Paolo non resta confuso per l’uccisione di Stefano, ma Stefano si rallegra della compagnia di Paolo, perché la carità esulta in tutt’e due…
   La carità dunque è la sorgente e l’origine di tutti i beni, ottima difesa, via che conduce al cielo. Colui che cammina nella carità non può errare, né aver timore. Essa guida, essa protegge, essa fa arrivare al termine.
   Perciò, fratelli, poiché Cristo ci ha dato la scala della carità, per mezzo della quale ogni cristiano può giungere al cielo, conservate vigorosamente integra la carità, dimostratevela a vicenda e crescete continuamente in essa.