San Romedio e l’orso (15 gennaio)

San Romedio e l’orso. Barco di Sopra (Albiano, Trentino) – Chiesa di San Romedio – Di Syrio – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41361947

San Romedio eremita, in latino Remedius o Remegius (330-400/405), era nato da una nobile famiglia, presso una stazione militare (Thaur), ad una decina di chilometri dall’odierna Innsbruck. In età adulta compì un  pellegrinaggio a Roma con due compagni, Abramo e Davide. Lungo il viaggio conobbe il vescovo di Trento  Vigilio e i futuri martiri anauniesi (Val di Non) Sisinnio, Martirio e Alessandro, che moriranno uccisi dai pagani locali nel 397. Tornato a Trento, decise di lasciare le sue proprietà al vescovo che assicurava l’assistenza ai poveri, e si stabilì presso il luogo dei martiri anauniesi, in Val di Non. Qui trascorse gli ultimi anni di vita, morì nel 405 (o 400) e fu sepolto in un sepolcro scavato da eremiti.

Diversi sono i miracoli che la tradizione devozionale gli attribuisce. Tra questi, l’aver preannunciato a Vigilio che lo avrebbe avvertito della propria morte facendo suonare la campana della chiesa, e vari altri prodigi. Qui ricordiamo solo l’ammansimento di un orso che aveva attaccato il cavallo del monastero con cui San Romedio avrebbe dovuto recarsi a visitare il vescovo Vigilio. L’orso si lasciò mettere le briglie e cavalcare dal santo.

Santi e orsi

Il rapporto con l’orso è tipico dei santi dei paesi dove l’orso ha il suo habitat. Oltre a Romedio, conosciamo il rapporto con l’orso di San Ghisleno, San Corbiniano, S. Colombano, S. Gallo, Guglielmo da Vercelli  e molti altri, mentre all’epoca dei martiri l’orso entra nell’agiografia come strumento di supplizio (la condanna ad essere esposti ad bestias) che invece si ammansisce, rifiuta di sbranare il martire ed anzi lo difende e lo vendica.

Così nelle leggende di San Cerbone, Faustino e Giovita, Primo e Feliciano, o di Paride vescovo di Teano. Il martirio di S. Secondo vede addirittura un orso che durante le persecuzioni di Massimiano vendica la morte del santo gettato nel Tevere, uccidendo otto carnefici. Il racconto è ripreso in quelli dei martiri di Eutizio e di Valentino e Ilario. Un’orsa, tenuta in gabbia per essere usata nell’arena, difende S. Colomba di Sens dall’aggressione di un carceriere che voleva abusare di lei.

Nel caso dei martiri l’orso non appartiene all’ambiente del martirio, ma introduce un elemento esotico non meno di leoni e tigri, l’irruzione di un mondo selvaggio e ostile che tuttavia si arrende e si ammansisce davanti a Cristo e al cristiano, mentre resta feroce nei confronti del persecutore. L’orso, ingordo e irascibile, dotato di una forza immane, viene facilmente ammansito dalla santità cristiana, e da nemico diviene amico, simbolo di una natura tornata ad essere sorella dell’uomo. Il santo eremita vive in amicizia con gli animali e con loro condivide i frutti spontanei del bosco, come in un nuovo paradiso terrestre.