Quella di Sansone è la saga di un eroe carismatico, da una parte ricca di acume sapienziale, dall’altra colorita di senso religioso. Chiamato da Dio fin dal seno materno, Sansone nasce da una donna sterile dopo un’annunciazione, e viene consacrato dal Signore come nazireo. L’atteggiamento infido dei filistei gli offre l’occasione per combatterli, con l’incendio delle messi e con l’uccisione di mille uomini con una mascella d’asino. Sansone è un eroe che agisce individualmente, non ha niente del condottiero, e niente neppure del giudice: in che modo avrebbe esercitato la giudicatura in Israele per venti anni (Gdc 15,20)? Rinchiuso dai filistei nella città di Gaza dove si era recato per una prostituta, ne esce strappandone gli stipiti della porta.
Le donne sono costantemente la sua rovina: la moglie filistea che svela l’indovinello ai suoi nemici, la prostituta di Gaza e infine la seduttrice Dalila, che lo spinge a mancare al voto di nazireato facendogli tagliare i capelli. Cieco e schiavo, Sansone sente ritornare in sé la forza, dono dello Spirito del Signore, quando i capelli, ricrescendogli, divengono segno esteriore della sua conversione interiore. Facendo crollare il tempio di Dagon in cui era stato condotto per essere dileggiato, uccide più filistei con la sua morte di quanti non ne abbia uccisi con la sua vita.
La sua è la storia di un fallimento: solo nella morte in qualche modo si redime. Potremmo affermare di lui, come di Iefte: quando uno se la va a cercare…
Per rivedere il celebre film di Cecil B. DeMille Sansone e Dalila (1949), con Victor Mature, Edy Lamarr, George Sanders e Angela Lansbury (sì, proprio la «Signora in Giallo») QUI e QUI.
Origini del racconto
La storia di Sansone, che occupa i capitoli 13 – 16 del libro dei Giudici, fu letta dagli studiosi dei primi del Novecento come derivata da un mito solare, rintracciabile nel nome stesso di Sansone (SHIMSHÔN, da Shemesh = Sole), nei suoi lunghi capelli simili a raggi, e nella figura di Dalila che li sconfigge (il suo nome è assonante con Layla = Notte). Altri studiosi hanno visto adombrato in Sansone il simbolo di un torrente della Sefela che viene catturato dagli uomini e obbligato a far girare i mulini, finché la sua forza distruttrice non ricresce e annienta tutto.
Al di là di queste fantasie, la storia di Sansone è ricca di rapporti interpersonali, passioni, vizi, che presentano il protagonista più come un anti-eroe che come un eroe tradizionale.
Il suo è un caso di vocazione prima della nascita: nazireo fin dal seno materno, Sansone con la sua vita nega tutto quello a cui si è impegnato (beve, maneggia cadaveri, si unisce a donne pagane), e si vanta della sua forza di modo che in essa non si mostra la virtù di Dio. È opera di Dio se Sansone, per pagare la scommessa perduta con i filistei, uccide trenta innocenti e strappa loro le vesti? È opera di Dio se si diverte con una prostituta di Gaza e poi, per dileggiare i filistei che lo attendono al varco, svelle le porte della città e le piazza in cima ad un monte?
La debolezza del forte
I nemici del momento sono i filistei, e sono un osso duro. Infatti, mentre Israele è ancora nell’età del bronzo, i filistei, popolo non semitico venuto dal mare (nostri parenti, quindi), sono già nell’età del ferro: usano utensili di ferro e armi di ferro. Ora, per parodiare un famoso film western, quando un uomo con una spada di bronzo incontra un uomo con una spada di ferro, l’uomo con la spada di bronzo è morto…
Sansone compensa tale svantaggio con la sua forza micidiale. Però questa forza gli è data da Dio, e non sembra che l’eroe faccia buon uso di questo dono. La vera forza sta altrove. Lo dice il libro dei Proverbi: «Chi domina il suo spirito vale più di chi conquista una città» (Pr 16,32), una massima su cui meditare. Sansone questo controllo su di sé non lo ha. Sansone sembra invece agire più per capriccio personale che per il riscatto del suo popolo; è un solitario, non organizza gli altri; le sue azioni non sono pianificate.
Inoltre, con la sua vita trasgredisce continuamente i precetti che caratterizzano intrinsecamente lo status di nazireo: gozzoviglia, maneggia corpi morti, e alla fine si lascerà anche tagliare i capelli.
In effetti, Sansone è fiero della sua forza fisica, ma mostra una costante debolezza: la passione per le donne. Anzi, si va a impelagare con donne straniere, altra cosa vietata dalla legge deuteronomica. La moglie filistea, la prostituta di Gaza, Dalila… L’ultima di esse gli chiede una fiducia assoluta, fino a rivelarle il suo segreto, l’unico impegno che non ha ancora infranto e che ancora lo lega a Dio nella sua missione liberatrice. Proprio a lei Sansone va ad aprire il suo cuore. «Allora il Signore si ritirò da lui» (16,20). Sansone cade nel sonno, e quando si risveglia è cieco.
La forza del debole
Come attraverso Giaele, è mediante Dalila che Dio umilia colui che si crede qualcuno. Al contrario di Rahab, Dalila aiuta il proprio popolo. Le stesse storie si giocano su versanti opposti.
Dalila, il cui nome significa flebile, si presenta come salvatrice, dal punto di vista dei filistei. È Sansone il personaggio immaturo, come un adolescente che non ha ancora scoperto il senso della sua chiamata e gioca a mostrarsi astuto e forte. Si trova sempre in pericolo, non per motivi politici o religiosi, bensì per collera, vendetta o scherzo; ma sono le donne a causare la sua rovina, le donne che non temono, a differenza degli uomini, la sua forza fisica, né il confronto con essa; si sa che la forza della donna sta altrove.
Solo alla fine della sua storia Sansone ricorre a Dio, dall’abisso della sua cecità, ormai inerme. La condizione miserevole lo ha spezzato, lo ha aperto finalmente a Dio. Quando si scopre debole, proprio allora è forte. Solo con la sua morte adempie alla sua missione, che è una missione di morte.
Commenta Vogels: «Questo Tarzan biblico è stato un fallimento totale in quanto giudice […] ha trascurato gli obblighi della sua consacrazione. Peggio ancora, Sansone sembra non aver imparato nulla dalle sue brutte esperienze […] ha offeso Dio, ha fatto soffrire i genitori, ha usato diverse donne per soddisfare le proprie passioni […] ha ucciso migliaia di Filistei, ma senza ottenere una qualche pace durevole. Che vita sciupata, e che morte inutile! Sansone non è un eroe ma un pazzo» (Walter Vogels, I falliti della Bibbia, San Paolo Edizioni, 2008).
Ma i filistei non sono annientati, avranno ancora molto da combattere con Israele. Sansone è il chiamato «che non fa sua la chiamata, che si appropria della forza, segno della presenza di Dio, senza permettere che Dio stesso traspaia da tale forza» (MERCEDES NAVARRO, I libri di Giosuè, Giudici e Rut, Città Nuova Editrice, Roma 1994, p. 108).
Nel caso di Sansone, si potrebbe dire: «Chi è causa del suo mal…».