Sant’Antonio di Padova (13 giugno)

Pietro Saltini, Sant’Antonio da Padova (1901). Piombino, chiesa francescana dell’Immacolata

Sant’Antonio da Padova, santo taumaturgo, è forse il più venerato al mondo.

Non si chiamava Antonio e non veniva da Padova. Era portoghese (nato a Lisbona nel 1195 circa, quindi un poco più giovane di S. Francesco d’Assisi) e si chiamava Fernando Martins de Bulhões. Sarebbe più corretto quindi chiamarlo “Antonio di Padova”, perché Padova fu poi la sua città di riferimento (anche se vi soggiornò solo due volte), piuttosto che “da Padova”, come se questo fosse il suo luogo di origine.

Di famiglia nobile e benestante, Fernando, appartenente ai canonici regolari agostiniani di Coimbra fin dal 1210 (quindi giovanissimo), era già sacerdote da un anno quando nel 1220 fu colpito dallo zelo evangelizzatore dei primi francescani che erano passati da Coimbra per recarsi in Marocco e lì avevano trovato il martirio. Perciò anche Fernando si fece frate minore prendendo il nome di Antonio, e volle partire per la missione ad gentes. Tuttavia, in Marocco Antonio si ammalò e dovette essere rimpatriato;  ma la Provvidenza, sotto forma di tempesta, lo sbatté sulle coste della Sicilia e fu l’Italia la terra della sua vera missione, la predicazione del Vangelo per convertire i cuori.

La predicazione

Dapprima fu eremita a Montepaolo presso Forlì. Ma poi, essendo provvisto di una solida cultura teologica, senza mai abbandonare l’umiltà, la povertà e lo spirito di penitenza, si distinse per la sua efficacia nel confutare le eresie dell’epoca. Per questo fu chiamato martello degli eretici (malleus hereticorum). E per questo insistette anche per ottenere la fondazione del primo studentato teologico francescano a Bologna (1223). Francesco stesso approvò l’iniziativa di Antonio:

«A frate Antonio, mio vescovo [teologo], frate Francesco augura salute. Mi piace che tu insegni teologia ai nostri fratelli, a condizione però che, a causa di tale studio, non si spenga in esso lo spirito di santa orazione e devozione, com’è prescritto nella regola».

Nei frequenti spostamenti dovuti alle esigenze del ministero, Sant’Antonio fu anche alla Verna, dove si trattenne alcuni mesi (1230).

La piaga dell’usura

Nei suoi Sermoni predicò a favore dei poveri e delle vittime dell’usura:

«Razza maledetta, sono cresciuti forti e innumerevoli sulla terra, e hanno denti di leone. L’usuraio non rispetta né il Signore, né gli uomini; ha i denti sempre in moto, intento a rapinare, maciullare e inghiottire i beni dei poveri, degli orfani e delle vedove… E guarda che mani osano fare elemosina, mani grondanti del sangue dei poveri. Vi sono usurai che esercitano la loro professione di nascosto; altri apertamente, ma non in grande stile, onde sembrare misericordiosi; altri, infine, perfidi, disperati, lo sono apertissimamente e fanno il loro mestiere alla luce del sole».

«La natura ci genera poveri, nudi si viene al mondo, nudi si muore. È stata la malizia che ha creato i ricchi, e chi brama diventare ricco inciampa nella trappola tesa dal demonio».

Sant’Antonio riuscì addirittura a far modificare la legge. Il 15 marzo 1231 a Padova fu modificata la legge sui debiti: «Su istanza del venerabile fratello il beato Antonio, confessore dell’ordine dei frati minori», il podestà di Padova Stefano Badoer stabilì che il debitore insolvente senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non fosse più imprigionato od esiliato.

Gli ultimi giorni

Sant’Antonio, seppur ancora giovane, aveva ormai un fisico assai provato dall’asma e dall’idropisia, ma quando era necessario non risparmiava le forze. Quando il celebre Ezzelino III da Romano, podestà di Verona (insieme a sua sorella Cunizza menzionato da Dante) imprigionò il cognato Rizzardo, Antonio partì alla volta di Verona per chiedere a Ezzelino di concedere la grazia, ma Ezzelino fu irremovibile; risparmiò ad Antonio la stessa sorte del conte Rizzardo soltanto per rispetto dell’abito che portava.

Nel giugno 1231, pochi giorni prima della sua morte, Antonio soggiornò nel piccolo romitorio nei pressi del castello di Camposampiero. Qui, secondo la tradizione, si ebbe la famosa visione di Sant’Antonio con in braccio il Bambino Gesù. Venerdì 13 giugno il santo si sentì mancare e chiese di essere riportato a Padova. Fu trasportato in direzione di Padova su un carro trainato da buoi (i venti chilometri della strada sono chiamati «Via del Santo») ma si dovette fermare all’Arcella, nell’ospizio accanto al monastero delle Clarisse. Qui, pronunciate, secondo la tradizione, le parole Video Dominum meum (Vedo il mio Signore), morì. Aveva 36 anni. Tutto quanto aveva fatto di buono lo aveva consumato in soli 11 anni. Così vivevano i santi a quell’epoca!

Fu canonizzato appena un anno dopo la morte, e nel 1946 gli fu confermato ufficialmente il titolo di Dottore della Chiesa (Doctor Evangelicus).

