Santa Elisabetta di Ungheria (17 novembre)

Pietro Saltini, I Santi Terziari francescani (1902).
Piombino, chiesa dell’Immacolata. I due santi coronati sono Elisabetta d’Ungheria e Luigi IX di Francia, patroni dell’Ordine francescano secolare. In basso, Santa Margherita da Cortona e Santa Rosa da Viterbo

Morta a 24 anni, vedova con tre figli piccoli, ridotta in miseria. Sembra una tragica notizia di cronaca. E invece no: Santa Elisabetta d’Ungheria era una regina, una santa. L’Ordine francescano secolare la onora come sua principale patrona insieme all’altro re, Luigi di Francia. Sono trascorsi otto secoli, ed Elisabetta di Ungheria non è mai stata dimenticata. Non è ricordata per la gloria del suo titolo (era figlia di un re e sposa di un conte); neppure per le sue ricchezze (cui rinunciò volontariamente); ma per l’umiltà e la povertà in cui visse, dando tutta se stessa a Dio e ai poveri di cui volle condividere la misera vita.

Sorprendente la vita intensissima e rapidissima di Santa Elisabetta, figlia di Andrea re d’Ungheria e di Gertrude di Merano. Una vita iniziata assai precocemente con l’essere promessa sposa a soli quattro anni (Elisabetta era nata nel 1207), come allora si usava tra nobili. A 4 anni andò in Turingia alla corte dell’erede del langravio, per essere allevata dalla futura suocera. A 10 anni perse il futuro sposo Ermanno. Tuttavia, il fidanzamento si rinnovò con il fratello minore di questi, Ludovico IV di Turingia detto il Santo, che aveva sette anni più di lei. Quattordicenne, lo sposò. Madre del primogenito Ermanno a 15 anni, poi aveva avuto la figlia Sofia. La terzogenita, Gertrude, le nacque quando Elisabetta era vedova già a 20 anni. Il marito era morto, ucciso dalla febbre maligna che stava decimando i crociati, mentre ad Otranto attendeva di imbarcarsi per la sesta Crociata con Federico II.

Una vita all’insegna della precocità

Sembra che tutta la vita di Santa Elisabetta sia trascorsa all’insegna della precocità, connotata dall’avverbio «già». Già fidanzata a 4 anni, già sposa a 14, già madre a 15, già vedova a 20! Già prodiga di opere di carità nel regno del marito, alla morte di questi Elisabetta, vedova a 20 anni con tre figli, trascorse il resto della sua breve vita da terziaria francescana. Si ritirò in una modesta casa a Marburgo. Lì, nel 1229, con i denari della propria dote, costruì un ospedale, riducendosi del tutto in povertà. Arrivò persino a mendicare per assistere i poveri, e scatenando così la rabbia dei parenti che giunsero a privarla dei figlioletti.

Si dedicò fino all’ultimo alla cura dei malati e all’assistenza dei poveri, morendo già all’età di 24 anni. Fu proclamata «santa subito» dal popolo già alla sua morte; fu canonizzata già nel 1235 da Gregorio IX. In soli 28 anni aveva già «bruciato» tutto il percorso di vita – morte – miracoli che caratterizza un Santo, dalla nascita all’onore degli altari. È vero che le tappe della vita, a quell’epoca, si superavano in fretta.

Due sposi santi: regnare è servire

Fidanzamento dei due bambini regali. Wartburg (Thuringia), Camera di Elisabetta di Ungheria, mosaici (1902-1906). Di Torsten Maue – Wartburg, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29657500

Da sposa, Elisabetta aveva assiduamente praticato le opere di misericordia verso tutti i bisognosi, suscitando ostilità nei cortigiani che pensarono bene di denunciarne la carità al sovrano. Pare che egli abbia risposto: «Fin quando non mi vende il castello, ne sono contento!». Ludovico IV non è mai stato formalmente canonizzato, tuttavia il popolo tedesco lo ricordava come «Ludovico il Santo» oppure «il beato Ludovico di Turingia».

Famoso l’episodio delle rose, che rimasero come elemento iconografico a lei legato: andando un giorno a soccorrere i poveri con un involto di pane che portava in grembo, fu fermata dallo sposo che volle vedere che cosa nascondesse: ma nell’involto non trovò che rose fresche e profumate. Del resto, la pietà religiosa e la carità accomunarono la coppia: Elisabetta, di comune accordo col marito, fece erigere una cappella per i frati minori appena giunti nel suo feudo, poi un lebbrosario, e contribuì alla fondazione del convento.

Gli ultimi 4 anni di vita di Santa Elisabetta, poi, furono spesi interamente a servizio di quei poveri per i quali tanto si era adoperata anche da sovrana, quando, recita la sua biografia, «Elisabetta conobbe e amò Cristo nei poveri».

Santa Elisabetta d’Ungheria Terziaria francescana

Piero della Francesca, Polittico di S. Francesco e S. Elisabetta.
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15885124

Elisabetta è considerata con San Luigi di Francia patrona del Terz’ordine francescano al quale aveva aderito. Aveva rinunciato a tornare alla casa paterna per risposarsi come sarebbe stato suo diritto, ma aveva rinunciato anche ad entrare in monastero dove avrebbe occupato una posizione di prestigio. Rimase vedova e visse da secolare nello spirito francescano di perfetta letizia nella povertà.

