Santa Teresa di Lisieux (1 ottobre)

Santa Teresa di Lisieux. Foto fatta da Celine Martin, sorella di Teresa, in religione suor Genoveffa della Santa Fede – Archivi del Carmelo di Lisieux, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35129680

Ottobre, mese missionario, si apre facendo memoria di Santa Teresa di Lisieux, patrona delle missioni; anche se questa piccola donna si fece carmelitana a 15 anni in un monastero che non avrebbe mai lasciato nella sua breve vita (morì a 24 anni).

L’altro patrono delle missioni è San Francesco Saverio: una vita trascorsa nei viaggi missionari. Si pensi che solo per arrivare a Goa dovette fare 12.500 km, e non vi dico altro. Taiwan, Malacca (1545), Giappone (1549)… e non riuscì ad arrivare in Cina come avrebbe desiderato. Si stima che abbia battezzato circa 30.000 persone; tradizione vuole che a forza di impartire benedizioni gli si fosse allungato il braccio destro.

Cosa hanno in comune questi due santi? Apparentemente nulla, al di là del comune amore per il Signore e per gli uomini. Due esistenze completamente diverse. Eppure… leggiamo questo brano.

Dall’«Autobiografia» di santa Teresa di Gesù Bambino

Siccome le mie immense aspirazioni erano per me un martirio, mi rivolsi alle lettere di san Paolo, per trovarvi finalmente una risposta. Gli occhi mi caddero per caso sui capitoli 12 e 13 della prima lettera ai Corinzi, e lessi nel primo che tutti non possono essere al tempo stesso apostoli, profeti e dottori e che la Chiesa si compone di varie membra e che l’occhio non può essere contemporaneamente la mano. Una risposta certo chiara, ma non tale da appagare i miei desideri e di darmi la pace.
    Continuai nella lettura e non mi perdetti d’animo. Trovai così una frase che mi diede sollievo: «Aspirate ai carismi più grandi. E io vi mostrerò una via migliore di tutte» (1 Cor 12, 31). L’Apostolo infatti dichiara che anche i carismi migliori sono un nulla senza la carità, e che questa medesima carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio. Avevo trovato finalmente la pace.
    Considerando il corpo mistico della Chiesa, non mi ritrovavo in nessuna delle membra che san Paolo aveva descritto, o meglio, volevo vedermi in tutte. La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore è eterno.
    Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio.
    Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà.

Un cuore che batte

Ecco perché la piccola Teresa è patrona delle missioni estere: perché è stata nella Chiesa il cuore che ha battuto per far camminare i missionari, per far predicare il Vangelo. La sua è stata la santità delle piccole cose: raccogliere una spilla per amore – diceva – può convertire un’anima. Il suo era il «martirio a punte di spillo»: le piccolezze della vita quotidiana, con il suo carico di noie e suoi fastidi e di piccoli gesti, vissute in modo eroico… Tanto da affermare: «Credete di dover scalare una montagna ed invece Egli vi attende in fondo a questa valle: l’umiltà». Per questa sua piccola via, la piccola Teresa è stata proclamata non solo santa, nel 1925, ma anche Dottore della Chiesa, nel 1997.

La statua in frantumi

Statua di Santa Teresa di Lisieux.
Cattedrale di Santa Maria dell’Immacolata Concezione (Peoria, Illinois).
Di Nheyob – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38850025

Pochissimo conosciuta, questa piccola opera teatrale dello scrittore cattolico Gilbert Cesbron (autore del ben più noto «Cani perduti senza collare» e di «È mezzanotte, dottor Schweitzer») mette in luce con poche battute quello che è stato il carisma essenziale di questa Santa molto popolare.

Attraverso un personaggio che ne orchestra la regia, avviene simbolicamente la demolizione della raffigurazione tradizionale della piccola carmelitana dalla vita breve (volto roseo, sorridente, poesiole, disegni di fiorellini e di uccellini) per farne emergere il vero volto, risoluto, determinato, energico, tanto che dopo la lettura siamo pronti a condividere questo commento dell’autore: «Sembrava sciroppo ed invece era sangue».

Teresa Martin portava il nome religioso di Teresa di Gesù Bambino. Con esso è universalmente conosciuta, ma il nome completo aggiungeva «e del Volto Santo», un volto adulto, insanguinato. Non era assolutamente una fanciulla che bamboleggiava. La sua via della piccolezza spirituale non è affatto sdolcinata come potrebbe sembrare. È fatta di fermezza e di sacrificio, di quel quotidiano, umile martirio «a colpi di spillo» che talora è più penoso dell’eroico martirio della spada.