Sant’Antonio da Padova, la mula e i pesci

Secondo la tradizione, mentre S. Antonio si trovava nel 1223 a Rimini, un eretico, Bonisollo, che negava la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, lo sfidò a provare con un miracolo questa presenza; tenne per tre giorni a digiuno la sua mula, poi la portò in piazza mettendole davanti della biada; contemporaneamente sant’Antonio, con in mano l’ostia consacrata, portatosi davanti alla mula, diceva: «In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto ne sia indegno, tengo veramente tra le mani, ti dico, o animale, e ti ordino di avvicinarti prontamente con umiltà e di prestargli la dovuta venerazione». Come il santo ebbe finito di parlare, la mula, meno bestia degli uomini, lasciando da parte il fieno, si inginocchiò davanti all’eucaristia e l’eretico si convertì.

Padova, Basilica del Santo, La predica ai pesci

A Rimini Sant’Antonio predicò ai pesci, dato che gli uomini (per una forte presenza catara) non lo stavano a sentire; e i pesci, a riva, a bocca aperta (con poco sforzo da parte loro, a dir la verità), ascoltavano la Parola di Dio dalla bocca del santo, che poi li benedisse e li congedò.

Il santo dei miracoli

Sant’Antonio e il miracolo del neonato che parla, Tiziano Vecellio, 1511, Scuola del Santo, Sala delle Adunanze – fotografia di Giuliano Ghiraldini dopo i restauri del 2005 – fototeca MSA

Sant’Antonio è noto come il santo dei miracoli: anche in vita aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, che erano stati recisi. Oltre ai miracoli con gi animali, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno; ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato; rese innocui cibi avvelenati; fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio.

Sant’Antonio è forse il Santo più venerato al mondo, seguito da S. Francesco e S. Nicola di Bari, mentre fra le donne la più invocata è S. Rita, accompagnata da S. Anna e S. Lucia….

Sant’Antonio è specializzato nell’aiuto a ritrovare gli oggetti smarriti, aiuta anche le zitelle a trovare marito, o meglio lo faceva quando le ragazze desideravano sposarsi e non convivere.

La preghiera “Si quaeris”

Una famosa preghiera ne chiede l’intercessione per ritrovare gli oggetti smarriti. In casa mia bastava un Padre Nostro.

«Si quaeris miracula
mors, error, calamitas,
demon, lepra fugiunt,
aegri surgunt sani.

Cedunt mare, vincula,
membra resque perditas
petunt et accipiunt
juvenes et cani [che non sono i cani, in latino, ma i canuti, i vecchi].

Pereunt pericula,
cessat et necessitas,
narrent hi qui sentiunt,
dicant Paduani.

Cedunt mare, vincula,
membra resque perditas
petunt et accipiunt
juvenes et cani.

Gloria Patri,
et Filio,
et Spiritui Sancto.
Sicut erat in principio,
et nunc, et semper,
et in saecula saeculorum.
Amen.

Cedunt mare, vincula,
membra resque perditas
petunt et accipiunt
juvenes et cani».

Traduzione italiana

«Se cerchi miracoli,
ecco messi in fuga morte, errore, calamità,
spiriti infami e lebbra,
ecco gli ammalati ergersi sani.

Si distendono il mare e le catene,
la salute e le cose perdute
chiedono e ritrovano
i giovani e i vecchi.

Svaniscono i perigli,
termina persino la miseria;
lo attestino questi, che lo sperimentano,
lo dicano i Padovani!

Si distendono il mare e le catene,
la salute e le cose perdute
chiedono e ritrovano
i giovani e i vecchi.

Gloria al Padre,
e al Figlio,
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio,
e ora, e sempre,
nei secoli dei secoli.
Amen.

Si distendono il mare e le catene,
la salute e le cose perdute
chiedono e ritrovano
i giovani e i vecchi».

Sant’Antonio: pani, bambini e gigli

Per la festa di S. Antonio, nelle chiese francescane, e in altre a lui legate, il 13 giugno si è soliti benedire il pane e distribuirlo ai fedeli. La prassi è nata con uno scopo caritatevole, essendo legata al «Pane di Sant’Antonio per i poveri».

Quali le origini di questa tradizione? La biografia del Santo redatta nel 1293 narra che una madre, che aveva perduto il suo bambino, fece voto che avrebbe dato ai poveri tanto frumento quanto era il peso del bambino, se il Santo lo avesse risuscitato. Il prodigio avvenne, e da allora nacque la tradizione del pondus pueri («il peso del bambino»), cioè di votare ai poveri tanto pane quanto era il peso dei figli da parte dei genitori che ne chiedevano l’intercessione.

Sant’Antonio stesso è rappresentato con in braccio un bambino, il Bambino Gesù, in relazione ad una visione che il santo ebbe a Camposampiero vicino a Padova; perciò per la festa di Sant’Antonio si fa anche la benedizione dei bambini.

Infine, il giglio: non fa parte dell’iconografia antica del Santo, che lo raffigurava con l’attributo del libro dei Vangeli o della fiamma di fuoco, simboli della sua scienza e della forza della sua predicazione basate sulla conoscenza delle S. Scritture. Ma poiché il 13 giugno fioriscono i gigli, immagine della purezza che indubbiamente al Santo non mancò, l’iconografia più recente lo ha rappresentato con questo fiore.