Santa Elisabetta d’Ungheria patrona

Il miracolo delle rose. Di Karl von Blaas (1815 – 1894) –
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17594771

Oltre che del Terz’Ordine francescano (oggi denominato Ordine francescano secolare), Santa Elisabetta d’Ungheria è anche patrona degli infermieri e delle associazioni caritative, ed anche dei fornai a motivo del pane che da regina elargiva ai poveri e che si era miracolosamente trasformato in rose. Il suo ordinario attributo iconografico, infatti, è il grembo ricolmo di pane o di rose. A Santa Elisabetta si ispirano diversi istituti religiosi femminili che si dedicano alla cura degli ammalati.

La figlia Gertrude

Gertrud von Altenberg. Chiesa del monastero premonstratense di S. Giovanni Battista a Steingaden (Baviera), affreschi murali di Johann Georg Bergmüller (1741 / 1751). Di GFreihalter – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=51755383

La figlia terzogenita Gertrude, nata postuma nel 1227, divenne monaca premostratense e fu proclamata anch’essa beata. Precoce lei pure, visse più della madre: a 21 anni fu eletta badessa e governò per 49 anni il monastero di Altenberg.

Gertrude fece ricostruire con la sua eredità la chiesa collegiata e l’edificio del monastero  e, seguendo l’esempio della madre, creò un ospedale per i poveri e i viandanti, a lei intitolato, nel quale operò attivamente assistendo personalmente gli ospiti. In memoria di suo padre, fu un’ardente sostenitrice del movimento crociato, che sosteneva con le preghiere e la penitenza. Nel 1270 iniziò a osservare la festa del Corpus Domini nel suo monastero, una delle prime comunità ad accogliere questa solennità che era stata celebrata per la prima volta a Liegi nel 1246.

Morta nel 1297 a settant’anni, fu beatificata nel 1331 da Giovanni XXII che ne autorizzò il culto nel cenobio di Altenberg. Papa Benedetto XIII estese il culto della beata Gertrude l’ 8 marzo 1728 a tutto l’Ordine. La sua memoria è celebrata il 13 agosto.

Dalla «Lettera» di Corrado di Marburgo, direttore spirituale di santa Elisabetta, al pontefice (1232)

Santa Elisabetta con i figli Ermanno, Sofia e Gertrude è costretta a lasciare il castello di Wartburg.
Wartburg (Eisenach / Thuringia), Camera di Elisabetta di Ungheria. Di Wolfgang Sauber – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=51760391

Elisabetta incominciò presto a distinguersi in virtù e santità di vita. Ella aveva sempre consolato i poveri, ma da quando fece costruire un ospedale presso un suo castello, e vi raccolse malati di ogni genere, da allora si dedicò interamente alla cura dei bisognosi.
Distribuiva con larghezza i doni della sua beneficenza non solo a coloro che ne facevano domanda presso il suo ospedale, ma in tutti i territori dipendenti da suo marito. Arrivò al punto da erogare in beneficenza i proventi dei quattro principati di suo marito e da vendere oggetti di valore e vesti preziose per distribuirne il prezzo ai poveri.
Aveva preso l’abitudine di visitare tutti i suoi malati personalmente, due volte al giorno, al mattino e alla sera. Si prese cura diretta dei più ripugnanti. Nutrì alcuni, ad altri procurò un letto, altri portò sulle proprie spalle, prodigandosi sempre in ogni attività di bene, senza mettersi tuttavia per questo in contrasto con suo marito.
Dopo la morte di lui, tendendo alla più alta perfezione, mi domandò con molte lacrime che le permettessi di chiedere l’elemosina di porta in porta.
Un Venerdì santo, quando gli altari sono spogli, poste la mani sull’altare in una cappella del suo castello, dove aveva accolto i Frati Minori, alla presenza di alcuni intimi, rinunziò alla propria volontà, a tutte le vanità del mondo e a tutto quello che nel Vangelo il Salvatore ha consigliato di lasciare. Fatto questo, temendo di poter essere riassorbita dal rumore del mondo e dalla gloria umana, se rimaneva nei luoghi in cui era vissuta insieme al marito e in cui era tanto ben voluta e stimata, volle seguirmi a Marburgo, sebbene io non volessi. Quivi costruì un ospedale ove raccolse i malati e gli invalidi e servì alla propria mensa i più miserabili ed i più derelitti.
Affermo davanti a Dio che raramente ho visto una donna così contemplativa come Elisabetta, che pure era dedita a molte attività. Alcuni religiosi e religiose constatarono assai spesso che, quando ella usciva dalla sua preghiera privata, emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi uscivano come dei raggi di sole.
Prima della morte ne ascoltai la confessione e le domandai cosa si dovesse fare dei suoi averi e delle suppellettili. Mi rispose che quanto sembrava sua proprietà era tutto dei poveri e mi pregò di distribuire loro ogni cosa, eccetto una tunica di nessun valore di cui era rivestita, e nella quale volle esser seppellita. Fatto questo, ricevette il Corpo del Signore. Poi, fino a sera, spesso ritornava su tutte le cose belle che aveva sentito nella predicazione. Infine raccomandò a Dio, con grandissima devozione, tutti coloro che le stavano dintorno, e spirò come addormentandosi dolcemente.