Santa Riccarda e l’orso (18 settembre)

Santa Riccarda. Di © Ralph Hammann – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14648426

Santa Riccarda di Svevia (840 circa – 900 circa), moglie di Carlo il Grosso, regina di Alemannia, d’Italia e dei franchi, d’Aquitania e di Provenza, imperatrice dall’881 all’887, era andata in sposa a Carlo il Grosso, terzogenito di Ludovico II il Germanico. Il marito la ripudiò e fu accusata ingiustamente di adulterio con un cancelliere; le accuse si dimostrarono subito infondate, ma Riccarda decise di ritirarsi nel monastero di Andlau da lei fondato e retto dalla badessa Rotruda sua nipote. Visse i suoi ultimi anni impegnandosi nella preghiera e nelle opere di misericordia.

La leggenda di Santa Riccarda

Santa Riccarda. Di Bernard Chenal – Oeuvre pesonnelle, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4189958

Una versione semplice della leggenda recita:

Nell’887, Riccarda, virtuosa sposa dell’imperatore Carlo il Grosso, dopo più di dieci anni di matrimonio viene accusata d’adulterio. Sicura  nella sua innocenza e nella sua fede, si sottomette alla prova del fuoco. A piedi nudi, vestita d’una camicia cosparsa di cera, attraversa le fiamme senza la minima bruciatura. Viene perciò assolta dall’accusa, ma mortificata dal vile sospetto lascia il castello imperiale e si ritira nella foresta. Un angelo le appare e le ordina di fondare un monastero nel luogo che le indicherà un orso. All’ingresso della valle d’Eléon, sulle rive del torrente, Santa Riccarda vede l’orso, che gratta la terra in un certo punto. In quella località viene eretta l’abbazia di Andlau.

Tradizioni

L’orso di Santa Riccarda. Abbazia di Andlau. Di © Ralph Hammann – Wikimedia Commons – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11141132

Nella realtà storica, Riccarda aveva già fondato Andlau da sette anni quando Carlo il Grosso la ripudiò. Si ritirò allora in un luogo a lei noto sin dall’infanzia già dedicato ad un orso. Ma il ricordo leggendario della fondazione persisté a lungo. La pia Casa delle canonichesse d’Andlau ha mantenuto per lungo tempo un orso vivente, oltre ad alloggiare e nutrire gratuitamente gli ammaestratori di orsi di passaggio.

In passato, il giorno della Candelora, gli zoppi affluivano numerosi all’abbazia di Andlau. Qui si trova la statua di un orso, a ricordo del miracolo della fondazione. Dopo la processione in onore della Vergine, i pellegrini si accostavano alla scultura dell’orso e posavano i piedi nel buco che si diceva scavato dall’orsa della leggenda, sperando di ottenere la guarigione.

L’orso, animale ambiguo

L’orso di Santa Riccarda. Di © Ralph Hammann – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35892261

Franco Cardini scrisse dell’orso («Abstracta» n. 7, luglio 1986):

«L’orso è forse l’animale rispetto al quale l’uomo avverte maggiormente la sua posizione contraddittoria nei confronti del mondo animale: familiarità e affinità da un lato, estraneità e opposizione dall’altro. Esso è tuttora – o lo era, prima che gli occidentali riuscissero praticamente a distruggere quasi tutte le culture tradizionali – dio e al tempo stesso padre, fratello, figlio, amico per tutti i popoli della galassia uralo-altaica, dai lapponi ai siberiani ai pellerossa d’America; ma il suo culto era vivo anche tra i popoli indoeuropei, come dimostrano i miti indiani e quelli greci, quelli celtici e quelli germanici e come racconta la leggenda osseta [popolo a nord del Caucaso].

Un veterano. Amintore, l’orsacchiotto delle mie figliole, passato adesso al mio nipotino

Quest’antica familiarità – che, se non corrisponde a contenuti archetipici, ha comunque l’aria di venirci molto lontano dalla preistoria – non è stata del tutto tradita neppure ai giorni nostri: l’orso ha una parte di rilievo nelle fiabe antiche come nei disegni animati per bambini, che del resto in una qualche misura da quelle fiabe dipendono almeno per i simboli-base; e l’orsetto di pezza che regaliamo ai nostri piccoli per giocare (forse augurio di forza se offerto ai maschietti, di fecondità se affidato alle femminucce) conserva ancora questa duplice in apparenza per noi occidentali moderni (ma solo per noi) contraddittoria carica di energia guerriera e di affetto materno-filiale.

L’orso è feroce, eppure è simpatico: e nelle sue movenze, talora nei suoi atti e in quel che a noi può sembrare il suo modo di “pensare”, ricorda spesso l’uomo: in ciò può rammentare la scimmia, e non a caso nelle leggende indiane orso e scimmia sono avvicinati: Kipling non ha potuto fare a meno di notarlo».

L’orso nel mito e nell’agiografia

L’orsa plasma i suoi piccoli. Ashmole Bestiary, circa 1220

Questo animale è un elemento della natura presente in molti miti. Artio era una dea celtica raffigurata come un’orsa. Per l’antica Grecia si ricorda Callisto, la ninfa trasformata in orsa da Artemide. L’Orsa Maggiore e l’Orsa Minore prendono il nome dalla somiglianza con un’orsa già dai tempi di Tolomeo: si tratta di Callisto e del figlio Arcade.

Plinio il Vecchio, nelle sue Storie naturali (I secolo d.C.), afferma degli orsi che «alla nascita sono informi masserelle di carne di colore bianco, un po’ più grosse di un topo, senz’occhi e senza peli; soltanto le unghie sono sporgenti. L’orsa, lambendo queste masserelle, dà loro a poco a poco una forma». Questa credenza verrà ripresa dagli autori dei bestiari medievali e farà interpretare l’orsa come simbolo della Chiesa, che accoglie col battesimo i figli e ne modella la vita attraverso i sacramenti.

I santi e l’orso

Oltre a Santa Riccarda, sono legati all’orso molti santi che stringono amicizia con lui. Leggende di santi che addomesticano gli orsi sono comuni nelle zone montuose. C’è San Valentino della Rezia. San Corbiniano andò a Roma da Frisinga a cavalcioni dell’orso. C’è San Lugano, il santo delle Dolomiti, cristianizzatore della val di Fiemme e dell’alto Bellunese, anche lui intento a calvacare un orso. Ci sono San Colombano e il suo discepolo San Gallo, fondatori di monasteri, che ammansiscono gli orsi. C’è soprattutto San Romedio, il santo del Tirolo, eremita. Tutti questi santi divengono da una parte simbolo della vittoria della cristianità sul paganesimo, ma dall’altra dimostrano il loro dialogo con la natura. L’eremita o il monaco che domano l’orso costituiscono l’archetipo del santo che si rivela più forte della bestia più forte, che si fa obbedire ed anche aiutare dalla belva non con la forza delle armi, ma con quella della parola e con la grazia di Dio.