Al termine della sua breve vita, nel dramma di Cesbron, Teresa è costretta a confrontarsi con Lui, il Nemico dalle chiare connotazioni diaboliche, che cerca di tentarla alla disperazione facendole vedere come avrebbe potuto essere la sua vita – feconda anche per gli altri, prolifica di opere di carità, gratificante per tutti – se non avesse ceduto alle lusinghe dell’amor proprio che la volevano martire in monastero. Ma Teresa sconfigge anche questo nemico interiore con l’obbedienza alla Regola, perché quello che il Nemico nascosto non riesce a capire è come l’amore – ma cos’è l’amore per lui? non ne comprende neppure il significato – non cerchi la beatitudine, ma l’Amato:

«La beatitudine! Non è questo che mi attira… è l’amore! Amare, essere amata e tornare sulla terra per far amare l’amore [… ]. È solo l’Amore che conta»….

Un giorno aveva detto: «Non c’è anima al mondo che non sia nostro figlio».

Ne consiglio caldamente la lettura.

«È mezzanotte, dottor Schweitzer»

Il dottor Albert Schweitzer. Di Nobel Foundation – Les Prix Nobel en 1953, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18553183

Più famosa è l’opera teatrale, dello stesso Cesbron, «È mezzanotte dottor Schweitzer» (1875 – 1965). Coetaneo di Teresa di Lisieux, ma dalla vita assai più lunga, questo grande del Novecento, teologo, medico e musicista famoso, conosciuto in tutto il mondo, premio Nobel per la pace, visse in un contesto di notorietà di dimensione planetaria. Lasciò tutto per ritirarsi a Lambaréné nell’Africa Equatoriale Francese ove allestì in un vecchio pollaio un ambulatorio con camera operatoria destinata a divenire ospedale. Nel 1952 fu insignito del Nobel per la pace, e non tornò più in patria; morì novantenne in quella terra africana cui aveva dedicato la vita. Ma il 5 agosto 1914, allo scoppio della Grande Guerra, la sua attività benefica aveva subito una battuta d’arresto: Schweitzer, alsaziano di nazionalità tedesca, fu insieme alla moglie dichiarato dai francesi prigioniero di guerra ed espulso. Dovettero passare dieci anni prima che potesse tornare a Lambaréné.

L’opera teatrale di Cesbron coglie il personaggio proprio in questo momento critico della sua esistenza: a mezzanotte il dottor Schweitzer sarà arrestato dal governatore Leblanc e la sua attività benefica sembrerà andare in fumo. Non sarà solo: il dramma lo mette in relazione con altre due grandi figure del Novecento, presenti nell’opera sotto nome fittizio: il maresciallo Lyautey, conquistatore di terre per la madrepatria, col nome di Hervé Lieuvin, e padre Charles de Foucauld, col nome di Charles Ferrier.

Il dramma consiste tutto nell’accostamento tra i protagonisti, l’uno consumato dall’amor patrio, l’altro dall’amore di Cristo, l’altro ancora dall’amore per gli uomini. Il raffronto si staglia maggiormente nel rapporto con altre due persone al loro paragone «mediocri», che desiderano solo vivere una vita «normale», il governatore Leblanc e l’infermiera Maria (che riesce però ad innalzarsi dal livello delle aspirazioni frustrate e dell’attrattiva di una vita qualunque, scegliendo di rimanere a mandare avanti l’opera di Schweitzer).

Troviamo, in questo dramma, frasi memorabili pronunciate dai vari personaggi.

Ad esempio:

«L’eroismo consiste nel credere ancora all’idea dopo aver visto gli esseri miserabili che la incarnano».

«L’orgoglio è pretendere di essere perfetti e non volere essere santi».

«Quando [Schweitzer] morirà, chiederà al Padre Eterno, come ricompensa, di piantare le sue baracche all’inferno».

Nota bibliografica

I due drammi sono stati pubblicati insieme da varie case editrici, ad esempio Rizzoli, ma mi sembra che siano reperibili solo nel mercato dell’usato, o in una biblioteca.

Il dramma « È mezzanotte dottor Schweitzer» è invece ancora pubblicato da Rizzoli e credo sia acquistabile in libreria.

Insisto nel raccomandare caldamente la lettura de «La statua in frantumi» che disegna molto bene la piccola via di Teresa attraverso frasi da lei storicamente dette, situazioni plausibili nel piccolo mondo eroico del Carmelo e personaggi credibili anche se (in parte) fittizi.